Ambiente

E’ tempo di Green Economy. Il futuro è già presente?

Occorre diffondere la “cultura del riutilizzo”. L’obiettivo comune? Produrre ricchezza salvaguardando l’ambiente. Secondo Michelangelo Bergia, creatore della Compagnia di Finanza Etica, l’essere umano deve produrre con la terra i prodotti per mangiare. Dobbiamo evitare di produrre ciò ch'è superfluo

21 novembre 2009 | Daniele Bordoni

Feeding the Planet – Energy for Life è il motto di Milano Expo 2015, con il quale la città lombarda ha vinto la concorrenza con le altre città interessate all’evento. Gli argomenti possono essere riassunti in ancora meno parole: Crescita Sostenibile.

Crescita, perché se non si produce ricchezza ci sarà sempre fame, ma questa crescita non deve avvenire a discapito di chi ha meno, impoverendo i Paesi già poveri di risorse, per arricchire quelli già ricchi ed è qui che occorre la Sostenibilità, non solo ambientale, ma anche sociale, fatta di equità e di comportamenti eticamente accettabili.

La crisi economica forse non è ancora alle spalle, ma le sue conseguenze sono più serie di quello che ancora si possa credere. Non si tratta di essere pessimisti. Il recupero ci sarà, ma sarà lento e avverrà su principi diversi da quelli che hanno alimentato la crescita economica degli ultimi cinquant’anni. Oggi il mondo si muove con una rapidità impressionante e abbiamo sempre più mezzi e tecnologie per stare meglio.
Ora ci serve la cultura imprenditoriale per fare quanto è necessario e quella del grande pubblico per comprenderne l’importanza.

Che l’ambiente sia arrivato al limite lo dicono alcuni fatti di dimensioni ciclopiche come il Pacific Trash Vortex, una sorta di continente galleggiante lungo 2.500 km e profondo 30 metri, collocato in mezzo al Pacifico e determinato dal flusso delle correnti che hanno raccolto tutto il pattume prodotto dagli essere umani e gettato in mare tra le sponde dell’Estremo Oriente e quelle del Continente Americano.
L’80% circa è composto da plastiche. L’estensione è stimata da un minimo di 700 mila km2 quadrati a un massimo di 15 milioni km2. Se pensiamo che l’Italia è grande poco più di 300 mila km2 è facile comprendere di quali dimensioni stiamo parlando.

Cosa sarebbe accaduto se quelle plastiche fossero state riutilizzate? Avremmo certamente ridotto il fenomeno dell’80%. La plastica è una materia prima ricavata dal petrolio che ha la caratteristica di durare molto, molto a lungo e di accumularsi, distruggendo la vita di acque, terreni, ambienti urbani e umani in generale.

Affrontiamo il discorso dell’economicità. Una ditta che si occupa del recupero dei materiali plastici viene pagata per farlo. Se si pensa che tale materiale diventa o può diventare la materia prima per altri oggetti, ci rendiamo conto che potremmo avere a disposizione della materia a costo virtualmente zero, se non meno di zero.

Questo è solo un aspetto, ma offre già una prospettiva diversa da quella del “costo ambientale”. Siamo in presenza di un vero “affare ambientale” e, a poco a poco, alcuni stanno cominciando ad accorgersene. Il vero problema non è rendersene conto, ma rendersene conto in un numero sufficiente per poter mutare l’orientamento culturale.

Quindi parallelamente all’applicazione dei principi nell’attività economica, occorre diffondere la “cultura del riutilizzo” attraverso la comunicazione. Il problema è che la comunicazione di massa è di massa, appunto. In altre parole segue l’opinione comune, non la precede. Si conforma, si adegua, con lo scopo di vendere più giornali, più riviste, avere maggiore audience, non certamente quello di fare cultura. Ci si occupa di gossip, di argomenti futili di poca o nessuna rilevanza, oppure di grandi tragedie.

Ho recentemente intervistato uno degli esponenti di questa Green Economy, il dottor Michelangelo Bergia, creatore della Compagnia di Finanza Etica, società di partecipazione in cui sono coinvolte molte aziende che hanno l’obiettivo comune di produrre ricchezza salvaguardando l’ambiente.

