L'arca olearia

L'olivicoltura albanese si propone di cambiare volto puntando sulla qualità

La maggioranza dei contadini non è avvezza a pratiche agronomiche. Gli ulivi vegetano e danno quello che danno, non vengono né potati né concimati e le annate sono molto alterne. Però c'è chi possiede frantoi modello ed esporta l'olio in Svizzera o lo vende alla catena di alberghi Sheraton (2. Fine)

19 aprile 2008 | Boris Pangerc

L'OLIVICOLTURA NEL PAESE DELLE AQUILE
(Seconda puntata)

Una bellissima mattinata soleggiata di novembre è dedicata alla visita degli uliveti. Non sono le piantagioni che siamo abituati a vedere in Toscana o in Puglia. Gli uliveti albanesi – almeno nell’ambito del distretto di Tirana – sono nascosti in mezzo ai boschi.

Sono quasi tutti ulivi secolari, densamente sparsi in distese intercalate nei boschi. La stragrande maggioranza dei contadini non è avvezza a pratiche agronomiche; gli ulivi vegetano e danno quello che danno; non vengono né potati né concimati e le annate sono molto alterne. Il raccolto avviene molto tardi, a maturazione inoltrata delle drupe e sovente per cascola; il frutto si raccoglie per terra, dicono che è molto più pratico che rischiare di arrampicarsi sui rami molto alti.

“La periferia di Tirana è molto propensa all’agricoltura; produce poco ma di tutto – dice l’ing. Luan Fico (pron. Fitzo) presidente della Camera di Commercio italo-albanese, ora PromAdria , responsabile dell’ufficio di Tirana, che si prodiga a far conoscere le realtà produttive, commerciali e culturali dell’Albania all’estero e ad appoggiare gli imprenditori italiani che hanno interesse a investire e commercializzare in Albania.

"L’olivicoltura - prosegue Fico - è molto importante per l’economia albanese. In Albania crescono uliveti antichi fin dai tempi dei veneziani. In tempi più recenti, durante il regime comunista, si sono fatte grandi piantagioni di ulivi, vigneti, frutteti e tante altre cose ancora. Intorno a Tirana c’erano vigneti, uliveti e piantagioni di pesche che si estendevano fino a Durazzo. Disgraziatamente dopo il cambio del sistema politico la gente ha distrutto tutto per rabbia. Ora piano piano sta rinascendo. Gli ulivi crescono rigogliosi perché il territorio è fertile e il clima è adatto. E anche la saggezza popolare non si è persa e quindi piano piano si sta costruendo un nuovo futuro.”

Varosh, foto di Jasna Pangerc

La tradizione e la realtà odierna si intersecano nelle distese di Ndroq sulle colline di Arbane dove incontriamo Baki Gagush, olivicoltore di 66 anni. Abita a Kalaja nel comune di Ndroq, frazione di Varosh. La sua famiglia coltiva olivi da più di cento anni e lui continua la tradizione. Negli anni ’60 del secolo scorso il governo gli ha confiscato i terreni che gli sono stati restituiti nel 1993. Possiede 50 ulivi della varietà ulli i zi (ulivo nero), vecchi di 500 e 600 anni che danno dai 30 ai 100 kg di olive; la produzione è solo per casa. Ha tre figli che continuano a coltivare ulivi.

Isuf Rabeta di Varosh – dall’aspetto esteriore sembra proprio l’icona del contadino albanese – ha uno sguardo dolcissimo e una voce amica. Possiede 30 ulivi secolari. Non fa pratiche agronomiche, sfalcia solo l’erba sotto le chiome per raccogliere meglio. L’annata di quest’anno era molto povera, gli ulivi hanno prodotto poco-niente. E la delusione gli si legge in faccia.

