Economia

L'Italia oliandola arranca e perde quote negli Usa

Non è ancora il caso di allarmarsi ma occorre prendere provvedimenti per recuperare in un mercato complessivamente in crescita, che consuma sempre più extra vergine

10 marzo 2012 | R. T.

Le importazioni di olio d'oliva e di sansa d'oliva negli Usa hanno raggiunto la cifra record di 292mila tonnellate da ottobre 2010 a settembre 2011, con una crescita del 7% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Per il 65%, pari a 189mila tonnellate, si tratta di oli vergini. Il 67% viene importato già imbottigliato, in box non superiori ai 18 Kg, mentre la restante parte arriva negli Stati Uniti sfuso.

Il 29% delle importazioni Usa è costituito da olio d'oliva, sia imbottigliato (58%) sia sfuso (42%). Solo il 6% è lasciato all'olio di sansa di oliva, importato prevalentemente allo stato sfuso (71%).

In crescita le importazioni e consumo di extra vergine d'oliva.

Se guardiamo ai paesi esportatori, troviamo in testa l'Italia, col 51% del mercato. Il nostro Paese vende quasi interamente prodotto già confezionato (94%). Di contro la Spagna, che ha una quota del 23%, vende prevalentemente sfuso (53%). Il 10% dell'importazione di olio d'oliva statunitense viene dal Marocco, il 9% dalla Tunisia e il 3% dall'Argentina. Questi tre paesi esportano quasi esclusivamente olio d'oliva sfuso.

Il mercato statunitense è quello che ha dimostrato la maggiore vivacità, anche in rapporto ai volumi consumati, tra le nazioni extra Ue. La crescita delle importazioni negli ultimi 20 anni è stata del 79%. Se guardiamo agli ultimi 5 anni l'aumento è stato dell'11%.

L'Italia può gioire per la leadership ma non può esultare visto che, nel confronto 2010-2011, ha visto una riduzione della quota di mercato dell'11,3%. Anche la Turchia ha sofferto, -3,9%. I nostri competitor, però, hanno di che sorridere. Il Marocco ha fatto segnare un +8,3%, la Spagna un +3,6% e la Tunisia +2,5%.

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