Nel corso dell’intervista, il mio interlocutore mi ha detto, che l’unico tra giornali e riviste che si fosse interessato a questo lavoro è stato Teatro Naturale, il cui nome è certamente coerente con i principi enunciati. Eppure si è parlato di Mr Pet, una delle società del gruppo, per intenderci, quella che ha ideato il raccoglitore di bottiglie di plastica con una tessera che da diritto a dei vantaggi al consumatore. Se ne è parlato a “Striscia la Notizia”, una delle trasmissioni più seguite della TV, ma l’argomento non sembra raccogliere un enorme e visibile interesse.

Il Dr Bergia mi accoglie nei suoi uffici di Racconigi nella Provincia di Cuneo. L’atmosfera è molto informale e rilassata. Ci accomodiamo in una saletta accanto a quella delle quattro impiegate, raccolte in una sorta di tavolo senza spigoli, rivolte verso il centro.

Si vedono sorrisi ed espressioni aperte ovunque. E’ un piacere muoversi in questo spazio in cui sono si presenti delle porte, ma sono sempre aperte. Lo spazio dell’intervista è molto singolare. Sediamo su poltrone non comuni: la mia è ricavata da un bidone di petrolio, quella del mio interlocutore è costruita con le doghe di un ‘barrique’, la botte d’invecchiamento del vino per eccellenza, molto popolare in questi ultimi anni.


INTERVISTA A MICHELANGELO BERGIA

Michelangelo Bergia

Dottor Bergia, lei è un piemontese e mi ha anche aggiunto di origini contadine. Conta questo suo background nelle scelte imprenditoriali da lei fatte?
Sono orgoglioso della mia origine contadina, che mi ha permesso di apprezzare la terra e di amarla, ma anche di conservare sempre presente l’importanza che essa ha per il nostro futuro. Ho 52 anni, ho iniziato a lavorare a 9 anni e sono imprenditore da quando ne avevo 38. Il mio campo di attività manageriale ha come riferimento le materie plastiche. Sono sempre stato affascinato dalla plastica, proprio per questa sua capacità di assumere qualunque forma. In fondo ritengo che più fattori abbiano contribuito alla mia scelta e tra questo, le mie origini, sicuramente hanno un posto di rilievo.

Vedo che sedie e poltrone, costituite da materiale riciclato, non nascondono i segni della propria origine, anzi le doghe delle botti della sua poltrona riportano ancora l’etichetta del Barbaresco da cui provengono. Perché non nascondete le origini del materiale?
La riposta è semplice. Occorre accettare ed integrare un dato di fatto: questi oggetti in un modo o nell’altro facevano parte e continuano a far parte della nostra vita, si tratta soltanto di far divenire esteticamente abituale accettarli anche sotto un’altra forma. Dipingere, nascondere, sverniciare sono operazioni che hanno un costo economico e anche ambientale. Lasciandoli con i segni che hanno in precedenza lasciato, noi mostriamo meglio l’accettazione del nuovo utilizzo. Il gruppo da me presieduto si basa su due principi fondamentali il primo è “making money, saving the planet” e il secondo è “pecunia olet”.
Mi spiego meglio: si può e si deve produrre ricchezza per crescere, per stare meglio, per avere scuole, ospedali, una migliore qualità dei servizi e una migliore qualità di vita, ma occorre coniugare questo principio con l’ambiente, per la semplice ragione che è economicamente più conveniente. La conseguenza del secondo non consiste solo nel fare denaro, ma nel farlo secondo principi etici. Non possiamo prescindere dall’Eco-sostenibilità la Socio-sostenibilità. In una parola si tratta di avere principi saldi e conseguente coerenza nei comportamenti. Le faccio un esempio: se vedo un potenziale cliente che non mi piace per il suo modo di affrontare il discorso della sostenibilità, oppure che non tratta bene i propri dipendenti, io non lo voglio come cliente.

Come è articolato e su quali principi si basa il gruppo da lei presieduto?
Sono il fondatore, insieme ad alcuni altri che hanno condiviso con me l’idea, di una società di partecipazione finanziaria (termine che prediligo in luogo di Holding) dal nome Compagnia di Finanza Etica, che comprende 22 aziende che producono con progetti eco-compatibili. Da qui deriva KEO PROJECT. Keo è la versione ‘modernizzata’ di CHEO che in Swahili significa ‘misura’. Questa è la nostra identità progettuale che raccoglie quattro pilastri: Ingegneria, Architettura, Design e Comunicazione. Quest’ultima è indispensabile, puoi fare il prodotto migliore del mondo, ma se nessuno lo sa non serve a niente.

