L'arca olearia
La Spagna dell’olio di oliva vince la battaglia dell’export sull’Italia

Un confronto dell’export oleario tra Spagna e Italia denuncia l’effetto delle politiche commerciali aggressive del Paese iberico in Usa, Cina e Giappone
10 febbraio 2023 | Giosetta Ciuffa
Sempre più richiesto l’olio d’oliva fuori dai confini dell’Unione Europea.
Duole purtroppo constatare come l’Italia stia perdendo competitività e che, dopo lo shock della pandemia, ancora manchi di una politica commerciale ad hoc, dando quindi la possibilità ad altri Paesi produttori (Spagna in primis) di fare proprie le nicchie conquistate dall’olio italiano.
Confronto dell’export di olio di oliva tra Italia e Spagna
I dati rilasciati dal Coi, relativi a volume e valore dell’export nell’ultimo quinquennio, mostrano ancora una volta la seconda posizione dell’Italia che, ormai da anni, segue a fatica la Spagna: un colosso nel settore, che da tempo ci ha scalzato dalla prima posizione. I due Paesi, da soli, fanno l’86% dell’export extra UE e l’85 del valore rispetto al resto dei Paesi produttori dell’Unione Europea: Portogallo e Grecia principalmente. Confrontando quindi i numeri degli ultimi 5 anni è facile appurare come, relativamente alle esportazioni extra UE, la Spagna nella campagna 2017/18 partiva da 338.000 tonnellate di volume per un valore di 1.380 milioni mentre l’Italia da 198.000 e 969 milioni (numeri arrotondati per difetto). Le ritroviamo dopo cinque anni, lo scorso autunno, a una distanza che ancora di più sottolinea l’annaspare dell’Italia: 467.000 tonnellate per un valore di 1.869 a fronte delle 234.000 e 1.159 milioni di euro. È piuttosto evidente come il differenziale in volume e in valore non solo sia a favore della Spagna ma è anche andato aumentando nel corso del tempo: mentre l’Italia è cresciuta di circa 40.000 tonnellate, corrispondenti a +15%, la penisola iberica vanta un aumento di 129.000 tonnellate (+27%, quasi il doppio rispetto all’Italia). Idem per il valore: nei cinque anni in oggetto la prima ha guadagnato un modesto +16% mentre la seconda +26%.
Non sarebbe male se con tali volumi riuscissimo comunque a guadagnare una cifra maggiore, cosa che dimostrerebbe la tenuta del mercato, ma purtroppo ciò non avviene e l’attuale conclusione è che, non riuscendo a penetrare il mercato bene quanto la Spagna, stiamo perdendo competitività. Questo dimostra che non guadagniamo neanche in valore aggiunto.
Italia vs Spagna in Cina, Giappone e Stati Uniti
Se ci soffermiamo inoltre sul valore generato da queste esportazioni, vengono naturali alcune considerazioni. Innanzitutto, la Cina, un mercato che in prospettiva potrà dare soddisfazioni: il prezzo dell’olio italiano tra il 2020 e il 2022 ha avuto una variazione più o meno del 39 per cento (la Spagna di poco meno, circa il 38%) mentre la quantità ha subito una flessione (-22% Italia a fronte dell’aumento spagnolo del 9%). È evidente quindi come in Cina l’Italia riesca ancora a creare valore aggiunto rispetto alla Spagna perché a fronte delle minori tonnellate è cresciuto il prezzo: quello cinese è un consumo certamente ancora limitato ma in un mercato emergente che può rivelarsi interessante a lungo termine.
Analoga situazione si è verificata per l’olio spagnolo nel mercato asiatico per eccellenza, il Giappone, dove dal 2020 si è avuto un calo nelle vendite del 26%, ma un aumento del valore dell'export del 35%. Al confronto l'Italia, in pari periodo, ha mantenuto quasi invariato il suo export in volume (+1%), aumentando in valore del 13%. Tali dinamiche possono essere state influenzate dall’entrata in vigore dell’economic partnership agreement (EPA) che ha determinato una diminuzione dei prezzi delle merci provenienti dall’Unione Europea (esentando l’olio proveniente da Paesi extracomunitari).
Infine gli Stati Uniti: sopravvissuta ai dazi imposti dalla presidenza Trump tre anni or sono, l’Italia dell’olio ancora riesce a mantenere un presidio. Genera preoccupazione però il fatto che stiamo perdendo terreno nel mercato extra UE attualmente più maturo che garantisce la maggiore marginalità, nel quale la Spagna avanza più dell’Italia che, nonostante un aumento dei prezzi (+24% export in valore) mantiene le tonnellate vendute quasi invariate (+3%). La Spagna, nello stesso periodo, fa segnare un incremento dell'export del 9% in volume e del 35% in valore. L'Italia, insomma, mostra segni di arretramento. Questo perché la Spagna preferisce portare avanti una politica che favorisca i volumi al fine di erodere la quota di mercato italiana e purtroppo, anno dopo anno, ci sta riuscendo.
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