Varosh, foto di Jasna Pangerc

Mikel Topi invece è giovane, ha trent’anni, anche lui è di Varosh e di mestiere fa il falegname. Su un vasto pendio soleggiato possiede 200 ulivi. Nel 2005 ha prodotto 700 kg di olio, nel 2006 solo 200. Stanno raccogliendo le olive inginocchiati per terra lui, sua moglie Ornella, sua figlia Nethi e la cugina Adelina. Gli alberi sono secolari; non vi salgono sopra perché sono troppo alti; piuttosto scassano i rami o aspettano che le drupe cadano da sole. Poi quando hanno terminato di raccogliere le olive le porta a molire. “I costi più alti li rappresenta il frantoio,“ dice, “e poi ci sono gli oli vegetali che fanno concorrenza.” Vende poco, l’olio lo consuma principalmente a casa o lo regala agli amici. Lui, Mikel, le pratiche di potatura le esegue, lo fa quando può. Coltivare gli ulivi gli piace moltissimo e vorrebbe piantarne degli altri. Gli ulivi in produzione appartengono alla varietà gjukats; è una varietà di ulivo nero che rende fino al 25%. Il microclima della zona è ottimo. Mikel si è trasferito da poco a Tirana. Partendo aveva lasciato l’uliveto in custodia ad altri, ma non è stato curato bene e quindi se l’è ripreso. L’olio lo conserva in taniche di plastica dove versa dapprima 10 cm di acqua e poi sopra versa l’olio. “L’acqua filtra l’olio e si prende tutte le impurità.” Abitualmente non lo travasa, ma lascia galleggiare l’olio sull’acqua e lo toglie man mano che lo consuma. “Fanno tutti così, da sempre!” Mikel Topi continua, con entusiasmo, la tradizione di famiglia.
E dall’ombra dei suoi olivi secolari passiamo a visitare alcuni frantoi.

Dobbiamo ammettere che abbiamo notato ancora molta approssimazione nella cura del lavoro in frantoio e la tecnica di lavorazione è ancora arretrata, sebbene le macchine di trasformazione sono abbastanza recenti. Si bada più alla quantità che alla qualità. Ci sarà molto da lavorare in futuro sull’informazione e sulla tecnica di trasformazione.

Agim Xhumri (economista) e Vladimir Pasmaciu hanno un frantoio in società dal 2004, dove moliscono dai primi di ottobre fino alla fine di dicembre. Le olive – già in avanzato stato di maturazione e portate in frantoio ammassate nei sacchi – vengono molite a una temperatura che varia dai 34° ai 40 ° centigradi. La gramolatura avviene a una temperatura di 40°. L’impianto ha una capacità di trasformazione fino a 32 quintali per volta con quattro gramole. Il frantoio lavora a turni di 12 ore. La lavorazione di un quintale di olive costa 1000 lek (7,60 €).

Intervisto Agim Xhumri. Cos’è cambiato nella mentalità della gente negli ultimi anni?
“Finora per la qualità non c’era interesse, l’importante era fare molto olio. Ora si sta facendo largo una nuova presa di coscienza, gli olivicoltori puntano sulla qualità. Quelli che raccolgono vogliono molire in giornata e non vogliono più aspettare turni lunghi. Su un comprensorio di 9000 abitanti (la zona di Barqe), vi sono circa 350 famiglie che coltivano ulivi e tutti portano i frutti nel nostro frantoio. Poi le olive provengono anche da altre parti, il frantoio non può soffrire tempi morti.”

Come vede la diffusione dell’extra vergine?
“Posso affermare che la produzione olivicola in Albania è praticamente biologica; non ci sono grandi interventi agronomici, ma nemmeno interventi antiparassitari; i prodotti anticrittogamici si usano poco o niente. Il problema sta nei frantoi; si dovrebbe avere la possibilità di lavorare maggiori quantità di olive. La gente insegue sempre di più la qualità, ma l’extra vergine non ha ancora un vero mercato.”

