L'arca olearia
Autunni troppo caldi? A rischio è l'aromaticità dell'olio extra vergine d’oliva italiano
Le temperature medie, durante il periodo di raccolta, sono state piuttosto elevate. Che fine fanno allora quei sentori così affascinanti di erba, carciofo, pomodoro? E' possibile salvaguardare il carico aromatico e quello fenolico? Dalle celle climatiche agli scambiatori di calore, tecnologie a confronto nelle parole del Prof. Maurizio Servili
25 novembre 2016 | Alberto Grimelli
La raccolta delle olive è iniziata molto presto, spesso addirittura alla fine di settembre.
Le temperature sono comunque rimaste elevate, intorno ai 24-25 gradi diurni, durante tutto ottobre. Le olive, anche se nelle cassette forate, potevano subire un ulteriore aumento di 2-3 gradi di temperatura. Non era quindi raro che le olive arrivassero al frantoio, alla sera, a temperature di 26-28 gradi. In queste condizioni, considerato il minimo innalzamento termico della frangitura e della gramolatura, le temperature spesso salivano a 30-32 gradi.
In queste condizioni il serio rischio era una diminuzione significativa del carico aromatico dell'olio, pur in presenza di una buona estrazione fenolica, se in frantoio venivano utilizzate gramole chiuse.
Quindi oli amari e piccanti ma con pochi profumi.
I cambiamenti climatici in atto, gli attacchi di mosca sempre più frequenti e la volontà di fare prodotti di alta qualità porta ad anticipare sempre più la raccolta, ma con seri rischi per l'aromaticità dell'olio.
Come ovviare al problema? Ne abbiamo parlato con Maurizio Servili dell'Università di Perugia.
- Temperature troppo alte in raccolta e aromi che spariscono. Alcuni olvicoltori si sono difesi con celle climatiche per raffreddare le olive, altri utilizzando acqua fredda per il lavaggio. Soluzioni efficaci?
Di fronte a una situazione critica si reagisce come si può. Celle climatiche e acqua fredda non sono certo una soluzione strutturale ma emergenziale, che presenta svantaggi pratici e scarsa efficienza. Stoccare le olive nelle celle climatiche in bins spesso non porta tutti i vantaggi desiderati. All'interno della massa di olive il raffreddamento non è omogeneo e certe fermentazioni possono ugualmente innescarsi. Le olive, poi, sono coperte da una cuticola di pruina, una cera, che è un ottimo isolamento termico. Pochi secondi a contatto con acqua fredda non sono certo in grado di raffreddare l'intera polpa ma solo la parte più superficiale. Considerando che i cambiamenti climatici fanno presumere autunni sempre più caldi occorre attrezzarsi in maniera diversa in frantoio.
- Ghiaccio secco durante la frangitura?
Tecnicamente funziona, ovvero si ha un abbassamento istantaneo della temperatura delle olive di parecchi gradi. Tecnologicamente, però, non può rappresentare la soluzione per i costi e per la sostenibilità ambientale. Utilizzando ghiaccio secco si ha la liberazione di quantità significative di anidride carbonica, quindi gas serra. Il ghiaccio secco ha poi un costo importante, tanto che anche nelle cantine vitivinicole si sta sostituendo il ghiaccio secco con l'azoto liquido.
- Mica vorrà suggerire l'azoto liquido in frantoio?
Assolutamente no. Ormai da due-tre anni per i frantoi, almeno fino a una capacità lavorativa di 3-4 tonnellate/ora, possono essere applicati gli scambiatori di calore. Di fatto si ha lo stesso effetto del ghiaccio secco potendo raffreddare la pasta, post frangitura, di 15-17 gradi.
- Quindi da 30 gradi la portiamo a 15 gradi. Non è un po' troppo?
No, perchè così si ottiene la sostanziale inattivazione della polifenolossidasi ma non della lipossigenasi, che lavora bene a temperature più basse. Basti ricordare che a temperature troppo alte si ha più produzioni di alcoli che non di aldeidi, quindi un profilo più maturo che non verde. Meno fenoli persi per ossidazione e più carico aromatico.
- Quantifichiamo i vantaggi...
Secondo la nostra esperienza, condotta ormai su più di 15 varietà da nord a sud, si ha un incremento medio del 20-30%, a seconda della cultivar, sia dei composti volatili sia dei fenoli. Gli effetti maggiori li abbiamo notati su Peranzana, Coratina, Ottobratica, Frantoio e Dritta. A rispondere meno è stata la Moraiolo, probabilmente perchè ha un basso tenore di lipossigenasi. E’ infatti probabile che vi sia una relazione tra attività enzimatica assoluta contenuta nel frutto dell’oliva e produzione aromatica rilasciata nel corrispondente olio ma questa linea di ricerca andrà ancora approfondita.
- Lavorare a 15-17 gradi può provocare un abbassamento delle rese?
Il problema può esistere solo nel caso in cui, dopo il raffreddamento con scambiatore di calore, la pasta vada direttamente al decanter. In questo caso abbiamo notato rese inferiori anche di 2-3 punti. Se invece la pasta venene gramolata in gramola chiusa per periodi compresi tra 20 e 30 minuti dai 25°C ai 30 °C , secondo la nostra esperienza, non ci sono significative differenze nella resa.
- Non rischiamo di complicare eccessivamente il frantoio con tutta questa nuova tecnologia? Chi sarà in grado di gestirla?
Lo scambiatore di calore è una tecnologia molto semplice, quindi non si può parlare di complicare il frantoio. Accadrà, magari, se verranno implementate negli impianti oleari tecnologie ancora allo studio, come ultrasuoni e campi elettrici pulsanti. Migliorare l'efficienza dei frantoi è la sfida che ci aspetta, con tecnologie che obbligheranno però ad avere figure specializzate in frantoio. La professionalità e la specializzazione sono il futuro anche del comparto oleario.
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alessandro vujovic
26 novembre 2016 ore 16:19Il repentino raffreddamento, post frantumazione, apporta un miglioramento della qualità del prodotto sopprattutto per l'azione differenziale della temperatura sulle velocità di catalisi degli enzimi interessati ma anche una standardizzazione della temperatura di ingresso in gramola. Il problema dell'oliva che entra nel frangitore a temperature ogni stagione olearia sempre maggiori, soprattutto nel sud Italia ed anche per l'anticipo della raccolta, resta. Non sarebbe scientificamente scorretto conservare le olive per 12 ore in cella frigorifera ventilata, il problema è lo spessore della stratificazione. Non boccerei l'impiego di DIOSSIDO di CARBONIO per il problema ambientale "gas serra" perchè non viene prodotta apposta ma liquefatto il gas come sottoprodotto di altri procedimenti industriali (es. fermentazioni, combustioni) ma per i costi.