Oggi nella progettazione dei prodotti di tutti i campi, si deve tener conto del LCA (Life Cycle Assessment), il ciclo di vita del prodotto tenuto conto anche la durata successiva al suo smaltimento.
Lei dice si deve, io dico si dovrebbe. Pensi che probabilmente meno dell’1% delle aziende tiene conto di questo principio. Oggi se ne comincia a parlare, ma tra parlarne e farlo ce ne corre….
Proprio in quest’ottica ho anche creato la RE- ACADEMY Foundation, che si pone, tra gli altri obiettivi, quello di diffondere la cultura del riutilizzo. L’Accademia del Recupero intende raccogliere intorno a sé quelle aziende che si prefiggono di perseguire questi obiettivi e agire di conseguenza.


Durante la presentazione mi offre il suo biglietto da visita e noto subito che si tratta di un lembo di cartoncino, elegante, già utilizzato nell’altro verso per altri scopi. Mi è sembrato coerente con i principi enunciati.


Abbiamo parlato poco di prodotti e molto di principi. Può farmi qualche esempio di recupero e riutilizzo efficace di materiali usati?
Guardi, ne abbiamo uno proprio qui davanti. Si tratta di un carrello da supermercato, col nome Eko Logic 250. Il nome dice già tutto: è ecologico perché riutilizza come materiale, 250 bottiglie di plastica. Ciò significa 56 kg in meno di CO2 dispersi nell’ambiente. Chili, non grammi. E’ anche Eco-nomicamente-Logico, perché fa risparmiare il supermercato che li acquista da noi, pagandoli meno di quelli tradizionali e procurandosi un’immagine positiva nei confronti dei propri clienti, come una ditta che si preoccupa della salvaguardia dell’ambiente. Se non costano meno degli altri è inutile produrli. Possono al massimo finire in un museo.
Non ci si rende conto di quanto CO2 disperde nell’ambiente un’auto anche costruita con buoni principi progettuali. Parliamo di 150 gr a Chilometro, in altre parole di tonnellate al giorno che le auto riversano nell’atmosfera, senza contare i gas incombusti e le polveri sottili. (esempio: un’auto che percorre 1000 chilometri disperde 150 chili di CO2 nell’aria ndr)

Eco-compatibile, eco-sostenibile, riciclato, riciclabile, non c’è un po’ di confusione in questi termini? C’è eccome. Prenda ad esempio gli shopper dei supermercati, i normali sacchetti di plastica. Sono riciclabili, ma non sono eco-sostenibili. I sacchetti di plastica vanno semplicemente aboliti, occorre tornare alle borse della spesa che duravano tutta la vita.

Bergia:

Cosa ne dice del MaterBi ricavato dall’amido di mais, grano e patate? Sono materiali per fabbricare sacchetti biodegradabili?
Si ma a che prezzo! Distogliendo dalla terra quello che produce per sfamare, destinandolo ad un uso che non è il proprio. L’essere umano deve produrre con la terra i prodotti che necessitano per mangiare. Dobbiamo produrre il necessario con la terra e non il superfluo e non il materiale per fare sacchetti o peggio bio-carburanti. Rendo l’aria più pulita e non farò morire in futuro delle persone, ma le faccio morire subito nei paesi meno ricchi. Gli abitanti di queste aree vedrebbero depauperate le proprie terre per produrre carburanti o sacchetti da supermercato a unico vantaggio dei paesi che stanno meglio.

Sono d’accordo con lei. Il problema sociale dei Paesi poveri, che molti definiscono del Sud del Mondo è un problema che ci riguarda da vicino. L’immigrazione di questi ultimi anni, guidata dalla miseria e dalla disperazione ne è una prova e l’abbiamo in casa.
Quali sono le novità che ci aspettano nell’immediato e nel prossimo futuro?