C’è anche però chi si sta attrezzando in modo cospicuo per il futuro. Nell’agriturismo Villa Toscana (una bellissima ristrutturazione di un’antica fattoria) incontriamo Dardi Cinari, manager di elettrodomestici, socio di una grande ditta che oltre alla Villa Toscana possiede anche quattro frantoi. Dardi fa ricerche di mercato, analizza l’olio prodotto nella zona di Ndroq e controlla le etichette.
“Ho fatto una ricerca del mercato albanese – racconta Dardi – e ho appurato che la qualità dell’olio da olive è sotto lo standard accettabile di produzione; con i soci abbiamo deciso di cominciare a fare una produzione di qualità e quindi esclusivamente di olio extra vergine.”
Sono partiti nella primavera del 2006 con un programma molto ambizioso; hanno costruito il frantoio con uno spazio per tre linee di produzione con un sistema italiano di avanguardia. Sotto il frantoio hanno costruito un deposito con sette cisterne da 10.000 litri e due da 5.000 litri. “La nostra intenzione è di convogliare in questo frantoio la produzione delle 200.000 piante di ulivo nella zona di Ndroq. La prospettiva è di commercializzare l’olio extra vergine in Albania e quando la produzione sarà a pieno regime, andare anche sui mercati esteri. Naturalmente una particolare attenzione va rivolta agli olivicoltori; la Società Global Service sta facendo campagne di informazione e la loro reazione è positiva. La Società promuoverà anche degli incentivi per i nuovi uliveti. L’entità dell’intero investimento si aggira sul milione di euro. Una parte dell’investimento dovrà essere ammortizzata anche dall’attività dell’agriturismo Villa Toscana, che in virtù della categoria delle quattro stelle, offre oltre all’albergo una sala conferenze, una sala per le feste familiari, due sale ristorante e una discoteca ed è in grado di gestire eventi. L’offerta è orientata sulla fascia medio alta della popolazione”

Nella città di Kruja, antica capitale del principato albanese Arberia, un nido d’aquila a 600 m di altezza, a 32 km da Tirana verso nord-est, abbiamo conosciuto un altro pezzo della realtà olivicola albanese. Il termine “kruja” significa sorgente. Si dice che alle origini del toponimo “kruja” si ispiri anche il toponimo “Quirinale” che significa sorgente in un posto alto. Kruja è una città fantastica nelle sue vesti antiche, nell’atmosfera medievale che vi si respira, nella grandiosità della natura selvaggia, dei monti e delle rupi che la circondano. E le macchie verde argento degli uliveti che compongono il paesaggio primordiale, danno un senso di profondità dell’orizzonte che si osserva dalle mura dell’antica fortezza-museo e l’animo viene rallegrato dai colori variopinti del tipico bazar orientale che taglia la città in due.

L’eroe nazionale Giorgio Castriota Skenderberg (1403-1468) ha promulgato una legge: chi si voleva sposare doveva prima piantare dieci ulivi, altrimenti il permesso gli veniva negato. Nel solo comune di Kruja prosperano 107.000 ulivi.
A Kruja abbiamo visitato il frantoio, che era all’apice della propria attività; è un sistema a tre fasi con una capacità di lavorazione di 7-9 q di olive all’ora. Gli olivicoltori si ammassavano in cortile, aspettando il proprio turno o semplicemente commentando il raccolto. La varietà delle olive che principalmente si produce a Kruja e dintorni è la kryps (che significa sale); è un olivo da tavola che rende bene anche per l’olio. L’altra cultivar diffusa a Kruja è l’ “ulivo bianco”. Le olive che i contadini portavano a molire erano molto, molto mature; alcuni sacchi erano impregnati del liquido prodotto dal peso del loro contenuto. Le olive sono raccolte per terra; alcuni le battono ancora con le pertiche come facevano gli antichi egizi. Più in là una partita di olive belle e sane che promettevano bene. La pasta veniva lavorata a una temperatura abbondantemente superiore ai trenta gradi. L’olio che fuoriusciva dalla centrifuga era caldissimo. Il sistema non era dei migliori, ma gli olivicoltori presenti erano soddisfatti e andavano e venivano con i trattori e con i furgoni vociando vivacemente.

