Mondo Enoico
L'uvaggio degli Champagne è determinante ma i consumatori non sanno riconoscerlo
A che serve indicare in etichetta che si tratta di Pinot Noir o di Chardonnay se poi, a un esame alla cieca, non viene percepita alcuna differenza e persino gli esperti hanno difficoltà nel riconoscere le percentuali dei vari vitigni? Ma soprattutto, tutto questo è importante ai fini della qualità percepita del prodotto?
06 dicembre 2013 | R. T.
E' ormai vicino il tempo di brindisi e scegliere l'etichetta giusta per un incontro speciale, che sia con i parenti, con gli amici o con la persona del cuore, è spesso il puntino sulla i. Un dettaglio importante.
Si presta quindi attenzione alla marca, al contenuto in zuccheri (secco, semi secco, dolce), ma i più raffinati cercheranno di individuare anche l'uvaggio.
Il perchè ce lo spiega il critico enologico inglese Jancis Robinson: “il Pinot Noir ... fornisce la struttura di base e la profondità di frutta... lo Chardonnay conferisce una certa austerità ed eleganza ai giovani champagne, ma è di lunga durata e matura in un bel fruttato. Il Pinot Meunier offre una ricchezza aromatica e un fruttato precoce”. Lo Chardonnay “ha la tendenza a dare una sensazione di tostato se invecchiato dopo la sboccatura, ma può anche sviluppare sensazioni più fini, cremose, sfumature biscottate”. Il Pinot Noir “non conserva la sua freschezza per molto tempo come lo Chardonnay ma fornisce senza dubbio un vino più complesso.”
A ogni naso, e gusto, il proprio Champagne, o spumante, si potrebbe dire. Ma poi il consumatore saprebbe poi riconoscere simili sfumature in una degustazione alla cieca?
Una ricerca dell'Università di Oxford viene in aiuto. Hanno messo a confronto sette vini spumanti chiedendo a un panel, sia di consumatori sia di esperti, se la percentuale di Chardonnay contenuta in ciascuno dei vini presentati fosse 0, 22, 30, 45, 58 o il 100%, ovvero le percentuali di uvaggio più comuni. Sono anche stati presi in esame parametri più soggettivi, come gradevolezza, fruttato e dolcezza.
I risultati suggeriscono che le persone, non importa se sono esperti assaggiatori di champagne o semplici consumatori, non sono in grado di determinare in modo affidabile la percentuale di uve Chardonnay nei vini spumanti all'assaggio cieco.
Sarebbe però errato dedurre che il mancato riconoscimento della proporzione dei vari vitigni rendesse indifferenziati i prodotti. Una preferenza veniva sempre espressa e questa, altro dato molto interessante, non era correlata con il prezzo del vino.
I ricercatori di Oxford mettono poi in guardia da un'analisi troppo frettolosa del loro studio poiché, sebbene la degustazione alla cieca è una tecnica che viene comunemente utilizzato, non può fornire risultati che sono trasferibili alla normalità, cioè sul piano commerciale.
Per esempio il colore del vino, in merito alla dolcezza dello stesso, ha influenzato più gli esperti dei neofiti. Quindi il colore del vetro di un bicchiere potrebbe trarre in inganno il gusto.
Non si deve infatti concludere che la percentuale delle varie uve non fa alcuna differenza per l'esperienza d'assaggio del degustatore, sebbene il contributo di ciascun vitigno non sia rilevabile. E' l'armonia tra i vari fattori, fruttato, acidità e alcol, a fare la differenza.
Se si vuole quindi trovare una conclusione alla ricerca di Oxford è che un vino ben equilibrato maschera i singoli componenti che lo hanno prodotto.
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