Mondo Enoico
E’ ORA DI GIUNGERE A UNA SVOLTA. ECCO IL FALSO MITO DI ROBERT PARKER VISTO SOTTO L’IMPIETOSA LENTE DI CHI NON SI CONFORMA TANTO FACILMENTE ALLE MODE DI CERTI GURU STRAPAGATI
L’australiano James Halliday ha lanciato veementi critiche al “Wine Advocat”. Nel frattempo, più di qualcuno in Italia si rende conto che la bella favola del gusto internazionale è destinata a svanire e a stancare il pubblico. Un intervento del giornalista Guelfo Magrini, a partire dal celeberrimo wine writers americano, mette in evidenza le molte anomalie di un comparto
28 gennaio 2006 | Guelfo Magrini
I cani di Robert Parker e la difesa della tipicità territoriale
Il mio cane (un esemplare maschio di pura razza bastarda), ha cominciato ad imitare uno dei cani di Robert Parker, un bull dog da svariate migliaia di dollari, reso famoso dalle riprese di Johnatan Nossiter. La cosa si è verificata a seguito di una visione privata del film âMondovinoâ. Il mio cane, che assieme a noi occasionalmente assisteva alla proiezione, da allora ha cominciato ad emettere flatulenze fastidiose, specialmente quando riposa ai piedi del divano di casa, direttamente sotto i nostri nasi. Sarà questa una particolarità dei cani dei wine writers, alla quale il mio Brombo si è prontamente adeguato? Oppure la spiegazione è che, sia il cane di Robert sia il mio, si siano stancati delle demenziali esternazioni enoiche dei loro rispettivi padroni? Nel caso di Parker non è solo il suo cane ad aver preso le distanze: ci arriva via internet lo sfogo australiano del collega James Halliday, che ha lanciato veementi critiche al âwine advocatâ, affermando che i suoi giudizi sono in netto contrasto con i risultati dei vari ed autorevoli concorsi di vini australiani, e assolutamente privi della necessaria conoscenza dei territori. I raccomandati da Parker, conclude Halliday, cioè i ârossi mostruosiâ della Barossa Valley, non sono che in minima parte rappresentati dai risultati dei concorsi internazionali, che premiano invece vini australiani assai più semplici, fini ed eleganti, quali per esempio quelli prodotti nella Clara Valley.
In risposta alle critiche, il Robert internazionale ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: Halliday e i suoi colleghi australiani sono solo (badate bene!) degli EUROIMITATORI, che sanno difendere solo VINI INSIPIDI E ASSAI MENO INTERESSANTI. (come evidentemente Parker giudica i vini tipici europei).
Ho sempre pensato che questo carismatico commentatore statunitense fosse una âanatra di gommaâ, uno specchietto per allodole, con la chiara missione di inibire le presenze di vini non americanizzati (e con ciò sâintendano, oltre ai californiani, anche le joint ventures multinazionali (Bordeaux, Toscana, Cile, più recentemente Cina), sui mercati anglofoni. Un controllo che attraverso autorevolezze mediaticamente costruite orientasse la produzione dei concorrenti verso modelli organolettici a dominante internazionalista, sfera dove i nuovi produttori in stile californiano sono imbattibili per evidenti ragioni pedoclimatiche.
Eâ davvero ancora necessario ricordare ai nostri tantissimi produttori, valenti critici ammiratori ed enologi discepoli, probabilmente zoccolo duro del Michel Rolland pensiero (secondo Nossiter grande umorista della comunicazione organolettica prestato allâenologia), che tutto ciò non è stato utile alle sorti economiche del nostro comparto vitivinicolo?
