Ambiente

Un circolo virtuoso per l’ambiente. E’ solo un miraggio?

Su clima e ambiente si fa un gran parlare, ma a vuoto. Dopo l’ennesima conferenza mondiale, tutto torna come prima, nel silenzio generale. Cos’è che non va nell’operato dei media? Quale meccanismo fa inceppare il sistema?
L'approfondita analisi di Daniele Bordoni

23 gennaio 2010 | Daniele Bordoni



Non sono passati molti giorni dalla chiusura della conferenza su clima e ambiente tenutasi a Copenhagen, eppure non se ne sente più alcun eco. È singolare osservare come i media si occupino di clima ed ambiente solo per un brevissimo periodo. Nel momento in cui le conferenze sono in corso, le notizie si susseguono incalzanti. Così fu per Rio de Janeiro nel 1992, per Kyoto nel 1997 senza trascurare tutti gli appuntamenti intermedi e adesso accade per Copenaghen. Passato qualche giorno dopo, i media si sono dimenticati della questione, come se non se ne fosse mai parlato, per dedicarsi a questo o a quel fatto di cronaca quotidiana.

Per un breve periodo si sono riversati attraverso i media, una serie di commenti e previsioni che prefiguravano una catastrofe ambientale difficilmente arrestabile. C’è da chiedersi allora perché, dal momento che tutti ne hanno parlato e tutti sembravano convinti della necessità di agire, poi non lo abbiano fatto.

Il problema sono le scadenze. I governi sono guidati dall’esigenza di essere rieletti e difficilmente riescono a pensare a un arco temporale che vada più in là di cinque anni. Le aziende e ancora di più le multinazionali, sono guidate dal profitto immediato e dal vantaggio economico e quando si parla di scadenze di 10 o 40 anni, quasi tutte ritengono che il discorso non le riguardi.

Poi prendiamo i cittadini comuni, come noi. Molti si domandano: se non ci riescono le grandi aziende e i governi, con i mezzi che hanno a disposizione, perché dovremmo riuscirci noi?
Il risultato che ne consegue è noto. Nessuno fa niente o fa poco e tutto va avanti come prima.

Non discutiamo dei contenuti. Chiariamo subito che sui mutamenti climatici e sul danno ambientale in generale siamo tutti d’accordo, quindi non è da qui che va affrontato il discorso. In primo luogo cerchiamo di capire cosa non va nella comunicazione. Nessuno accetta di essere colpevolizzato. Le nazioni si rimbalzano le responsabilità, quelle sviluppate cominciano a considerare la necessità di fare qualcosa e vorrebbero che quelle meno sviluppate economicamente facessero altrettanto, ma queste ultime non accettano una colpa di un danno che secondo loro è stato generato da altri. Le aziende neppure accettano colpe, affermando di seguire strettamente le normative vigenti e affermano che sono i governi a dover imporre le regole. Per finire con gli individui, che, a sentir troppo parlare per poco tempo, di clima e ambiente con toni drammatici, seguiti da lunghi silenzi, non leggono più i giornali e cambiano canale della TV.

Cosa non va allora nella comunicazione? Non si può parlare in termini drammatici e poi coprire il tutto con un velo di silenzio per tutto il tempo che intercorre fino al prossimo vertice. Il dramma fa “notizia” ma poi, dopo un po’ stanca e occorre parlare d’altro. La gente comune, stanca di sentire che deve fare sacrifici e accettare colpe per le proprie azioni, rifiuta il messaggio in toto e continua a fare quello che faceva prima. Una comunicazione efficace deve incidere sui comportamenti e sulla ragione, non sull’emotività di un momento. L’azione deve essere un’azione culturale, con piccoli passi e con obiettivi precisi.

Qual è il primo problema? Le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Cosa le provoca nei nostri comportamenti quotidiani e cosa potremmo fare di semplice e comprensibile per ridurla? Cominciamo a rispondere a queste domande.

Dal canto nostro abbiamo alcuni strumenti per agire nella giusta direzione. Se ad esempio uso le borse della spesa in luogo dei sacchetti di plastica, limito la produzione di questi ultimi ed il conseguente utilizzo di petrolio e di di dispersione di CO2 nell’aria. Se uso le lampadine a basso consumo, oltre che risparmiare sulla bolletta, contribuisco al risparmio sulla bolletta energetica dell’intero Paese e diminuisco di conseguenza l’emissione di gas serra nell’aria e così via. Ciò non risolverà in toto il problema dell’inquinamento e dell’eccesso di produzione di CO2, ma sarà un passo nella giusta direzione.

