L'arca olearia
La battaglia dell’export per gli oli di oliva
Le marche italiane? Sono riuscite a crescere quanto quelle spagnole, se non di più. Sul prodotto confezionato è confermata la leadership mondiale. Interviene Claudio Ranzani, direttore generale di Assitol, per fare il punto della situazione. La burocrazia a carico dei nostri imprenditori – scrive - è inutilmente costosa e soffocante, l’export incontra spesso ostacoli e costosi ritardi
19 novembre 2011 | T N
Caro Direttore,
ho letto con vivo interesse le considerazioni di Massimo Occhinegro sui “veri dati” dell’export e vorrei qui trarne spunto per fare a mia volta qualche riflessione.
Un primo elemento è che anche Occhinegro constata quanto abbiamo visto noi confrontando i dati del nostro monitoraggio (e della somma dei nostri dati con quelli del commercio) con quelli periodicamente diffusi dalla nostra consorella spagnola: almeno fino all’estate del 2011 (il trend si è successivamente modificato sia per noi che per la Spagna) l’export complessivo di oli d’oliva è sensibilmente cresciuto ed all’interno di questo aumento le marche italiane sono riuscite a crescere quanto quelle spagnole, se non di più.
Ne risulta così confermata la leadership mondiale delle nostre marche, visto che il nostro export è tutto di confezionato, mentre quello spagnolo è complessivamente superiore al nostro, ma ha una cospicua parte di sfuso.
Per quanto riguarda le esportazioni al di fuori dell’Unione europea, ci pare particolarmente interessante segnalare (questi dati ci sono stati distribuiti dalla Commissione europea ieri) che già nei primi dieci mesi della campagna 2010/11, chiusisi il 31 agosto, le nostre imprese hanno esportato un quantitativo di oli superiore a quello dei dodici mesi della campagna precedente, distanziando di un buon 10% i concorrenti spagnoli, che pure anche in questo caso esportano molto olio sfuso.
Quello che Occhinegro non dice, ma che vorrei sottolineare io, è che questo risultato si è ottenuto dopo un considerevole sforzo promozionale del “sistema Paese” Spagna nei principali mercati, sostenuto da molti milioni di euro di finanziamenti pubblici, sforzo promozionale che evidentemente le nostre imprese sono riuscite a contrastare efficacemente.
Mi pare anche utile aggiungere che sono molto meno pessimista di Occhinegro sui “nuovi mercati”; basta ad esempio guardare la crescita del nostro export in Cina per concludere che le nostre imprese non hanno certo perso la competizione con i concorrenti spagnoli.
Vorrei infine aggiungere qualche considerazione alle conclusioni di Occhinegro, che rileva che saranno necessari investimenti sui nuovi mercati nei prossimi anni per vincere la sfida.
Concordo pienamente con lui, ma osservo che per fare investimenti promozionali occorrono soldi, che possono arrivare da finanziamenti pubblici oppure devono essere trovati all’interno dei bilanci aziendali.
Da anni non vi sono finanziamenti pubblici nazionali per i prodotti di marca e le scarse risorse sono destinate esclusivamente a prodotti di nicchia, come le DOP e le IGP, che costituiscono meno dell’1% del nostro export.
Da qualche tempo, poi, sembra che il nostro “sistema Paese” si dedichi ad erodere i margini commerciali delle nostre imprese in tutti i modi possibili: l’importazione di oli in regime di TPA (Traffico di perfezionamento attivo, n.d. R.) è paradossalmente più semplice in Spagna, dove la produzione è fortemente eccedentaria, che in Italia, notoriamente e fortemente deficitaria, la burocrazia a carico dei nostri imprenditori è inutilmente costosa e soffocante, l’export incontra spesso ostacoli e costosi ritardi.
Ognuno degli aspetti sopra evidenziati, e se ne potrebbero citare altri, si traduce in costi aggiuntivi rispetto ai concorrenti spagnoli e, in definitiva, in perdita di risorse che sarebbe invece vitale poter destinare a quelle iniziative promozionali che anche Occhinegro giudica necessarie per il futuro delle nostre imprese.
C’è da stupirsi che nel settore sempre più si parli di spostare all’estero molte produzioni e che qualcuno abbia iniziato a farlo?
Lascio a lei giudicare quanto tutto ciò possa influire sui posti di lavoro in Italia ed aiutarci ad uscire dai guai economici e finanziari in cui il nostro Paese si è cacciato.

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FRANCESCA PIANTONI
22 novembre 2011 ore 11:43Sono pienamente d’accordo con il Direttore Ranzani, alla luce anche delle considerazioni sulla base dei dati ufficiali del 2010, forniti dal Ministero delle Politiche Agricole alla Commissione UE che indicano che la produzione di Olio di Oliva è stata di 300.000 TM contro un'importazione soprattutto in regime di libera circolazione comunitaria ed anche da Paesi Terzi, di 608.000 TM e con una riesportazione di 396.000 TM
I dati esposti indicano che l'importazione viene ad integrare i consumi interni per 212.000 TM e quindi viene totalmente riesportata per 396.000 TM. Pertanto dell'esportazione italiana se non tutta, la maggior parte è di importazione spagnola o comunque non prodotta in Italia.
In effetti varebbe la pena per molte aziende risparmiare il trasporto dalla Spagna all’Italia e by-passare tutti gli intralci amministrativi in essere nel nostro Paese.