Ambiente

RISORSE E AMBIENTE. OCCORRONO NUOVE STRADE CHE METTANO AL BANDO IL CONSUMO DEL TERRITORIO

Il bosco, le aree naturali devono davvero essere conservate sotto naftalina? Ha senso la logica del ripristino selvaggio? Oppure è più utile trovare un compromesso tra antropizzazione, attività agricole, artigianali, industriali e salvaguardia dei parchi?

10 dicembre 2005 | Alberto Grimelli

Le funzioni dei boschi e delle aree naturali, in Italia, sono molteplici, anche se le possiamo distinguere in tre ambiti diversi:
- economico (legname, frutti del sottobosco, sughero…)
- idrogeologico
- ambientale e paesaggistico (serbatoio di carbonio, immobilizzazione dell’anidride carbonica, riduzione dell’inquinamento.

Si pone il problema di come conciliare attività umana e natura, utilizzo delle risorse e tutela del territorio.
Un argomento quantomai attuale che è stato il fulcro del convegno “Boschi e cave” tenutasi a Suvereto il 3 dicembre.”Da una parte – ci dice il Prof. Rossano Pazzagli, organizzatore dell’evento - il bosco con i suoi valori ambientali, storici ed economici; dall’altra le cave con il loro peso sull’ambiente e il paesaggio naturale. Due elementi in conflitto tra loro.”
Un apparente conflitto, almeno questo è l’esito dell’incontro che ha visto coinvolti gli enti locali, la Regione, la Guardia Forestale e docenti universitari.
È possibile conciliare la conservazione del territorio, della biodiversità con il turismo, l’artigianato e l’industria (taglio boschi, cave…). Se infatti le aree protette rappresentano uno strumento di tutela, questo non significa che i boschi debbano essere abbandonati a sé stessi. È compito del legislatore, ma anche di tutta la società civile, regolamentare l’uso dei boschi, saper mettere dei paletti tali che l’utilizzo delle risorse boschive e naturali non si trasformi in sfruttamento. La priorità deve essere il rispetto e la tutela dell’ambiente.

La silvicoltura va infatti intesa come la coltivazione del bosco, un piano che integri la programmazione degli interventi umani. Tali attività devono necessariamente tenere di conto della storia del bosco, ovvero delle vicende succedute e delle operazione effettuate nel corso di secoli.
È quindi evidente che prima di programmare alcunché sia non solo opportuno ma indispensabile procedere a un’indagine archeologica, ovvero a un’analisi degli usi del territorio nel passato e delle conseguenze e ripercussioni ambientali provocate.
Ecco allora che il ripristino non deve essere concepito solo come uno strumento di “ritorno selvaggio alla natura” ma piuttosto come un mezzo per ridurre, quanto più possibile, lo sfruttamento e l’impatto ambientale e paesaggistico e che individui come utilizzare eventuali residui e scarti dell’attività umana, come lo sono i rifiuti delle cave.

Partendo da tali basilari considerazioni si possono trovare le forme istituzionali e legislative atte a mettere in atto un progetto di recupero delle aree boschive. In questa nuova ottica, la scala piramidale e gerarchica (Regione, Provincia, Comuni) deve consentire agli Enti locali non solo di eseguire i controlli ma anche di avere autonomia gestionale sul territorio in funzione della sensibilità della collettività ma anche delle peculiarità dell’ambiente comunale.

Il problema della tutela e salvaguardia del territorio infatti non si limita alle sole attività umane che presentano, anche a occhio nudo, un elevato impatto ambientale e paesaggistico ma anche a quegli interventi non più eseguiti da decenni.
Si presenta infatti, come drammaticamente d’attualità, il problema dei boschi cedui, quali sono quasi tutti quelli italiani, non più tagliati dall’epoca del boom economico, che provocò l’abbandono delle campagne, in primis quelle collinari e montane. Stiamo assistendo a un cambiamento dei profili boscati, con aumento della massa legnosa, a scapito del sottobosco. Una situazione in continua evoluzione che modificherà anche la composizione della flora e della fauna dei nostri boschi, portando, probabilmente a una progressiva perdita di biodiversità.
È il caso, ad esempio dei “ghiacci” o “diacci” toscani, ovvero radure, all’interno del bosco, ove generalmente si fermavano a pascolare le greggi in transumanza. Con la chiusura del bosco tali riserve di specie erbacee ed arbustive di notevole interesse botanico spariranno.
Lasciare che i boschi invecchiati si rinaturalizzino pone di fronte all’incognita sul loro sviluppo e evoluzione, ben sapendo che si andranno a perdere specie vegetali ed animali.
D’altro canto oggi la coltivazione del bosco, con i nuovi strumenti e mezzi tecnici e tecnologici a disposizione, è molto più invasiva che in passato, con alterazioni e modificazioni di equilibri che potrebbero risultare gravi se non ben gestiti e controllati.

Occorre quindi una fase di studio fattivo, che affianchi ai rilievi e alle analisi anche opere e interventi concreti sui boschi.
Così il parco di Montoni, area protetta interprovinciale della Toscana, diventerà un parco laboratorio, aperto ai ricercatori ma anche agli abitanti e ai turisti. Un laboratorio ove eseguire varie tipologie di interventi sul bosco e monitorarne gli sviluppi. Uno spazio naturalistico dove preservare la biodiversità attraverso i giardini nel bosco. Un’area dove sperimentare un nuovo rapporto tra uomo e natura.

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