Economia

Olive oil oriente express: consigli e suggerimenti per non perdere il treno

Confrontarsi con altre culture e aprire nuovi sbocchi commerciali mercati significa, prima di tutto, coglierne le esigenze e interpretarne il pensiero. Ecco alcuni consigli per un approccio al mercato asiatico dell’olio di oliva

04 dicembre 2010 | Duccio Morozzo della Rocca

Esportare in Asia il proprio olio di oliva è il sogno di molti e la realtà di pochi: le difficoltà di comunicazione e interpretazione di parole ed espressioni gestuali, dell’inserimento nei circuiti di vendita, della spietata competizione di prezzi (vale anche per l’alta qualità) rende ardua l’impresa.

Ho pensato di riportare in questo articolo alcune impressioni personali che spero possano essere d’aiuto, a chi ancora non avesse avuto occasione, per formarsi una idea sul contesto e le possibilità che offre un viaggio di business nelle più promettenti città asiatiche: Tokyo, Shanghai, Hong Kong e Seul.

Giappone/Tokyo
Il Giappone è ad oggi il paese asiatico maggiormente maturo e pronto ad acquistare olio di oliva di qualità, con un consumo pro capite annuo in crescita da un decennio che si attesta oggi sui 100ml.

Un paese dalla robusta sicurezza negli affari: correttezza, cura, forma e puntualità sono caratteristiche inscindibili del sistema paese. È raro, rarissimo, avere problemi di pagamento.
È molto più frequente invece, per chi lavora con i giapponesi, ricevere un continuo assedio di domande che talvolta stentiamo a comprendere come anche reclami (spesso) giustificati.

Tutto ciò rende il Giappone un elogio alla lentezza: tempi lunghi per ogni tipo di decisione (non spaventatevi se dopo due anni non avrete ancora chiuso l’affare) che deve passare attraverso l’approvazione e le domande di una lunga sfilza di “capi” e superiori.

Difficile anche la lettura di un incontro di business: riceveremo moltissimi sorrisi, tanti cenni assertivi con il capo, tante espressioni stupite e meravigliate. Bene, nessuno di queste manifestazioni significa “si”, ma solamente “ni”. Sono principalmente gesti di cortesia e rispetto.

Conquistare un cliente giapponese, quando ci si riesce, significa però acquisire un partner leale e, salvo eccezioni, fedele.

Due i luoghi principali di mercato: boutique e supermercati.
Le boutique pagano meglio ma ordinano poco (anche una cassa da 12 bottiglie per anno) per questo è meglio cercare quei luoghi che abbiano un nome forte e approfittare soprattutto dei periodi di regalo: il cibo continua ad essere uno dei principali oggetti di scambio. I prezzi possono essere alti (denota qualità) ma tutto il mondo vuole vendere in Giappone e la concorrenza è forte. A differenza di alcuni ani fa, i giapponesi stanno molto attenti alle spese e cercano sempre il giusto compromesso. A meno che non si riesca a posizionarsi bene nel campo del lusso, non è facile cantare vittoria.

Nei supermercati bisogna scontrarsi con la “produzione locale” ovvero le industrie imbottigliatrici giapponesi che comprano all’estero entrate prepotentemente in questo business ormai da diversi anni. Bisogna poi regolarsi con i prezzi: i buyer ultimamente sono particolarmente focalizzati su questo dettaglio.

Un ultimo consiglio se state pianificando un viaggio di business: lavorate moltissimo dall’Italia, non pensate di andare lì e vedere (o sperare che qualcuno si fermi in fiera, per es). In Giappone è tutto codificato e l’unica maniera per tentare di entrare e commerciare con i giapponesi è quella di adattarsi al paese: prendere o lasciare.

Cina/Shanghai
Completamente diverso lo scenario cinese: se qualcosa va o non va per il vostro interlocutore lo capirete subito. L’aspetto più difficile è però quello di leggere le sue mosse future: le grandi promesse di amicizia e collaborazione, a differenza di quanto accadrebbe in Giappone, possono svanire bruscamente nel nulla.

La Cina è, come in tutti gli altri settori, un carroarmato. Se si decide di approcciare il mercato non bisogna dimenticare che qui, più di qualsiasi altro luogo citato nell’articolo, il buyer fa davvero la differenza tra l’entrare e il non entrare. Ogni gruppo ha le sue forti alleanze con supermercati o ristoranti oppure con la distribuzione. O si è bianchi o si è neri.

Altro aspetto da considerare, sono le modalità di pagamento: tra il vendere senza troppe garanzie e il non vendere suggerirei vivamente la seconda opzione. Stiamo perdendo una grande opportunità? Pazienza! Ci sono sempre canali maggiormente affidabili.

Il business ruota intorno a Shanghai, la capitale economica. Penetrare nelle altre zone più o meno conosciute del paese è un compito che è meglio affidare ai buyer di questa città o di Hong Kong.

Anche se si ha molto poco controllo su quello che accadrà ai nostri prodotti il mercato cinese fa comunque, a ragion veduta, gola a molti.

Hong Kong
Il paradiso del business, l’inferno dei venditori. Hong Kong è il business. Uffici minuscoli ed essenziali (spesso fatiscenti) lavorano incessantemente ad accordi commerciali internazionali.
È il cancello per l’Asia e ha un regime fiscale molto agevolato ma è forse il luogo più difficile dove piazzare il proprio prodotto. La concorrenza è armata pesantemente, i compratori sono così abituati a veder passare una tale moltitudine di venditori che dopo una manciata di minuti hanno già una idea ben chiara dell’azienda e dei prodotti e, generalmente, tornano rapidamente ad immergersi nelle proprie contrattazioni quotidiane.

Il prezzo è molto importante ma non è l’unico aspetto. La carta da giocare è quella dell’intangibile: c’è talmente tutto ad Hong Kong che solo l’estro del venditore può spalancare qualche porta.

Resta comunque di fatto una base interessante se si vuole entrare in Cina con maggiori garanzie. Da questa città passano la maggioranza dei prodotti diretti nel gigante asiatico.

Corea/Seoul
Una grande rivelazione: Seoul è viva e pulsante, potrebbe essere una Tokyo impiantata negli Stati Uniti. Oriente e occidente in un connubio perfetto. Il business è forte, la classe media è sempre di più, si spende e si segue la moda occidentale. La vendita dell’olio di oliva, dopo una brusca frenata degli acquisti tra il 2006 e il 2008 a causa di uno scandalo legato a contaminazioni, ha ripreso a crescere.
I buyer sono preparati, curiosi e cercano di capire nel dettaglio le nostre parole. Più schietti dei giapponesi e meno diretti dei cinesi parlano generalmente inglese e sono in cerca di buoni rapporti tra il prezzo e la qualità. Amano, come anche i giapponesi, una presentazione aziendale ben fatta e stampata. Vogliono sapere nel dettaglio con chi stanno avendo a che fare.

Per aumentare le proprie possibilità sul mercato asiatico è fondamentale dunque una certa pulizia nella presentazione della propria azienda, l’attenzione ai dettagli, la cura della relazione personale con il compratore, la puntualità e la correttezza. Un errore, se riconosciuto e riparato, viene perdonato mentre nascondere o negare le proprie colpe (se questo è il caso) viene punito: la chiarezza prima di tutto.
Preparate il piano di business del viaggio nei dettagli e non preoccupatevi se gli incontri non andranno a buon fine: l’Asia è un’ottima palestra che prepara in maniera ineccepibile un’azienda sviluppando un habitus mentale che, se impiegato sui nostri mercati tradizionali, darà comunque una marcia in più al nostro stile di fare business.

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