Già nel 2010 in Italia, arriverà il riciclaggio “bottle to bottle”. Da una bottiglia di plastica si ricaverà un’altra bottiglia di plastica senza produrre ulteriori danni ambientali. Manco a dirlo l’Italia arriverà ultima in Europa e forse addirittura ultimissima, se l’applicazione del provvedimento in materia slitterà di altri sei mesi. Comunque si stanno capovolgendo anche gli strumenti di comunicazione commerciale. Prenda questa confezione di bottiglie d’acqua minerale francese (mi mostra una dicitura sulla confezione). C’è scritto prodotta con pari quantità di altre bottiglie di plastica. Ora è l’acqua minerale, il contenuto, che pubblicizza il contenitore e non più l’opposto.
Questo è il domani più vicino. Ma ormai abbiamo la tecnologia per fare la spesa con una sorta di Telepass, che legge i prodotti che abbiamo nel carrello e ce li addebita uscendo dalla barriera, né più né meno di come accade in autostrada.
Ci saranno le auto a idrogeno. Ci sono già ed è maturo il loro utilizzo. Sta divenendo economicamente molto vantaggioso, in termine di prospettiva economica, in quanto l’ossigeno è abbondante, non può quindi realmente definirsi come un bene economico in senso stretto ed è eco-compatibile. Tecnologia e prototipi ci sono già. Occorre comunicarlo.
L’idrogeno è un combustibile “democratico”, nessuno riuscirà a reclamarne il possesso. Non ci saranno guerre per l’idrogeno. Diventerà un bene economico, anche se non lo è e questo è inevitabile. Anche le 7 sorelle sembrano entrare nell’ottica dell’idrogeno e stanno già comprando tutto ciò che ha attinenza con questa soluzione. Il futuro è in quella direzione.
Non è solo una questione di combustibile, anche l’aspetto tecnologico dell’auto stessa, le parti meccaniche, le trasmissioni, tutto è destinato a mutare rapidamente.

Ci sono anche altri aspetti in gioco?
Si, soprattutto culturali. Immagini se una persona che compra una borsa di una famosa griffe, pagandola un congruo numero di euro, sapesse di essere una sorta di uomo-sandwich, che va in giro pubblicizzando il marchio di grido e non solo non riceve soldi per farlo, ma ne paga più degli altri che comprano prodotti analoghi, ma non firmati, pensa che continuerebbe a farlo? Probabilmente no. È solo un fatto culturale e di abitudine: tutti fanno così , faccio anch’io così, non per distinguermi, ma per essere uguale agli altri. Coerentemente io mi rifiuto d’ indossare capi firmati.
Non trascuriamo poi il problema del controllo. Non diciamo che c’è un Grande Fratello, ma possiamo comunque immaginarcelo. È certo che tutto quello che facciamo è passato al setaccio: carte di credito, movimenti fisici attraverso il GPS dei cellulari, l’auto, le nostre abitudini, persino la nostra faccia ripresa negli angoli delle strade. È un fatto. Non è detto che siamo meno liberi, però è certo che siamo controllati. Dobbiamo averne consapevolezza e augurarci che chi ci controlla condivida i nostri principi e nient’altro.

Cosa occorre ancora per diffondere l’eco-sostenibilità, come principio economico?
Economicamente è già più conveniente. Pensi alla materia prima dell’ossigeno, ma anche la plastica riutilizzata. Sono materiali a basso costo, virtualmente a costo zero. Non sono né le tecnologie e neppure i mezzi economici per metterle in pratica a mancare. Manca ancora la cultura del recupero, del riutilizzo, della riconversione. Per questo uno dei principi fondanti di Re-Academy oltre all’Ingegneria, Architettura, Design e Comunicazione, sarà il suo “quinto prodotto”, la Ri-conversione. È importante sapere da dove arriva la materia che si utilizza: se arriva dal consumo, è una cosa, se arriva dal riutilizzo, si è interrotta quella catena del consumo, che ha creato finora i problemi ambientali e di sostenibilità che conosciamo

E le 7 sorelle saranno d’accordo con lei? Non hanno finora bloccato lo sviluppo di qualsiasi tecnologia non basata sul petrolio, anche se stranamente non quella basata sui bio-carburanti?
Se non sono d’accordo lo saranno presto, quando si renderanno conto che le attività eco compatibili sono anche le attività economiche che producono più ricchezza e che hanno maggiore prospettive di sviluppo. Definiamo questi signori dei ‘malvagi’ che distruggono l’ambiente. Non sono malvagi gratuitamente, ma hanno lo scopo di guadagnare. Quando inizieranno a capire quale enorme potenziale esiste nella Green Economy, non avranno nessun problema a divenire ‘buoni’.

