L'arca olearia
Oli a denominazione di origine, il prezzo fa la differenza?
La domanda più frequente è: "perché debbo spendere così tanto per un extra vergine a marchio Dop?" A questa e ad altre domande i consorzi di tutela che ricadono sotto l'egida di Aicig hanno fornito una risposta esauriente e completa
12 maggio 2012 | Carlotta Baltini Roversi
Dopo il felice esordio a Milano, in occasione di Olio Officina Food Festival, i quattro consorzi di tutela degli oli a denominazione di origine protetta che ricadono in Aicig, l'Associazione Italiana dei Consorzi Indicazioni Geografiche, si sono presentati insieme sotto l’insegna "Oli Dop - Tutti autentici. Ciascuno Speciale". Sono quattro le espressioni dell’eccellenza oliandola italiana, si va dagli oli del Chianti Classico a quelli del Garda, da quelli della Riviera Ligure a quelli di Val di Mazara. E’ stato un grande successo, con le degustazioni guidate che hanno fatto percepire a coloro che vi hanno partecipato quanto sia importante prendere in esame lo stato delle produzioni olearie a denominazione di origine.
Il principio di fondo è l’autenticità, che in tempi in cui si vive d’incertezza non è un valore da trascurare. L’altro principio su cui si muovono i quattro consorzi di tutela, è un’altra constatazione centrale e determinante: il prezzo. La differenza, hanno sostenuto in coro i rappresentanti dei vari consorzi non è solo nel prezzo. C’è dell’altro. Ed ecco allora il quadro dei costi nel dettaglio, presentato a Parma in occasione del Cibus.
Una bottiglia da 250 ml, che è una misura tra l’altro molto richiesta. Costa al produttore da 2,5 a 4,3 euro. Mentre una bottiglia da mezzo litro, che è invece il formato più diffuso tra gli oli a marchio Dop, al produttore la bottiglia costa da non meno 3,77 a 6,7 euro. Questo è quanto è emerso dai dati presentati a Parma, e riguardanti i consorzi citati.
Facciamo un po’ di conti. Non ci sono numeri esatti, esistono differenze tra territori e territori, ovviamente. Al Sud, in Sicilia, gli oli Dop Val di Mazara, per esempio, una pianta d’olivo produce 7 kg ad albero. Nel nord, invece, sia sul Garda che nell’area della Riviera Ligure, la pianta produce 4 kg, mentre in centro Italia, in Toscana, nell’area del Chianti un albero produce ben poco: 1 kg o se va meglio un kg e mezzo. Già da questi dati è possibile fare le dovute riflessioni. Si comprende bene come il prezzo finale dipenda anche da quanto una pianta riesce a produrre. Non solo. I costi di potatura non sono uguali di regione in regione. Mentre in Toscana dei piccoli alberi vengono a incidere per un costo pari a 4 euro per olivo, nelle altre regioni si arriva ai 10-12 euro a pianta.
Sappiamo bene che le pratiche colturali non si esauriscono qui: c’è la concimazione, la lavorazione del terreno, l’eventuale taglio dell’erba, i vari trattamenti fitosanitari e soprattutto, costo davvero importante, la raccolta, oltre poi ai costi di estrazione in frantoio. Tutto questo può incidere dai 5 ai 9 euro al kg.
Tralasciamo l’elenco di tutte le fasi successive inerenti l’olio estratto fino alla collocazione in bottiglia e al trasporto. Alla fine l’intera operazione dal campo al prodotto messo in vendita non può costare al produttore meno di 7,54 euro. Al litro. Da qui – si sono detti i rappresentanti dei consorzi di Aicig – la domanda che sorge spontanea a chiunque si incuriosisca un po’ e si accosti all’olio Dop con la dovuta attenzione: a quanto può essere presentata al consumatore una bottiglia d’olio?