A Kruja avevamo una guida speciale, Raimond Carapuli - Mondi, una persona di classe e di acume, uno dei volonterosi promotori dell’opinato risorgimento dell’olivicoltura albanese.
Mondi è un commerciante d’olio da olive. Al centro di Tirana ha un magazzino per l’olio, un piccolo laboratorio d’analisi e una piccola linea di imbottigliamento. Commercializza l’olio dal nome “Jal” (che in greco significa occhio chiaro), occhio pulito come la spiaggia del villaggio di Vuno nel sud dell’Albania, da dove Mondi ha iniziato la sua attività di frantoiano nel 1993. Poi ha comprato il frantoio a Kruja dove spreme le olive che acquista dagli agricoltori, dopo di che porta l’olio a Tirana e lo immagazzina in cisterne da 2000 e 5000 litri. Dopo l’imbottigliamento dal taglio di mezzo litro e un litro lo distribuisce da solo nelle rivendite e nei supermercati.

Prima di proseguire per Kruja ci siamo fermati all’Euromax, un supermercato moderno ed efficiente. I suoi scaffali erano colmi dell’olio “Jal” di Mondi; accanto però c’erano molti oli greci e italiani. I prezzi al dettaglio andavano dai 280 ai 1.150 lek al litro. L’olio di Mondi costa 680 lek (circa 5 €).
Mondi parla poco l’italiano, ma si fa capire benissimo.
“Mi rendo conto che bisognerebbe mettere gli ulivi in condizioni di produrre olive per fare l’extra vergine. Innanzitutto bisognerebbe anticipare il raccolto. La gente dovrebbe cambiare la mentalità, ma è molto difficile ottenere cambiamenti veloci. Anche se si volesse anticipare la raccolta delle olive, non si trovano operai disponibili per quel periodo, perché tradizionalmente non si raccolgono le olive così presto e la gente è occupata con altri lavori. Il raccolto per cascola è una delle ragioni per la quale in Albania non si produce l’extra vergine. Solo l’1% si raccoglie dall’albero.
Da dieci anni a questa parte i frantoiani fanno riunioni con gli olivicoltori per spiegare loro i benefici di una raccolta adeguata. Un certo progresso si nota, ma è lento. Comunque di anno in anno si osserva la differenza. Ci sono persone che viaggiano in Italia e in Grecia e portano in Albania idee innovative e l’esperienza altrui. I miglioramenti sono piccoli ma costanti.
Anche le condizioni politiche del nostro Paese non sono ancora stabilizzate; quando cambia il governo, vengono nominati nuovi funzionari e ristrutturati gli uffici e le iniziative restano incompiute e bisogna partire da principio.
Prima di tutto però – sottolinea con determinazione Mondi – deve entrare in testa che l’olio da olive è il cibo più prezioso e più valoroso e più salutistico di tutti!”

Un concetto che è non solo molto chiaro ma anche strenuamente perseguito dalla signora Shpresa Shkalla di Lunder, una regione di mezza collina a sud di Tirana.
La signora Shkalla possiede sicuramente uno dei frantoi modello dell’Albania. Pulito, ordinato e curato non solo l’interno dei locali, dove si moliscono le drupe, ma anche all’esterno. Shpresa Shkalla coltiva gli ulivi da dieci anni; i suoi uliveti sono nella pianura di Farke, che si estende da Tirana fino al monte Dajti. L’uliveto è composto da 135 piante, 35 delle quali sono secolari; l’età del resto delle piante si aggira intorno ai 30 anni. Le varietà a dimora sono: “ulli i bardhe”, leccino e frantoio. Produce dalle 5 alle 10 tonnellate di olive. Da cinque anni produce olio biologico, dopo aver aderito a una proposta dell’Associazione albanese dei produttori dell’agricoltura biologica.
Metà della produzione viene esportata in Svizzera. “Una parte della produzione viene acquistata dalla catena degli alberghi Sheraton – racconta con orgoglio la signora Shkalla – una parte viene anche venduta nel negozio per gli alimenti biologici NATURAL ORGANIK (Organic Agriculture Association – Associazione agricoltura biologica organica.”

