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Vino annacquato? E' frode commerciale anche se non ancora in vendita

Secondo la III sezione penale della Corte di Cassazione, nonostante il prodotto fosse ancora in lavorazione, è da considerare scontata la destinazione finale

29 giugno 2013 | R. T.

Un vino allungato con acqua è “tentata frode in commercio” anche se ancora non in vendita. Questa la conclusione della III sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza 11827/2013 depositata il 13 marzo scorso.

Una decisione che farà scuole e che ,potenzialmente, si può estendere a molti altri settori.

Ma veniamo al fatto.

Nel corso di alcuni controlli a campione, in una cantina, vengono trovati dei fusti con vino bianco da tavola, anno 2006, che, ai riscontri analitici, risultano alterati “con aggiunta di zucchero e acqua”.

Al responsabile della cantina viene quindi contestata la “tentata frode in commercio”.

Accusa assolutamente fondata, secondo i giudici, sia di primo che di secondo grado, ricordando che “il tentativo di frode in commercio non richiede l’effettiva messa in vendita del prodotto, essendo sufficiente la destinazione alla vendita»”

Inoltre, quanto al dolo, viene chiarito che il responsabile della cantina è “certamente consapevole dei trattamenti cui il vino era stato sottoposto”.

Interpretazione dei fatti che viene confermata, in maniera definitiva, anche in Cassazione, laddove i giudici respingono le opposizioni del rappresentante legale della cantina vinicola, il quale ha sostenuto che “per la configurazione del reato tentato” è necessario “un inizio di contrattazione con un determinato acquirente, non essendo sufficiente la mera detenzione”, aggiungendo poi che “il prodotto si trovava in fase di lavorazione, per cui oggettivamente non poteva essere posto in vendita”.

I giudici della Suprema Corte però chiariscono che per il “tentativo di frode in commercio” è “sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita del prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite”. Esattamente ciò che si è appurato in questa vicenda, col vino alterato “contenuto nei serbatoi di una cantina” e quindi “destinato alla vendita”.

 

Fonte: dirittoegiustizia.it; Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 11827/13; depositata il 13 marzo

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