Mondo Enoico
Il Carignano e la viticoltura eco-sostenibile del Sulcis
Dal progetto pilota "Polo del Carignano", che propone l'adozione della biodinamica moderna, può scaturire un nuovo modello agronomico e gestionale a partire da una potatura conservativa dalla lunga tradizione
02 luglio 2011 | Giancarlo Scalabrelli
Oggi più che mai è fondamentale l’immagine e i valori che vengono percepiti dal pubblico e dai consumatori. Nel mio immaginario ho sempre considerato il Sulcis una entità singolare, da scoprire, cosa che mi sono deciso a fare dopo una serie di rimandi. Si tratta di un esempio molto particolare che vale la pena di valorizzare. I terreni sabbiosi, il clima, la posizione geografica, il vitigno Carignano, coltivato in larga maggioranza, i vigneti allevati ad alberello costituiscono un esempio inimitabile altrove.
Devo dire, tuttavia, che sempre in relazione a quello che si può evincere dai mezzi di comunicazione, sono altresì noti i vini della cantine sociali di Santadi, Sant’Antioco e Calasetta, che producono vini affermati e noti in continente, ma nulla si riferisce a Portoscuso.
Perché questo accade me lo sono chiesto partecipando al Vinitaly alla presentazione della Dr.ssa Rita Mulas del Progetto pilota “Polo del Carignano”. Pertanto è emersa l’esigenza prendere visione del territorio e delle realtà viticole esistenti. L’ambiente in cui si esercita la viticoltura è idoneo ad una viticoltura eco-sostenibile, così come ormai si sta programmando in ogni parte del mondo. Infatti, la parola chiave, sostenibilità non è solo il cavallo di battaglia dei tecnici, ma anche di chi fa cultura, degli amministratori e dei politici. La peculiarità di questi vigneti sta non solo nelle caratteristiche specifiche del sito (terreno sabbioso, frangiventi, piede franco, piccola dimensione della proprietà) ma soprattutto nell’abilità di allevare le viti, grazie alla “potatura conservativa”, che è stata tramandata nel tempo e che costituisce un motivo importante nell’attuare una viticoltura durevole. Siamo infatti di fronte a una combinazione unica di fattori sintetizzabile in un “modello Sulcis”, derivato dalle personali conoscenze, che trova in queste condizioni una validità operativa.
Inoltre la qualità di un vino, soprattutto di quello rosso, è dipendente prima di tutto dall’equilibrio delle viti, che migliora in termini di accumulo di sostanze elaborate e nobili nell’uva, tanto più il vigneto è vecchio, pertanto i vecchi vigneti di questo territorio sono in grado di fornire uve di qualità molto elevata; il loro eventuale abbandono o l’espianto costituirebbe una grave perdita. Comprendere il valore di questi vigneti significa rispettare quello che la natura ha creato e che l’uomo ha curato per consegnarlo alle future generazioni come corredo d’identità inalienabile.
Accanto a questi fattori positivi ve ne solo altri che si possono riassumere nella scarsa razionalità delle distanze adottate, in errori compiuti nella gestione del suolo e nella fertilizzazione, che ha portato all’isterilimento del terreno, nonché alle carenze della difesa fitosanitaria.
Appare pertanto opportuno ripristinare la naturale fertilità del terreno e, inoltre, fare un salto di qualità nell’approntare tutti quegli accorgimenti preventivi e tutti i metodi di difesa ecocompatibili, che tendano a privilegiare la salute degli operatori e soprattutto dei consumatori. Sotto questo aspetto il progetto pilota appare ben orientato, proponendo l’adozione della biodinamica moderna proposta dall’agronomo Leonello Anello.
Occorre stimolare l’informazione per garantire una crescita sia in termini di consapevolezza che di collaborazione. Nell’attuale mondo globalizzato, il singolo se si limita a curare il proprio orticello, senza collegarsi agli altri per “fare squadra”, rischia di essere schiacciato dal peso della grande macina di pietra che è la globalizzazione.
E’ evidente che occorre superare l’isolamento in cui ingiustamente è caduta l’agricoltura, ridotta a cenerentola delle attività, quando invece è fonte primaria della civiltà dei popoli. Troppe volte è stata agnello sacrificale e il suo sangue versato invano. Ridare un ruolo all’agricoltura in un quadro integrato, insieme ad altre attività potrebbe costituire il nucleo attorno al quale si potrebbero sviluppare altre attività complementari, alle soglie di una svolta per questo territorio.
Appare evidente che le considerazioni scaturite da questo sopralluogo siano indicative, pur rappresentando una fotografia dell’attuale situazione. Ovviamente alcune proposte operative, potrebbero trovare spazio nelle attività in atto per la valorizzazione di questo territorio. Anche nell’ambito del progetto pilota del Polo del Carignano, che sta attirando l’attenzione da parte delle comunità scientifiche, rappresentando un progetto unico nel suo genere, la cui riuscita farebbe da volano e da esempio per il mondo viticolo.
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