Shpresa Shkalla, foto di Jasna Pangerc

Intervisto la signora Shpresa Shkalla. Cosa ne pensa dell’extra vergine in Albania?
“Gli albanesi non si sono ancora abituati all’extra vergine; la gente non sopporta i polifenoli (troppo piccanti). Il gusto si forma educando la gente. Qui in Albania non si è mai parlato di olio extra vergine ad es. in televisione o in genere nei mass media. Io sono fermamente convinta invece che l’extra vergine rappresenta sicuramente il futuro.”

Quali metodi bisognerebbe, secondo lei, introdurre per invertire il trend negativo delle conoscenze?
“Fare promozione, pubblicità. Io sto tentando di farlo con i miei olivicoltori. Tempo fa portavano in frantoio solo olive marce. Ho scritto dei tazebao e li ho fissati sui muri; ho scritto come devono essere le olive portate in frantoio e ho spiegato che solo con olive sane si può ottenere qualità. Ci è voluto del tempo, ma progressivamente i risultati sono arrivati. Anche coloro che l’olio non lo producono, ma vengono solamente ad acquistarlo in frantoio, hanno incominciato ad apprezzare l’extra vergine.
In periferia è più facile educare la mentalità, perché la gente è più a contatto con la terra, capisce meglio e cambia più facilmente.
Ho organizzato anche dei convegni per gli olivicoltori e il progresso si è fatto notare.
In città è più difficile. Il consumatore in città è più legato al gusto tradizionale dell’olio albanese.”

Gli olivicoltori ora portano in frantoio olive sane?
“Si, c’è un sostanziale cambiamento. Molti dei nostri contadini hanno fatto esperienza in Grecia e l’hanno poi trasferita qui. I convegni, la promozione, le esperienze all’estero – tutto aiuta ad acquisire maggiori e migliori conoscenze e a far cambiare le cattive abitudini.
Ora molti portano olive più sane e il loro numero cresce di anno in anno.”

Le sue olive le raccoglie a mano?
“La mia produzione è soggetta a severi controlli che provengono direttamente dalla Svizzera. L’Associazione di alimentazione biologica albanese è collegata direttamente con l’istituzione di ricerca in Svizzera, il FIBL (Forschungsinstitut für biologischen Landbau), che è il più grande istituto di ricerca mondiale che lavora sull’agricoltura biologica. E quindi devo sottostare alle regole che mi impongono queste organizzazioni, altrimenti non rientro nella produzione biologica.”

La signora possiede un nuovissimo impianto a due fasi di una nota marca italiana.
“La lavorazione avviene sotto i trenta gradi,” tende a precisare la signora Shpresa Shkalla. Abbiamo potuto anche accertarci di persona che l’olio extra vergine che produce è veramente di alta qualità.

UNO SGUARDO APERTO AL FUTURO
In conclusione va detto che l’olivicoltura in Albania è ancora lontana dai parametri con i quali normalmente misuriamo l’olivicoltura negli altri Paesi mediterranei. Si sta però attuando una forte inversione di tendenza promossa da singole persone, supportate dal Ministero dell’agricoltura e dalle varie associazioni estere. Questa azione, però, ha ancora effetti molto deboli sulla massa critica rappresentata dagli olivicoltori, che sono tuttora vincolati alla tradizione e al modo antico di produrre olio da olive.

