Mondo Enoico

Sempre più dubbi riguardo all'annata a cinque stelle

La siccità, le alte temperature e i colpi di sole stanno mettendo a rischio una vendemmia che era partita sotto buoni auspici. La colpa delle difficoltà odierne non sta solo nel clima ma anche in consulenti troppo legati a soluzioni copia-incolla

10 settembre 2011 | Giancarlo Scalabrelli

Sembrava una annata coi fiocchi, una pioggia ristoratrice alla fine di luglio aveva fatto ben sperare sul prosieguo della maturazione che si presentava all’insegna di una regolare invaiatura. Una buona scorta d’acqua che faceva immaginare al riparo da stress proprio in considerazione del fatto che i grappoli durante la maturazione sono maggiormente tolleranti allo stress idrico di quando sono nella fase erbacea.

Purtroppo le cose non sono andate così, subito dopo l’invaiatura con l’elevata luminosità e l’adeguata disponibilità idrica avuto una buona attività fotosintetica con un rapido accumulo degli zuccheri negli acini, fino a quando elevati livelli di insolazione abbinati a alte temperature hanno determinato il collasso degli acini, con danni che vanno dalle scottature al rapido appassimento, fino alla passificazione. I danni hanno interessato maggiormente i grappoli mentre in altri casi hanno riguardato anche le foglie. Si è trattato di un processo veloce e irreversibile che ha portato a elevate concentrazioni di zuccheri e di acidi, a scapito della maturità fenolica e infine un gusto di cotto (dalla confetture a alla marmellata bruciata) che rischia di compromettere gran parte della nuova vendemmia.

Ci si interroga sulle cause dell’incidenza di queste condizioni di stress (condizioni colturali e gestionali, effetto del genotipo) e sulle condizioni che possono aver favorito la così rapida evoluzione del processo, contro il quale non hanno sortito effetti positivi neanche gli interventi irrigui di soccorso. Una analisi di questo tipo non si può fare al tavolino e in genere si basano soprattutto sulla dinamica degli eventi atmosferici senza considerare a dovere le risposte delle piante.

La vite ha evidentemente un comportamento particolare, ovvero non si comporta sempre in modo prevedibile. Occorre quindi abbandonare la comoda posizione in poltrona e la dimora paradisiaca dell’aria condizionata e immergersi nel caldo torrido dei vigneti per capire come stanno le cose.

Se si avesse la modestia di accettare la pianta come suggeritore e interlocutore si avrebbero tante più risposte di quante saremmo in grado di dare sul piano teorico. Occorre un bagno di umiltà nel comprendere e ammettere anche che a volte i tecnici possono sbagliare e che forse la interpretazione non sta dove a noi farebbe più comodo che sia.

Il ricercatore è spesso propenso a porsi dei dubbi sulla veridicità delle proprie convinzioni, ma chi fa il consulente non può permettersi di sbagliare, tuttavia accade spesso che nel tentativo di salvare il salvabile il perseverare diventa controproducente.

Quando c’è un problema di questo tipo che comporta notevoli difficoltà di adattamento per la vendemmia, per la scelta delle uve e per la tecnologia di vinificazione, tutti si danno da fare per trovare soluzioni utili a produrre un vino accettabile. E’ innegabile che nelle situazioni estreme di difficoltà possono verificarsi le condizioni anche per l’ottenimento di vini di qualità eccelsa, proprio dove la combinazione dei fattori produttivi e delle scelte, che comportano il sacrificio di una parte del prodotto può dare origine a vini eccellenti. E’ un luogo comune affermare che anche nelle annate sfavorevoli prima o poi la stampa del settore uscirà con la notizia che la qualità del vino è stata elevata. Né si può affermare in maniera perentoria che quest’anno non si faranno buoni vini, poiché a ferragosto l’annata poteva essere giudicata ottima. Certo è che in molti casi la qualità è a rischio, a causa della maturazione troppo rapida, dello squilibrio dei componenti e per la perdita di prodotto dovuto all’appassimento degli acini. Inoltre vanno considerate le ingenti spese per selezione delle uve da destinare alla vinificazione e l’impossibilità di utilizzare le vendemmiatrici, a meno di possedere costose macchine per la separazione degli acini appassiti.

Ci sono possibilità di soluzione? Ovviamente ci sono interventi e misure e apprestamenti oculati da attuarer a breve termine. Più difficile è immaginare cosa si dovrà fare per il futuro invece per evitare il ripetersi si situazioni imprevedibili. Credo sia opportuno ripensare la programmazione del vigneto (1, 2, 3). Tutto ciò che si riteneva valido deve essere rimesso in discussione, proprio alla luce di quanto è accaduto. In particolare, la scelta dei suoli, gli aspetti della vigoria, i sistemi di allevamento, la gestione della chioma, il carico produttivo e soprattutto il saper guidare la pianta in funzione della risposta all’ambiente diventano aspetti su cui chi lavora generalizzando le cose a tavolino non potrà più gestire una situazione di questo genere.

Tutto ciò lascia pensare a un nuovo tipo di consulente, in particolare qualcuno che abbia le conoscenze del ricercatore e lo spirito critico, ma che accetti di andare in campo a verificare di persona. Questo segnerà la fine dei consulenti telefonici e dei copiatori di soluzioni. Solo chi lavorerà con originalità potrà rendersi utile alle aziende e potrà svolgere con competenza il proprio lavoro.

Dopo anni di lavoro all’Università siamo giunti alla conclusione che la “Ricerca” non interessa più a nessuno, non rimane allora che mettere a disposizione la nostra competenza a disposizione degli altri. Se la terra chiama anch’io sarò pronto a rispondere.

Bibliografia

1. Scalabrelli G. 2009. Quale futuro per il vivaismo viticolo toscano? I Georgofili, Quaderni 2008 III Sezione Centro Ovest, Lo Sviluppo del vivaismo toscano, Pistoia 5/12/2008: 147-177. Felici editore.
2. Scalabrelli G. 2009. Viticulture for the third millenium, safeguard and innovation. Acta 16 th International GiESCO Symposium, July 12-15, 2009 University of California, Davis: 63-70.
3. Scalabrelli G. 2010. Quale viticoltura per il futuro? Italus Hortus, 17 (suppl. n. 3): 680-686.

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luigi giannelli

16 settembre 2011 ore 19:35

Giancarlo Scalabrelli ha fatto delle considerazioni condivisibili;i consulenti il più delle volte non hanno una preparazione di base sufficiente e tantomeno una pratica di campagna dalla quale rifuggono.Il tecnico vero è colui che sta in vigna e che segue di persona tutte le operazioni;dopo qualche tempo avrà esperienza e troverà soluzioni valide ed originali alle varie situazioni che gli si presenteranno.

Tonino Arcadu

11 settembre 2011 ore 17:20

Finalmente un articolo che va controcorrente, che cioè lascia perdere i toni trionfalistici falsi e bugiardi, a cui certa stampa ci ha abituati e che ci propina in modo insulso quasi tutti i giorni, senza mai mettere a fuoco le gravi problematiche che affliggono il settore. Ci sarà comunque qualche Solone enologico, che ci dirà, fra qualche giorno, "che nonostante tutte le difficoltà anche quest'annata sarà ottima, perchè...". In questo modo pretendono ancora di farci sognare, oltre che prenderci in giro(eufemismo).