L'arca olearia
Per parlare correttamente d'olio extra vergine d'oliva occorre partire dall'ABC
Sicuri di saperne a sufficienza di chimica olearia? E di assaggio? Si comincia una chiacchierata virtuale con “quell’amica che se ne intende”, un momento per aprire le quinte e rendere visibile cosa c’è dietro, e dentro, una bottiglia di olio
24 gennaio 2014 | Pina Boccia
Olio extra vergine d'oliva al femminile. Non solo dietro ai fornelli o alle prese con creme e altri cosmetici. Nel mondo olivicolo-oleario le donne rappresentano un valore aggiunto e sono in ogni dove. Anche in laboratorio, anche nei percorsi di certificazione di qualità.
Pina Boccia è entrata nel mondo dell’olio 10 anni fa quando si è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari all’Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi in chimica e tecnologia degli oli e dei grassi sull’analisi sensoriale dell’olio extra vergine di oliva. Oggi è una signora dell'olio di Pandolea e continua a occuparsi di olio extra vergine d'oliva e della sua valorizzazione.
“Per questa ragione – spiega Pina Boccia ai lettori di Teatro Naturale – ho voluto chiamare questo appuntamento LO&G, lo stesso nome del laboratorio dell’Università di Napoli in cui ho conosciuto per la prima volta l’affascinante mondo dell’olio e in cui ho trascorso innumerevoli pomeriggi, lavorando alla mia tesi, analizzandolo e assaggiandolo.
Non svolgerò certo analisi chimiche o sensoriali e non ci saranno né provette né beute, ma cercherò di illustrare con semplicità concetti di chimica e di tecnologia relativi all’olio extra vergine di oliva che possono sfatare tanti luoghi comuni, ahimè ancora radicati, e indirizzarvi meglio nella scelta dell’olio da utilizzare, acquistare o regalare.”
Conosciuta Pina Boccia facciamoci quindi guidare nel mondo dell'olio extra vergine d'oliva, cominciando dall'ABC.
Oggi vi porto con me in sala panel. Un luogo silenzioso in cui mi riunisco con almeno altri 7 assaggiatori professionisti e, guidati da un capo panel, classifichiamo gli oli vergini di oliva.
I campioni da assaggiare li ricevo in un bicchiere blu perché il colore dell’olio non mi dà indicazioni sulla sua qualità e, dopo averli leggermente riscaldati (intorno ai 28 °C), prima li valuto con l’olfatto e poi li assaggio. Così, tal quali, senza pane!
Nella riservatezza della mia postazione, compilo una scheda per ogni olio segnando l’intensità degli eventuali difetti e dei pregi (fruttato, amaro e piccante) e poi la consegno al capo panel che elabora i risultati di tutti gli assaggiatori e assegna la categoria merceologica:
- se non ha difetti e il suo fruttato è superiore a 0 (di mediana) si tratta di un extra vergine;
- se il suo fruttato è superiore a 0, ma ha qualche piccolo difetto, è un vergine;
- se ha grossi difetti e il fruttato non è stato percepito, è proprio un lampante. E ora sapete che destinazione avrà.
Però ora basta difetti, la prossima volta assaggeremo un buon extra vergine amaro e piccante… sì, certo che sono dei pregi! Non lo sapevate?
Oltre all’analisi sensoriale, come vi accennavo, sono tantissimi i parametri analitici da valutare in laboratorio per poter classificare un olio come extra vergine, vergine o lampante.
Puntiamo l’attenzione sui alcuni di essi: acidità, perossidi e indici spettrofotometrici.
Sono i primi parametri che si vanno a valutare quando, in laboratorio, si ha davanti un olio ottenuto dalla spremitura delle olive. I loro valori danno, in un tempo ridotto (le procedure chimiche per giungere al risultato impiegano poco tempo), un’idea molto prossima alla realtà della qualità del prodotto analizzato. Si definiscono infatti parametri di qualità per distinguerli da quelli di genuinità che indicano invece eventuali frodi come, ad esempio, le aggiunte di oli di semi o di sansa.
Conoscere la percentuale di acidità, il numero di perossidi e il valore degli indici spettrofotometrici può escludere da subito che quell’olio sia extra vergine, oppure si può avere un’indicazione della sua conservabilità nel tempo. L’olio infatti, per quanto conservato in condizioni ottimali, è naturalmente sottoposto ad un processo di ossidazione, cioè invecchia per natura, proprio come noi!
Il valore dell’acidità ci dà informazioni sulla qualità della materia prima, infatti olive danneggiate, attaccate dalla mosca, raccolte in avanzato stato di maturazione o conservate male a lungo prima della spremitura danno oli con un’elevata acidità. Anche una gramolazione ad elevata temperatura o una mancata filtrazione possono dare alti valori di acidità e di conseguenza oli che, all’analisi sensoriale saranno definiti difettati.
L’acidità si misura solo ed esclusivamente in laboratorio, ma molti la confondono con la sensazione pungente tipica degli oli ricchi in antiossidanti, credendo erroneamente di poterla valutare al palato!
Il valore mssimo ammesso per l’olio extra vergine di oliva è 0,8%, ma un olio di buona qualità di mantiene molto al di sotto di questo limite.
Il numero di perossidi dà un indicazione sullo stato ossidativo (precisamente sull’ossidazione radicalica) dell’olio.
Un olio appena prodotto ha già una piccola quantità di perossidi che poi possono aumentare, anche oltre il limite previsto di 20 meq O2/kg, per le cattive condizioni della materia, per l’elevata temperatura durante la gramolazione ma soprattutto durante la fase di travaso e filtrazione per il contatto con l’ossigeno dell’aria.
Per semplificare, si potrebbe far passare il concetto che più il numero di perossidi è elevato, più l’olio è vecchio, è stanco.
Poiché il numero di perossidi, durante la conservazione, dopo un’iniziale aumento tende a diminuire, per definire meglio lo stato ossidativo dell’olio è necessario valutare anche k232, k270 e ΔK (si legge delta k, k è coefficiente di estinzione), ossia i parametri che misurano l’assorbimento della luce ultravioletta da parte dell’olio.
K232 misura l’assorbimento della luce ultravioletta ad una lunghezza d’onda di 232 nanometri e ci indica se la struttura dell’olio si è modificata in seguito all’ossidazione (in termini tecnici, se si formati dei doppi legami coniugati). Questo paramento può aumentare se le olive sono eccessivamente mature, danneggiate o attaccate dalla mosca, se la gramolazione avviene in condizioni non ottimali e se c’è un aggiunta fraudolenta di olio rettificato. Condizioni, che all’analisi sensoriale, possono essere rilevate attraverso la presenza di difetti quali verme o cotto.
Secondo la normativa vigente il valore massimo per l’olio extra vergine è 2,5.
K270 misura l’assorbimento della luce ultravioletta ad una lunghezza d’onda di 270 nanometri mentre ΔK dipende dall’assorbimento della luce ultravioletta a lunghezze d’onda prossime a 268 nanometri, entrambi ci indicano lo stato di ossidazione secondaria, vale a dire se la struttura dell’olio si è ulteriormente modificata dopo la formazione dei doppi legami (in termini tecnici, se si formati addirittura tripli legami coniugati).
Le olive e il processo produttivo non influenzano tali parametro che possono invece aumentare durante la conservazione e in caso di trattamenti fraudolenti di rettificazione.
Per l’olio extra vergine di oliva, il valore massimo per K270 è 0,22, per ΔK è 0,01.
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