Posizioni parallele allo sfogo antiparker della stampa australiana si ritrovano anche da noi: come efficacemente riportato da Patrizia Cantini sul âCorriere Vinicoloâ del novembre scorso, durante un seminario organizzato dalle maggiori istituzioni toscane sugli aspetti tecnico scientifici della viticoltura italiana considerata allâinterno dello scenario internazionale, Stefano Cordero di Montezemolo, professore al dipartimento di scienze aziendali dellâuniversità di Firenze ha rilevato âla stanchezza da parte dei consumatori internazionali rispetto ai vini del nuovo mondo, e a quelli australiani in modo particolareâ. Le migliorabili alternative, veicolate dallâintervento di Mario Fregoni (tornare indietro ai vini prodotti con un unico vitigno a partire dalle Docg), motivate dalla disaffezione del mercato reale nei confronti di âquei vini tutto corpo e colore che, se fanno impazzire Robert Parker, incominciano invece ad annoiare tutti gli altriâ, potrebbero essere rafforzate dalla diffusione della zonazione proposta da Attilio Scienza, dove però si svelino maggiormente i processi di tipicità reale ottenibili. Prendiamo ad esempio i fattori di acclimatazione sullâespressione polifenolica dei vitigni autoctoni intuendo che le caratteristiche del climax territoriale, dove le âfacoltà geneticheâ di un vitigno si evolvono, ne influenzano le direzioni organolettiche? Vitigni di regioni fluviali e atlantiche esprimono sentori di torba, humus, erba palustre, e non hanno nulla a che fare con le essenze mediterranee che formano il contorno ambientale ai nostri vini tipici. âI ciliegi piantati a supporto vivo della vigna, danno al vino un aroma che ce li ricordaâ (Vattel), e le officinali delle coste italiane sono facilmente espresse da preparazioni enologiche rispettose del terroir di riferimento.
Al gusto internazionale foriero della âcocacolizzazioneâ del vino rivelliana, si va ad opporre la preziosità degli aromi nostrani.
E poi un poâ di sano neoecumenismo: la parola âguruâ, rappresenta la descrizione di unâattitudine spirituale, e sono molto seccato che si attribuisca con leggerezza a tuttâaltro che santâuomini dediti al bene del prossimo. Si tratta invece di professionisti strapagati, ed è certo che quando qualcuno decide di pagarti tanto, come si evincerebbe sicuramente leggendo la reale dichiarazione dei redditi di Parker , ebbene avrebbe già in tasca la garanzia dei massimi risultati a suo favore.
A causa dello tsunami di concentrato chimico vinoso che ha allagato i mercati grazie al parkerismo militante dei parvenu, è un pò che sono diventato quasi completamente analcolico. Non sopporto più i rossi strutturati che da quasi dieci anni essi comunicano e spacciano come vino da tavola aristocratico e nello stesso tempo nazionalpopolare. Se il vino era alimento, lo era per altre caratteristiche che non la violenza tannica della concentrazione e del legno di quercus, o degli acini zuccherini di vitigni africani più che completamente svolti (nel senso che magari molti enologi ci aggiungono pure MCR o barbabietola). E se l'alcool è il frutto della trasformazione degli zuccheri, allora in fin dei conti mangiare troppo zucchero trasformato e anabolizzato non è il massimo in una dieta salutistica quale quella che occorrerebbe all'umanità per affrontare il prossimo glaciale futuro annunciato. Così il vino è tornato alimento, però con molto rischio di tossicità .
I nostri divenuti fragili organismi modificati avvertono in tempo reale presenze incongrue, nei rossi come nei bianchi ad alta concentrazione. Gli unici vini che il mio corpo riesce a sopportare sono quelli veri, semplici, autenticamente derivati da uve non palestrate, oppure sinceramente lavorati in forma biologica, sia nel sistema agronomico che enologico. Quindi l'assaggio del vino diventa organico, e non più organolettico, funzione questâultima che ormai per quelli come me deve esplicarsi soltanto in fase di riconoscimento.
Ora che Parker si avvia finalmente alla pensione, portandosi dietro i suoi adepti di madrelingua italica, il futuro della nostra produzione enologica è sicuramente più roseo.
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