L'arca olearia

L'analisi del DNA sull'olio d'oliva è valida ai fini probatori: ok dal Tribunale del riesame

Il Tribunale del riesame di Bari ha confermato l'impianto accusatorio della Direzione Distrettuale Antimafia, convalidando i decreti di sequestro a carico dell'azienda olearia di Fasano e del laboratorio di certificazione di Monopoli. Via libera all'analisi del DNA sull'olio d'oliva

22 gennaio 2016 | T N

Il caso dell'inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari si arricchisce di un nuovo capitolo.

Alcuni tra gli indagati hanno infatti impugnato, di fronte al Tribunale del riesame, i decreti di sequestro firmati dalla procura che hanno messo sotto accusa, ai primi di dicembre dell'anno scorso, ben 7000 tonnellate di falso olio extra vergine d'oliva Made in Italy.

Il ricorso, che la nostra giurisdizione ha previsto a tutela degli interessi degli indagati, è però stato respinto.

L'impianto accusatorio del pubblico ministero Renato Nitti, basato sulla prova del DNA, ha quindi superato un primo importante scoglio.

La tesi degli avvocati difensori degli indagati, respinta dal Tribunale del riesame, era che l'analisi del DNA, non essendo ufficiale, non potesse essere prodotta in giudizio né un'accusa potesse basarsi su tale test, non riconosciuto, sebbene validato a livello scientifico.

Il Tribunale del riesame ha però confermato in toto i decreti di sequestro emessi a carico dell'azienda olearia di Fasano e del laboratorio di certificazione di Monopoli.

La decisione del Tribunale del riesame ha una portata molto più ampia rispetto al caso specifico, di fatto validando, ai fini dell'emissione di misure cautelari, la prova del DNA.

A seguito di questa importante decisione, che non sappiamo se gli indagati impugneranno di fronte alla Cassazione, i pubblici ministeri di tutta Italia sono legittimati a utilizzare il test del DNA sull'olio d'oliva come prova di un impianto accusatorio.

Ricordiamo infatti, in base al comunicato stampa del Corpo Forestale dello Stato del 3 dicembre scorso, come la presunta frode in commercio è stata scoperta: “i risultati delle analisi (ndr analisi del DNA) incrociati con quelli sulla tracciabilità ricavati dai registri informatici hanno permesso di accertare che migliaia di tonnellate di olio ottenuto mediante la miscelazione di oli presumibilmente extravergini provenienti anche da Paesi extra Unione Europea come Siria, Turchia, Marocco e Tunisia venivano venduti sul mercato nazionale e internazionale (statunitense e giapponese) con la dicitura facoltativa 100% italiano, configurando così una frode in danno al Made in Italy.”

Le analisi del DNA, effettuate dall’Istituto di Bioscienze e Biorisorse (CNR – IBBR) di Perugia, hanno insomma permesso di scoprire che nell'olio commercializzato come 100% italiano vi era in realtà olio di cultivar siriane, turche, marocchine e tunisine.

Significativo il fatto, non rilevato dai più, che il comunicato stampa non faccia riferimento a varietà spagnole, come Arbequina e Arbosana, o alla greca Koronieiki ormai diffuse sul territorio nazionale grazie soprattutto agli oliveti superintensivi, ma a varietà che sicuramente, per quanto di nostra conoscenza, non hanno diffusione sul territorio nazionale se non in qualche campo collezione o in pochissimi esemplari, non tali, comunque, da giustificare quantitativi prodotti dell'ordine di grandezza emerso dall'inchiesta: 7000 tonnellate.

Il verdetto del Tribunale del riesame, ci teniamo a sottolinearlo, non configura la colpevolezza degli indagati, esprimendosi solo sulla validità dei provvedimenti cautelari emessi.

Stabilita la piena legittimità dei decreti di sequestro, la Direzione Distrettuale Antimafia di Bari dovrà sostenere nei vari gradi di giudizio la propria tesi accusatoria, sapendo però di potersi basare sull'analisi del DNA quale elemento di prova. Un importante risultato, utile ai fini della piena trasparenza del settore.

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