Qual è allora il problema? Perché non è già successo? Perché c’è ignoranza. Mi spiego meglio. Esiste un’ignoranza sana, quella delle persone intelligenti, che sanno di non sapere e si informano. Lei voleva sapere qualcosa di più sull’argomento ed è venuto qua da Milano proprio per questa ragione. C’è però un’ignoranza presuntuosa, quella di coloro che sono già convinti di sapere e non sanno nulla o molto poco. A questa ignoranza è associata la stupidità, che purtroppo infesta anche la nostra classe politica, democraticamente, senza distinzioni tra destra e sinistra.

A un imprenditore occorre anche un po’ di fortuna. Lei crede nella fortuna? Si ci credo molto, ma credo anche che la fortuna non sia casuale, ma accada per una ragione. Ad esempio ritengo di avere avuto fortuna nel poterla incontrare e avere quindi avuto modo di parlare di questi argomenti, ma non è un caso. Lei ha visto una trasmissione TV, ha cercato su Internet, ci ha trovati e ci ha contattati. Quando lei mi ha detto che la testata con cui collaborava era Teatro Naturale, mi sono detto che il nome era in sintonia con i miei obiettivi di comunicazione e le ho fissato subito un incontro, posponendo altri impegni. Nella vita imprenditoriale è la stessa cosa. C’è la fortuna, ma non è un”caso”. Si dice comunemente aiutati che il ciel t’aiuta. Se ci si muove nella direzione giusta arriva anche la fortuna.


In precedenza lei ha parlato di cultura della sostenibilità, ma la comunicazione commerciale è ancora tutta rivolta al consumo. Il mondo del consumo sembra giunto al suo limite, ma pochi se ne rendono ancora conto. Quindi la nuova cultura passa per la nuova comunicazione?
Mi sembra che sia quello che ho affermato poc’anzi. Lei collabora per Teatro Naturale, non per il Corriere o per La Stampa. Solo lei è venuto a cercarmi. Questo significa che il tipo di comunicazione di cui si occupa è in linea col mio ed è ancora da diffondere.
Non sottovalutiamo però la cosiddetta opinione pubblica. Ormai i messaggi triti e ritriti non funzionano più, neppure nei regimi totalitari come la Cina. Oggi la comunicazione e i nuovi messaggi arrivano dove prima non sembrava possibile.

La crisi economica è finita? Se ritiene di no, quanto durerà ancora?
Anche ammesso che le cifre che ci vengono fornite siano giuste, prima di tornare al tenore di vita precedente alla crisi occorreranno almeno altri 6 o 7 anni. In ogni caso agli effetti pratici, anche tutto il 2010 sarà un anno molto difficile.

Qual è il vero obiettivo e cosa significa successo per un imprenditore?
Ritengo che consista nel costruire un’impresa che gli sopravviva, qualcosa che resti, che non si esaurisca con la sua vita, ma che continui anche dopo di lui. Significa “costruire” veramente. Chi costruisce, fa qualcosa che dura. Chi fa il mio mestiere deve, secondo me, ragionare in un’ottica che va oltre il proprio tempo, che anticipa quello che accadrà e allora il futuro sarà già presente, anche se si realizzerà dopo il termine della sua vita.


Daniele Bordoni

DIETRO LE QUINTE

Arrivo all’appuntamento in anticipo, come al solito, ma anche il Dr. Bergia arriva in anticipo. Entriamo assieme in ufficio. Mi chiede se voglio un caffé, dico di si e va lui stesso a preparamelo. Non chiama la “signorina” di turno. Tutto questo mi ha molto ben disposto, sin dall’inizio. Aggiungo solo che non siamo mai stati interrotti nonostante il fatto che l’incontro sia durato quasi 2 ore e quindi ben oltre le previsioni iniziali. Mi ha anche confessato di avere un sogno e di non averlo mai detto a nessuno. A me però lo ha detto…...
C’è ancora una cosa che mi gira in testa: Keo è una parola Swahili…..ma perché il Swahili?

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