Ci vorrebbero più mezzi finanziari e soprattutto sarebbe necessario un articolato programma di sistematici interventi teorici e pratici da attuare a tappeto almeno in quelle zone dove la dedizione all’olivicoltura è più massiccia.

In Albania ci sono alcune varietà autoctone dell’ulivo come l’ulivo bianco, l’ulivo nero, il kryps, l’ulivo nero, gjykats, l’ulivo boc che andrebbero scientificamente analizzate, tutelate, promosse e diffuse al fine di individuare un olio “albanese” e creare così un’identità oleica. In questo modo si andrebbe a rafforzare quell’identità olivicola che in Albania è abbastanza radicata, ma poco enfatizzata.

I contatti degli operatori albanesi all’avanguardia con le realtà olivicole mediterranee più progredite sono troppo sporadici, pertanto l’olivicoltura in questo Paese andrebbe sostenuta anche per questo verso.
Probabilmente andrebbe incentivata anche l’istituzione di un organismo di collegamento fra le singole realtà olivicole (del tipo “Città dell’olio” in Italia) per razionalizzare lo sforzo promulgativo del settore, per creare sinergie organizzative in tema di convegni, manifestazioni e altre iniziative atte a promuovere l’olivicoltura, ma soprattutto atte a elevare il livello di qualità dell’olio prodotto.

Negli operatori albanesi abbiamo incontrato tanta passione, tanto entusiasmo, tanta volontà di crescere e progredire. Ne hanno tutte le prerogative per farlo; sarebbe più che un atto di solidarietà poterli aiutare e sostenere nelle loro aspirazioni. D’altro canto l’Albania ha una storia millenaria alle spalle e un grande patrimonio culturale; ciò è di primaria importanza per un Paese in via di sviluppo e si traduce in una consapevolezza molto importante – conservare le proprie radici, coltivarle e gratificarle, per conservare un’identità propria in un mondo che ormai si sta inesorabilmente globalizzando.

Varosh, foto di Jasna Pangerc

INDISPENSABILE L’ATTIVITA’ DELL’ASSOCIAZIONE “PROMADRIA”
Uno dei fautori della rinascita olivicola albanese è sicuramente l’associazione “PromAdria” che si prodiga incessantemente a promuovere, coordinare e sviluppare i rapporti economici e istituzionali tra l’Italia e i Paesi dell’Adriatico Orientale. “PromAdria” supporta gli operatori interessati all’aera PAO (Promozione Adriatico Orientale) fornendo loro informazioni su metodi e strumenti di penetrazione e consolidamento sul mercato; offre consulenze personalizzate sotto profilo operativo e affianca le imprese nelle iniziative promozionali per la partecipazione alle fiere estere, alle mostre, seminari, workschop e iniziative simili. Nello stesso tempo promuove l’immagine e la presenza delle imprese in Albania, attiva i contati e i rapporti con le istituzioni ed enti locali e garantisce l’assistenza in loco per tutte le fasi operative di ricerca delle informazioni e supporto ligistico organizzattivo. La “PromAdria” opera in seno e con l’aiuto della Camera di Commercio di Ancona con la quale condivide la sede in Piazza XXIV Maggio, 1 nella capitale marchigiana.

Il responsabile dell’associazione “PromAdria” è l’ing. Luan Fico, che svolge un ruolo di primo piano nel collegamento tra le due istituzioni. Uno dei funzionari più attivi e lungimiranti dell’associazione è il giovane assistente universitario Klejdi Kellici, che tiene i legami con gli operatori interessati alla cooperazione con l’Albania provenienti da varie parti d’Italia e dell’Europa.
L’ing. Fico è stato determinante per la nostra visita nell’Albania olivicola, mentre il sig. Kellici ha curato l’organizzazione logistica nei minimi dettagli.


(Seconda puntata. Fine)

La prima puntata del reportage: link esterno


Le foto sono di Jasna Pangerc