Economia

La vocazione industriale dell’Italia dell’olio di oliva

La vocazione industriale dell’Italia dell’olio di oliva

I dati macroeconomici del settore delineano un quadro a tinte fosche per l’Italia che si salva solo grazie alla sua vocazione di confezionatrice. Cambia anche la geografia del consumo di olio di oliva

05 giugno 2024 | C. S.

Spagna, Tunisia e Italia nel complesso coprono la metà della superficie olivicola complessiva, con dinamiche peraltro molto differenti, secondo il report presentato da Ismea agli Stati generali dell’olio. Le superfici spagnole dall'inizio del nuovo secolo sono cresciute del 6%, e quelle della Tunisia del 26%, mentre sono in controtendenza quelle italiane (-3%).

La superficie mondiale è quindi concentrata per oltre il 90% nell'Emisfero Nord, mentre nell'Emisfero Sud l'olivicoltura si è sviluppata in tempi più recenti e soprattutto negli ultimi 20 anni con un trend espansivo tuttora in corso. Le olive da olio rappresentano 1'85-90% della produzione totale, la restante parte è rappresentata da olive da mensa.

In termini produttivi negli ultimi anni si evidenzia un importante cambio nel peso dei diversi paesi tradizionalmente vocati. L'Italia ha visto scendere la propria quota dal 22% del 2000 all'attuale 10%, mentre la Spagna, nonostante le due ultime annate particolarmente scarse, rappresenta quasi la metà della produzione mondiale. Nel frattempo, è cresciuto il peso di Turchia, Tunisia e Portogallo. Nonostante il peso ancora limitato, cresce la produzione in nuovi areali quali Stati Uniti, Argentina o Australia.

L'aumento della produzione è stato accompagnato dall'aumento della domanda e quindi del consumo mondiale, passato in poco più di 20 anni da una media di 2,7 milioni di tonnellate alle attuali 3,1 milioni di tonnellate (+17%) toccando il livello massimo durante gli anni della pandemia da Covid-19. Le dinamiche della domanda di olio di oliva, così come quelle della produzione, sono molto diverse tra le aree geografiche. C'è stata, infatti, una riduzione della domanda nei paesi tradizionalmente consumatori a fronte di un aumento in quelli dove è più recente l'utilizzo dell'olio di oliva nelle abitudini alimentari. Alla flessione del consumo in Spagna, Italia e Grecia, infatti, si è affiancato un deciso aumento del consumo negli Stati Uniti, Brasile e Francia. La geografia del consumo di olio di oliva, grazie anche al successo della dieta mediterranea, si è esteso anche ai paesi del Nord Europa fino ad arrivare ai paesi asiatici.

L'aumento della domanda mondiale  di olio di oliva ha, quindi, favorito gli scambi internazionali, raddoppiati dal 2000 al 2023, dando grade impulso alle esportazioni sia dei tradizionali fornitori mondiali, come Spagna e Italia, ma anche a quelle di nuovi competitor come Portogallo e Tunisia. Gli Stati Uniti, con una quota del 17% del volume mondiale di olio  scambiato si collocano saldamente al secondo posto nella graduatoria dei paesi importatori, con un incremento del 102% negli ultimi 20 anni, dopo l'Italia che rappresenta una quota pari al 23%, con una crescita del 3% nell'arco di tempo considerato. L'Italia ha un ruolo di primo piano nel commercio internazionale perché, per la particolare struttura della sua industria confezionatrice, è il primo importatore mondiale e il secondo esportatore.

L'altro segmento del settore olivicolo è quello delle olive da mensa che rappresenta circa il 10-15% della produzione complessiva di olive. Si tratta di un settore profondamente diverso da quello dell'olio di oliva, per aspetti agronomici, tecnologici e per destinazione e funzioni d'uso del prodotto. Anche per le olive da mensa sono stati anni di forti incrementi con la produzione e consumi cresciuti di quasi il 90% nell'ultimo ventennio. La produzione mondiale è passata da 1,5 milioni di tonnellate a 3 milioni di tonnellate.

Tra i paesi produttori, l'Egitto ha triplicato i volumi raccolti, collocandosi al primo posto nel ranking mondiale con il 22%, distaccando la Spagna che, con una produzione pressoché stabile, conserva una quota pari al 17%.