Ecco le risposte fornite dai consorzi di tutela a Parma: una bottiglia da 250 ml da non meno di 3,50 a 6 euro; una bottiglia da 500 ml da non meno di 4,50 a 8 euro. Al che il consumatore legittimamente si chiede: “perché debbo spendere tanto per un olio a marchio Dop, visto che si può acquistare un extra vergine senza denominazione di origine a cifre inferiori?
La risposta è stata: perché le olive provengono da territori specifici, da oliveti dall’origine certa. E’ inutile dire che non si tratta di una questione puramente legata al gusto e al piacere sensoriale che un dato territorio può offrire, nella scelta di un extra vergine Dop vi è anche, non meno importante, una scelta etica. Sì, etica, perché significa anche premiare i custodi del territorio e del paesaggio, gli olivicoltori, con la conseguente buona tenuta strutturale del territorio, e non è poco.
C’è anche la qualità, in ogni caso. Visto che esistono i disciplinari di produzione, con controlli minuziosi e perfino le valutazioni di un panel di assaggiatori. E non solo, ci sarebbe da aggiungere: negli oli Dop tra l’altro è obbligatoria la segnalazione dell’annata di produzione. La differenza – concludono soddisfatti dell’ottima risucita del Cibus i consorzi aderenti ad Aicig – non è solo nel prezzo.
Ora, noi ci chiediamo, e chiediamo a voi tutti: ma il consumatore questo messaggio lo capirà davvero?

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Emanuele Aymerich
12 maggio 2012 ore 15:26per rispondere all'ultima domanda: la risposta è ininfluente in quanto è il commerciante al dettaglio, ultimo anello della filiera, il vero ostacolo. Anche se capisce la differenza (a volte capita) sa che se dovesse applicare lo stesso ricarico percentuale che applica sull'olio non DOP avrebbe un prezzo finale eccessivo che ridurrebbe moltissimo la rotazione sullo scaffale, pertanto non trova l'articolo interessante e preferisce sostituirlo con una referenza locale ma non DOP. Per vendergli una DOP bisogna quindi praticargli prezzi molto vicini al non DOP.
Se poi il negoziante è in una località turistica che gli permette un alta rotazione di oli di marchio locale egli starà attento a scegliere quelli dove potra applicare il ricarico maggiore, cioè aziende si di zona ma non certificate DOP, tanto la vendita non ne risentirà. Perchè la gente quindi vedrà un indirizzo locale e non capirà la differenza tra "prodotto e confezionato da" e "confezionato da". Quindi non c'è convenienza a spendere e tribolare per certificare il proprio olio: il piccolo vantaggio che forse si riesce a spuntare viene cannibalizzato dalle spese per la certificazione, con in in più tutta la noia degli aspetti burocratici.
Se poi ci mettiamo che le DOP dell'olio sono spesso scopiazzate da quelle del vino, con conseguenti incongruenze, e gli obblighi sulle dimensioni e la grafica da apporre sulle etichette, beh passa la voglia definitivamente.
Io ho la metà degli oliveti superintensivi, raccolti a vendemmiatrice, sono tutti di ottime cultivar DOP ma il tipo di raccolta, la resa per ettaro e il sesto non ne permettono la certificazione benchè la qualità del prodotto sia nettamente superiore a quella dei miei oliveti tradizionali, inoltre sono obbligato a scrivere sul frontespizio SARDEGNA come prima riga e a caratteri letteralmente cubitali, superiori al marchio, e inoltre appore lo stemma della DOP sarda che è una ridicola e grossa testa d'asino (forse a ricordare ai più che a volte veniamo poco gentilmente chiamati sardagnoli), che forse potra andare bene nei supermarkt ma non certo nelle linee di nicchia di bottiglie di gran lusso destinate ai ristoratori di alto livello che sono gli unici che sono disponibili a pagare bene la qualità. Quindi fin ora, nei rari casi in cui mi serve per forza una fornitura di bottiglie DOP la commissiono a grosse ditte esterne come prodotto a marchio: lo pago due soldi, guadagno di più e lavoro meno. E lo stesso discorso vale per il mio oliveto Bio. Triste realtà.