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Tecniche e prospettive della gestione del suolo nel sottochioma del vigneto

Diserbo chimico oppure diserbo meccanico ma anche inerbimento e paccimatura. Le possibilità offerte sono svariate e occorre adattarle alle specifiche condizioni colturali, oltre che ambientali. Spese economiche ed energetiche, concorrenza per nutrienti ed acqua sono i parametri da tenere sotto controllo

23 febbraio 2013 | Ernesto Vania

In viticoltura è ormai assodata la necessità di dover interpretare in maniera diversa la gestione del suolo nel sottochioma del vigneto e tra le file.

Se tra le file è possibile, in ragione della fertilità e delle peculiarità chimico-fisiche, scegliere tra inerbimento e lavorazioni, magari alternandole in ragione anche delle caratteristiche dell'annata e dei vitigni, la gestione del sottochioma è più ardua, potendo scegliere tra più variabili ed avendo un impatto più diretto su quantità e qualità della produzione.

Fondamentalemente le scelte che si prospettano al viticoltore sono quattro: diserbo chimico, diserbo meccanico (attraverso lavorazione superficiale) inerbimento e pacciamatura.

La pratica di gran lunga più utilizzata è il diserbo manuale, che sia esso effettuato con macchine scavallatrici oppure manualmente. Si tratta, però, di un'operazione onerosa dal punto di vista economico, per il tempo lavoro impiegato per singolo passaggio, sia per la necessità di intervenire più volte durante la stagione. Spesso, inoltre, vengono provocate piccole lesioni ai ceppi che possono diventare veicoli d'infezione anche gravi.

Il diserbo chimico, d'altro canto, è sicuramente efficiente ma poco ecocompatibile e, in un'ottica di gestione sostenibile del vigneto, va adottato con molta attenzione, magari riservandolo alle sole aree marginali e più difficilmente meccanizzabili.

Viceversa l'inerbimento è, di per sé, pratica ecocompatibile ma che presenta lo svantaggio di attivare una competizione tra le specie erbacee e la vite per acqua e nutrienti. La necessità, dunque, è valutare con attenzione le specie erbacee con le quali costituire l'inerbimento sottochioma. Allo scopo l'Istituto francese della vite e del vino ha condotto un esperimento, nel 2011 e 2012, valutando l'efficacia di un inerbimento con Festuca Rubra cv Bargreen per una larghezza di 150 centimetri sulla fila, coprendo così il 60% della superficie vitata, contro un inerbimento spontaneo sull'interfila. Il tutto confrontato con un un testimone privo di inerbimento.

La presenza di una pianta infestante provoca una diminuzione dalla primavera della disponibilità di acqua nel suolo rispetto al terreno nudo. La quantità di acqua disponibile sul terreno è però stato più bassa nel caso dell'inerbimento spontaneo. Questa diminuzione della disponibilità di acqua determinato un leggero aumento dello stress idrico che però si è rivelato significativo solo nel 2011. La presenza dell'inerbimento ha anche portato ad una diminuzione dell'indice di clorofilla, riflettendo così la concorrenza delle specie infestanti sull'assorbimento d'azoto. Questo effetto è stato più marcato nel caso di inerbimento spontaneo nell'interfilare. Il test sulla pacciamatura si è rivelato positivo, nella riduzione della flora infestante e senza conseguenze su disponibilità idriche o di nutrienti. Il telo richiesto, però, deve essere spesso, con una duplice conseguenza: un costo elevato per acquisto e stesura ma anche problemi per lo smaltimento dello stesso al termine della vita utile che in media è 3 anni.

Un risultato in linea con quello testato dalla Camera dell'Agricoltura di Vaucluse, Bouches-du-

Rhône, Var e il Grab, volto a valutare l'influenza di singole specie erbose nella competizione idrica e di nutrienti.

In questo caso sono stati valutati tre diverse tipologie di inerbimento:

- con trifoglio nano bianco al 30% di copertura del terreno

- con pilosella al 30% di copertura del terreno

- con inerbimento spontaneo al 50% di copertura del terreno

I risultati indicano che, nonostante il trifoglio, come leguminosa, sia un azoto fissatore, la competizione abbia portato a un ritardo nel germogliamento, oltre a una sua diminuzione e a una diminuzione della produzione legnosa complessiva.

Nessun ritardo nel germogliamento si è manifestato per la pilosella ma si è verificato un calo della produzione legnosa.

In entrambi i casi, comunque, non vi è stato alcuna riduzione del contenuto d'azoto nei mosti, segno evidente della capacità di adattamento della vite.

Diverso il caso dell'inerbimento spontaneo. La competizione per i nutrienti è stata, in questo caso, tanto accentuata da obbligare all'eliminazione dell'inerbimento al terzo anno di test. E' stato evidenziato, tuttavia, come l'inerbimento abbia provocato una minore incidenza negli attacchi di Botritys.

In conclusione è difficile dare riferimenti assoluti, dovendo ancora comprendere a fondo le dinamiche di concorrenza tra vite e specie erbacee. L'inerbimento si presenta come una soluzione promettente, ma con alcune limitazioni, come la larghezza, che dovrà essere limitata e l'utilizzo di specie appositamente studiate per ridurre la concorrenza, con la conseguenza di dover procedere a cadenza regolare alla semina del nuovo prato per impedire che la flora spontanea prena il sopravvento.

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