Economia

I ricatti della Grande Distribuzione sull'olio extra vergine di oliva italiano, e non solo, sono un autogol

Amazon si mangerà la GDO se quest'ultima non deciderà di intraprendere un percorso diverso che, lontano dalle private label, parta da un dialogo più serrato con le realtà locali, per rilanciare l'artigianalità, proponendosi non come venditrice di prodotti ma come portatrice di saperi e di tradizioni

09 novembre 2018 | Giampaolo Sodano, Mario Pacelli

È noto che Amazon abbia comprato lo scorso anno la catena di supermercati americani Whole Foods. Da quel momento chi fa la spesa in un supermercato della catena e sceglie l’opzione “Prime” ottiene uno sconto del 10% che si somma allo sconto in store, la consegna gratuita a casa oltre al 5% cash back se si paga con la carta Amazon Visa. Lo scopo di una simile azione è evidente: fidelizzare i propri clienti.

Un’obiettivo che perseguono a casa nostra tutte le aziende della GDO. Carte fedeltà, concorsi a premi, collezione di pupazzi cult, voto sui prodotti, e poi sconti, vendite sottocosto, volantini e prodotti gadget (quasi sempre olio d’oliva). Ma soprattutto “marca d’insegna”. E’ evidente la rilevante differenza e, come è già avvenuto con l’e-commerce, il rischio concreto di una sonora sconfitta.

II made in ltaly è il vantaggio competitivo della nostra GDO percepito come un vero status symbol. Non è certamente un caso che la nostra “dieta mediterranea” sia stata definita un patrimonio dell'umanità in quanto cultura e stile di vita che ha nella sostenibilità e nell'artigianalità l’espressione più autentica. Ma questo il signor Besoz lo sa molto bene tanto è vero che nella piattaforma italiana per l’Europa la prima cosa che ha fatto è stata una vetrina made in Italy.

E allora qual è la carta che si può giocare.

Conservare antichi mestieri, oggi, non significa solo cercare di ricostituire una tradizione che rischia di andare perduta, ma anche realizzare una sintesi concreta e contemporanea dell'esperienza, dell'ingegno e del lavoro che hanno reso lo stile di vita italiano celebre nel mondo. Alla fine del 2016 la recessione economica che ha investito il nostro Paese ha compiuto otto anni: è stata una crisi di carattere strutturale che ha toccato profondamente non solo la società ma anche gli individui favorendo il diffondersi di una visione negativa del nostro futuro, come fossimo spettatori attoniti del tramonto della "leggenda italiana". Al diffondersi di questa sensazione si può e si deve resistere in ogni modo, anche attraverso l’utilizzazione e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, che significa conservare la memoria di un lungo passato permeato di momenti difficili sempre superati con una forte fiducia nel futuro. In questo quadro le imprese dell’agroalimentare, ed in particolare quelle artigiane, sono chiamate ad assolvere ad un ruolo importante per un futuro prossimo che va al di là della produzione di beni e servizi, come ha osservato il direttore di GDO WEEK, Cristina Lazzati in un recente editoriale, per investire direttamente un processo di sviluppo fortemente innovatore.

È il tempo di una inedita competizione e di una necessaria e urgente innovazione, ma la GDO italiana deve voltare pagina, abbandonare antiche certezze, vecchie sigle, pratiche logorate dal tempo. A cominciare dallo scaffale, non più generalista ma selezionato, dove il consumatore deve poter riconoscere il prodotto fatto in ltalia con materie prime della nostra agricoltura e avere una completa informazione anche del processo produttivo con la conseguente possibilità di fare una scelta più consapevole di ciò che acquista. Perché il cibo è sempre il frutto di un processo di trasformazione in cui possono intervenire elementi estranei alla materia prima naturale che hanno rilevanza per quanto riguarda la salute: il consumatore ha il diritto di sapere tutto quello che è stato usato per produrre quel cibo, come e dove è stato fatto e chi lo ha fatto anche per essere messo nella condizione di spendere i suoi soldi consapevole dell’effettivo valore di ciò che acquista, ciò che lo porterà tra l’altro ad evitare l’acquisto di prodotti alimentari messi in vendita a prezzi chiaramente inferiori al loro costo di produzione.

È chiaro che tutto questo può avere una serie di conseguenze sul piano economico, implicando tra l’altro innovazioni nel sistema di distribuzione dei prodotti alimentari con costi economici non indifferenti.

Emerge la necessità che Parlamento, Governo ed Enti locali si impegnino nella emanazione di leggi e di norme che promuovano nuovi format distributivi per dare ai consumatori la concreta possibilità di scegliere tra un mercato di specialità e un mercato commodity, creando al tempo stesso le premesse per indirizzare gli artigiani, che producono cibo, verso gestioni imprenditoriali capaci di coniugare i diritti del consumatore con gli interessi dell'impresa. Un progetto ambizioso che, per affermarsi, ha bisogno di essere sostenuto dai media e dai movimenti per la tutela dei consumatori che condividano la loro pretesa a che sia posto in commercio un cibo di qualità, buono, sano e nutriente che dia effettive garanzie di non nocività per la salute umana. Questo è il terreno su cui la GDO italiana può avere un vantaggio competitivo e risolvere a suo favore la sfida di Amazon.

"ll prodotto cattivo scaccia quello buono", dice la legge di Grisham (banchiere del Cinquecento che si riferiva alla moneta): se questo è vero nel mondo finanziario lo è ancor di più in quello del consumo alimentare, dove oggi la sopravvivenza di molti prodotti di qualità è legata alla loro capacità di costruirsi una nicchia all'interno del mercato competitivo, pur sempre con scarsi margini di un vero successo commerciale. Quei prodotti possono al contrario avere un destino diverso se, partendo dall’esperienza di una distribuzione da nicchia, la Grande Distribuzione ne valorizzi la qualità e l’immagine sviluppando il connubio virtuoso fra imprese artigiane e capacità manageriale dando al mercato del "buon cibo artigiano made in ltaly".

I tentativi in corso dei format up-to-date, i piccoli hub di servizi centro d’integrazione online/offline nei centri cittadini possono avere un significativo successo se non offriranno al cliente la solita selezione di prodotti della Centrale d’acquisto, ma selezionando prodotti di alta qualità generare più occasioni di acquisto e magari una sosta piacevole. Potrebbero essere una vera novità nel sistema commerciale, alternativo e complementare a quello esistente, come “empori di cibo artigianale”, la cui peculiarità sia la indicazione in etichetta del processo di produzione e l’incontro con il produttore.

Sarebbe questo un salto di qualità nel nostro sistema distributivo con cui la Grande Distribuzione, sempre alla ricerca della fidelizzazione, sarebbe fedele a se stessa generando fedeltà e soprattutto fiducia “che la catena deve imparare a ricambiare, scusandosi quando sbaglia, condividendo informazioni, saperi, senza tradire le premesse iniziali, siano esse di convenienza, qualità o valoriali” per dirla con Cristina Lazzati. Una strada nuova per la Grande Distribuzione non più confinata con la “marca d’insegna” nella sua mera funzione di vendita, un terreno su cui è facile prevedere la supremazia di Amazon, per assumere una importante funzione sociale di aggregazione e di sviluppo. “Persone oltre le cose”, ma veramente.

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