Economia

Pac, non è solo questione di bilancio, ma di asset per i consumi

La proposta di bilancio 2014-2020, ora approvata, soddisfa le politiche nazionali ma non risponde a un progetto di integrazione continentale e di sviluppo. L’Europa può stare ancora in piedi solo puntando a una agricoltura differenziata e diversificata

16 febbraio 2013 | Giampietro Comolli

Sono 55 anni che l’Europa programma l’agricoltura comunitaria. Negli ultimi 30 anni ha quasi sempre dettato norme e direttive su controllo e riduzione delle produzioni, compensazioni, disequilibri, sostegni ai prezzi e poi al reddito. La proposta di bilancio 2014-2020 approvata, ora deve passare al Parlamento, soddisfa tutti i capi di Stato: ognuno aveva un motivo principale da difendere. Un risultato che ha guardato più alle necessità politiche nazionali e di diretto interesse, che a un progetto di integrazione continentale e di sviluppo comunitario. Nessuno parla di sviluppo e di crescita, nessuna voce indica un cambio di rotta. Solo un adeguamento: 960 mld di euro di bilancio in 7 anni, 908 mld di euro di pagamenti approvati, ovvero 130 mld anno contro i 142 del precedente settenato.

L’ITALIA dal 2011 è un contribuente passivo, infatti versa 16 mld di euro l’anno ( l’1,01 % del Pil) e ne ha ricevuti poco più di 9,5, forse anche per una incapacità ad ottenere fondi. Ovvero in 7 anni l’Italia ha versato 112 mld e ha ricevuto pagamenti per 66,5. Il gap annuale è di oltre 6 mild, di cui 3,5 dovrebbero essere recuperati. 1,5 mld per le regioni svantaggiate; 500 milioni per eliminare la disoccupazione giovanile, altri 1,5 mld di incremento delle spese destinate allo sviluppo rurale. Ovvero uno dei pilastri della PAC, politica agricole, uno dei fondamenti che hanno fatto nascere l’Europa Unita insieme al carbone. Purtroppo l’Italia potrà subire una riduzione dei fondi destinati ai pagamenti diretti all’imprese, cioè gli aiuti e misure dell’altro pilastro della Pac.

In un certo senso il bilancio 2014-2020 sposta il baricentro verso la coesione e condivisione collettiva del programmi e dei progetti agricoli, attiva meccanismi collegati fra strumenti di gestione e di informazione, compreso ricerca e formazione agraria. Questo un aspetto importante. Quindi nessuno scontento: l’UK ha continuato a mantenere lo “sconto eterno” sui versamenti, la Danimarca ottiene anch’essa uno sconto reale, ci sono i soliti rimborsi sperequati, c’è una riduzione di 1,5 mld della spesa della macchina amministrativa.

Si è persa una occasione per cercare di impostare un bilancio diverso, con nuovi parametri e nuovi canali, come sicuramente i trasporti e l’integrazione, ma soprattutto l’agricoltura non è stata al centro dell’attenzione, come invece doveva essere. Il risultato appare realmente come un compromesso, sicuramente non legato a principi nobili fra chi voleva una riduzione delle uscite(quindi anche una riduzione di entrate da parte dei singoli Paesi) e chi voleva un incremento degli investimenti e dei pagamenti per crescita e sviluppo ( Italia e Francia in primis), ma banalmente legati più o meno a questioni politiche nazionali. Si poteva cogliere l’occasione per rinnovare la PAC, ovvero dare un taglio diverso ai pagamenti, orientare lo sviluppo agricolo verso il recupero di un ruolo e asset prioritario in un momento di crisi, puntando su un insieme di misure e aiuti diretti all’agricoltore e alle organizzazioni di prodotto e di produttori attraverso innovazione trasporti e tecnologia, oltre che salvaguardia del territorio e superficie agraria.

La speranza è che il Parlamento Europeo interpreti in questo senso i numeri di bilancio. L’Europa non sta in piedi solo perché si è arrivati ad un progetto di bilancio e per una moneta unica che fa gola alle speculazioni, ma perché si deve arrivare prima possibile a eliminare differenze, scarti, sconti e puntare su una agricoltura differenziata e diversificata da regioni a regioni in base alla storia produttiva. Vuol dire salvaguardare una cultura e una civiltà agraria, un uomo agricoltore, che altri Paesi vorrebbero avere. In 30 anni l’Europa non è riuscita a portare in equilibrio i rapporti nord-sud, sta creando un nuovo contenzioso est-ovest, non coglie l’occasione del grande cambiamento politico-finanziario, non è in grado di leggere i nuovi rapporti di mercato che la crisi finanziaria del 2008 ha generato soprattutto per il mondo ad alto potere del capitale finanziario e speculativo, quella parte di mondo che ha creduto nell’infinito dei consumi.

La crisi generale non risolta, risolvibile in breve solo se si parte dal lavoro certo e dall’incentivazione dei consumi ordinari, può aiutare a definire una nuova via di agricoltura europea concreta, affidabile, reale, autentica e di macro ambienti di regioni produttive.

 

 

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