Cominciamo con queste piccole cose, facili comprensibili. Poi man mano aggiungiamone altre. Se si comprano frutti di stagione, si evita che arrivino le ciliegie o i mirtilli dal Cile, che a parte il prezzo esorbitante, che per ogni chilo di frutta comportano un emissione di 20 kg di CO2 per il trasporto (Dati Confagricoltura). Inoltre favorendo i frutti di stagione si stimola la nostra produzione nazionale. Occorre poi insistere nel cercare il più possibile e dove è possibile, di non fare percorrere troppa strada ai prodotti agricoli. Ciò dà un vantaggio in termini economici, accorciando la filiera, ma anche in termini ambientali, riducendo le emissioni di CO2 dovute al trasporto. Se poi a questo si aggiungesse, insistendo un po’ di più sulla riduzione degli imballaggi, si aggiungerebbero ulteriori benefici.

Cosa si è già intuito? Che il messaggio ambientale passa quando ci sono due fondamentali elementi: la semplicità e la convenienza economica, non solo a lungo termine, ma anche immediata. Chi ha già consapevolezza del problema, riesce a vedere anche gli obiettivi di lungo termine, ma la gente comune, il mondo economico e quello politico vogliono risultati immediati. Il loro arco di percezione temporale è limitato. Se non vedono dei vantaggi immediati, facilmente comprensibili abbandonano quella strada.

Iniziando da qui è più semplice far partire un discorso di diffusione capillare. Facciamo un esempio: per ridurre i sacchetti di plastica usa e getta, basta indurre i supermercati a farli pagare di più, come una sorta di tassa, con il ricavato della quale si possono offrire sacchetti di materiali riutilizzabili, come il cotone, a prezzi molto bassi o addirittura gratis, con meccanismo di incentivazione /disincentivazione. Chiunque comprenderebbe un discorso posto in questo modo. Ancora per quest’anno i sacchetti di plastica sono consentiti in Italia, ma a partire dal 2011 non lo saranno più, tanto vale cominciare ad abituarsi ora.

Precisiamo un’altra cosa. Se i prezzi restano alti per i prodotti biologici, eco-compatibili, riciclati ecc. si finisce per rivolgersi ad una elite e non al grande pubblico. Chi è intellettualmente più aperto e chi è anche benestante, non ha difficoltà ad ascoltare un messaggio di questo tipo. Il primo sarà disposto a pagare qualcosa di più per salvare l’ambiente, il secondo anche molto di più per diffondere l’immagine di sé come persona aperta, pagando anche cifre pari o persino superiori a quelle che spenderebbe per prodotti firmati e non eco-compatibili o risultato di riutilizzo di materiali.

Non sono queste le persone su cui occorre agire, perché queste sono una minoranza. Occorre agire sulla stragrande maggioranza che ha ancora poca sensibilità al problema ambientale e agire su basi razionali ed economiche. Cominciamo ad indurre comportamenti corretti, attraverso prezzi più competitivi e attraverso un sistema di incentivazione e disincentivazione economico. Sarà poi più facile far passare il messaggio ambientale e costruire partendo da qui anche una maggiore consapevolezza per le proprie azioni.

Se i comportamenti corretti divengono delle abitudini, o meglio delle buone abitudini, si può cominciare ad andare oltre ed inserire un discorso formativo con lo scopo di incidere sulla cultura ambientale.

Un altro punto dolente è la difficoltà nell’accedere ai finanziamenti e alle forme di incentivazione per le energie rinnovabili.

Qualche azienda che si occupa di impianti fotovoltaici, si rende conto della difficoltà e dei costi per i potenziali clienti. Chi non vorrebbe poter avere una fonte energetica pulita a prezzi quasi inesistenti? Il problema è l’investimento iniziale e gli incentivi statali che sono insufficienti e con una messa in pratica laboriosa. Allora alcune di queste aziende avrebbero pensato di prendersi carico delle adempienze burocratiche e anche di cercare dei finanziatori, tra le banche che permettessero una rateizzazione per il pagamento di nuovi impianti. Il risultato sarebbe una rata, in gran parte saldata attraverso il risparmio energetico. Ancora una volta, semplicità e convenienza economica, sembrano essere le carte vincenti.

Come abbiamo accennato prima, per andare oltre occorre agire sulla leva culturale. Oggi chi è sensibile ai problemi ambientali è un’elite, quindi un numero limitato di persone. Occorre fare crescere questo numero. Diffondendo la cultura della qualità della vita, che si associa alla qualità dell’ambiente. Più persone si convincono e agiscono di conseguenza e maggiormente si genera un circolo virtuoso di comunicazione tra le persone e non di regole imposte dall’alto.

Oggi il popolo dei blog e dei social network è in crescita e sta dimostrando di riuscire a trasmettere messaggi efficaci, a coagulare interessi e opinioni, ad avanzare proposte a far nascere e crescere movimenti di opinione. Questa capacità e questo stato di cose sono inarrestabili. Il mondo che ha prodotto i danni all’ambiente è davanti a noi, ma davanti a noi ci sono i mezzi e le potenzialità per poter rimediare. Basta mettere in moto, questo meccanismo che qualcuno chiama “virale”, per il modo di diffusione e di espansione che rappresenta. Un virus che non solo non uccide, ma può dare un contributo decisivo a guarire.

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