L'arca olearia
L'olio extra vergine d'oliva italiano è finito, che fare ora?
Finito l'olio italiano, meglio ricorrere a un blend venduto nella Grande Distribuzione o a un ottimo olio estero? Occorre essere obiettivi e brillare di luce propria
10 marzo 2017 | Piero Palanti
Abitualmente non esco di casa senza una bottiglietta di olio extravergine, è il mio lavoro e la mia passione, amo diffondere i sapori, i profumi e i colori dell’olio extravergine di qualità.
Fortunatamente oggi la ristorazione sta diventando più consapevole e attenta sull’utilizzo dell’olio di qualità e quindi in meno occasioni sfodero la mia “compagna” per sopperire alle loro mancanze. La strada è ancora molto lunga … ma sono positivo.
In questi giorni, in una occasione molto speciale, mi sono trovato con un gruppo di assaggiatori (tutti fantastici, permettetemi di affermarlo) e per 4 giorni abbiamo assaggiato delle vere gemme preziose, tutti oli italiani; a tavola invece, provocatoriamente, ho sfoderato varie bottigliette di oli esteri per valutare la reazione dei presenti.
Come sospettavo, ma soltanto alla prova dei fatti possiamo avere la certezza, sono state apprezzate, discusse, confrontate in modo molto professionale. Risultato? Ottimi oli, come lo sono moltissimi oli italiani, ma la conclusione è che dobbiamo continuamente “rincorrere” anziché dominare il mercato.
A questo punto mi sorge spontanea una domanda: se quest’anno è stato prodotto pochissimo olio extravergine di qualità (forse l’Italia è al 5° posto nella classifica dei produttori nel mondo) e gli esperti continuano a ribadire che entro qualche mese finirà, cosa useremo poi?
Avete un piatto preferito che vi riempie di gioia? Se finisse uno degli ingredienti principali della vostra ricetta?
Se il nostro “confort oil” finisse?
Coltivo anche la passione per la cucina, mi piace pasticciare, creare, reinventare e quindi andrò a cercare soluzioni di qualità in tutto il mondo.
Voi cosa fareste?
Tornereste a usare un olio convenzionale della grande distribuzione? (che spesso e volentieri è estero).
Cercherete oli di altre nazionalità purché siano di qualità?
Ho timore di quelle persone che rifiutano il diverso, non vogliono assaggiare a prescindere, si rifiutano di conoscere, di confrontarsi e poi hanno lo smartphone cinese e la macchina tedesca per non parlare dei vestiti che indossano.
La qualità è qualità, come lo è la coerenza.
Dobbiamo finirla di auto proclamarci i migliori in assoluto in tutti i campi. È una visione ristretta del mondo, il confronto è utile alla crescita, essere obbiettivi è sano e smettiamola di denigrare l’altro per sembrare migliori. Amo le persone che non oscurano gli altri per brillare.
Ho i brividi all’idea che finisca l’olio buono per le mie bruschette e se devo passare al burro … che sia di ottima qualità accompagnato a squisite alici.
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Accedi o RegistratiMauro Mastronardi
12 marzo 2017 ore 00:31Buonasera. Innanzitutto vorrei fare i miei complimenti alla redazione di Teatro Naturale ed in particolare al dr. Palante che, meglio di chiunque altro, riesce a stigmatizzare questo momento nefasto dell'olivicultura italiana.
Purtroppo viviamo un'epoca in cui, complici la scarsità della produzione olivicola ed il perfezionamento delle strategie dell'agromafia, ormai l'esistenza del nostro olio sembra appartenere ai racconti della mitologia classica.
Se a quanto egregiamente esposto dal dr. Palante si aggiunge che, grazie all'attività attenta e inarrestabile dei nostri organi di controllo (da ultimo ben sollecitati dalla recente puntata di Mi manda rai3) e all'avanzare della Xilella killer su tutto il territorio nazionale, l'Italia potrebbe annoverarsi al sedicesimo posto della classifica mondiale dei produttori di olio, va da sé che ormai non ci si possa fidare di altri che non dell'albero di olivo del proprio cortile.
Se si considera che grazie al lavoro certosino del CNR Perugino oggi possiamo affermare con una probabilità prossima alla certezza che l'olio italiano non è italiano, che il bio non è bio, che le DOP non sono DOP, che le IGP non sono IGP, diventa difficile continuare quotidianamente a credere nel proprio lavoro di cura e coltivazione di quello che un tempo era il fiore all'occhiello della nostra nazione.
Pensare che Tunisia, Siria, Libano, Marocco e l'Africa tutta siano diventati così temibili dal punto di vista della concorrenza è agghiacciante per tutti quegli onesti coltivatori che con passione, fiducia e sacrificio cercano di continuare a tenere alto il nome di un vessillo che ormai non esiste più.
E mi rivolgo anche ai politici che nulla hanno fatto per evitare che questo accadesse. Anzi, voltando la testa, hanno fatto sì che solo ora, grazie all'evoluzione della scienza sul DNA, si scoperchiasse quel Vaso di Pandora che chissà da quanto tempo era rimasto chiuso.
Concludo solo dicendo: grazie Teatro Naturale, grazie dr. Palante, grazie organi di controllo, grazie CNR di Perugia.
Anche se ormai è tardi.
L'olio italiano è finito!
Scusate lo sfogo sincero di una persona che ancora crede nell'onestà.
stefano petrucci
12 marzo 2017 ore 16:29Magari gli italiani sapessero assaggiare l'olio, è più facile per un asiatico che non ha mai assaggiato l'olio distinguere dal profumo quello buono da quello scadente. Al signor. Mastronardi è giusto quello che dici ad eccezione del DNA. Questo, quando funzionerà (oggi dispongono solo del 20% delle cultivar a Perugia) potrà dirci le varietà di olive ma mai potrà indicarci l'origine geografica. Anche su l'uomo quando si fa il DNA ci può dire se è europeo o cinese ma non dove è nato o dove risiede. Esistono metodi riconosciuti per fare questo ed il DNA non rientra tra questi.