L'arca olearia 30/04/2011

Grandi imprese. Gli olivi in Valtellina sono ormai una realtà

Grandi imprese. Gli olivi in Valtellina sono ormai una realtà

Un importante studio della Fondazione Fojanini di studi superiori ci fa capire che l'olivicoltura cosiddetta "eroica" esiste. Ecco l'approfondito e articolato progetto su un confronto varietale tra cultivar di olivo resistenti al freddo in ambiente montano. Ad oggi vi sono circa 5 mila piante


Riportiamo di seguito la parte descrittiva relativa al progetto che la Fondazione Fojanini di studi superiori ha realizzato in merito al confronto varietale tra le varie cultivar, in cui viene descritta la situazione dell'ulivo in Valtellina. I dati sono relativi ad alcuni anni fa, attualmente si stima la presenza di circa 5 mila piante per una produzione di 3 - 4 quintali di olio extra vergine di oliva.

Quest'olio ho avuto modo di degustarlo e presto sarà recensito su Teatro Naturale, anche se non è ancora in commercio. Le olive da cui è stato ricvato l'olio nell'ultima campagna olearia provengono dai campi sperimentali della Fondazione e la molitura è stata eseguita presso il frantoio di Biosio, frazione di Bellano. 

Ringraziamo per la disponibilità sia Claudio Introini, presidente della Fondazione Fojanini, sia Ivano Fojanini. (L. C.)


CONFRONTO VARIETALE TRA CULTIVAR DI OLIVO RESISTENTI AL FREDDO IN AMBIENTE MONTANO

 

 Analisi dei fabbisogni e stato dell’arte

L’origine della coltivazione dell’ulivo, pianta tipica del Mediterraneo, si situa nella notte dei tempi. Le ricerche archeologiche hanno consentito di collocarne le prime tracce al V millennio a.C., in Israele. In effetti è proprio la Bibbia una delle fonti più antiche di riferimento per l’esistenza dell’ulivo: nella Genesi si narra che Noè, dopo il diluvio universale, fece uscire dall’arca una colomba che “tornò sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo”.

Più tardi, nel V secolo a.C. uno storico greco scriveva: “ i popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando iniziarono a coltivare la vite e l’ulivo”. Infatti le prime forme di civiltà occidentali si manifestarono proprio nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo orientale e che detennero il primato nella olivicoltura e nella produzione di olio. Questi paesi fecero di questo prodotto la fonte primaria della loro civiltà e della loro ricchezza, come testimoniano i numerosi reperti archeologici e i documenti della storia antica. Il commercio marittimo di olio era la base dell’economia dei Cretesi che lo esportavano in tutto il Mediterraneo, particolarmente in Egitto. Il suo uso non era soltanto a scopo alimentare: già dagli albori di queste civiltà la pianta dell’ulivo e l’olio da essa prodotto assunsero un significato più profondo, mistico: frequenti le fonti iconografiche che mostrano chiaramente come essi entrassero nelle cerimonie dedicate al culto degli dei, quindi avessero un uso rituale, e che l’olio si utilizzasse anche per uso balsamico.

Fu comunque la Grecia la terra in cui l’ulivo trovò la sua collocazione più feconda. Il mito attribuisce ad Atena il merito di aver donato questa pianta agli uomini i quali, a loro volta, gratificarono la dea assumendo l’ulivo come sacro simbolo della stessa divinità e della città di Atene ad essa dedicata.

A partire dall’VIII sec. a.C., con la colonizzazione greca dell’Italia meridionale, la coltivazione dell’ulivo venne introdotta in quella che verrà chiamata Magna Grecia; a quell’epoca, notevole fu la sua diffusione e straordinaria la produzione di olio.

Saranno poi i Romani a diffondere in tutto il loro impero, quindi anche nel bacino nord-occidentale del Mare Nostrum, la coltivazione dell’ulivo, il cui prodotto finirà per assumere un ruolo sempre più sostanziale nell’economia generale dell’impero.

Gaio Plinio Secondo afferma che esistono quindici specie di ulivo e ne elenca i pregi, riconoscendo all’olivo un’importanza seconda soltanto a quella del miracoloso succo d’uva.

L’ulivicoltura continuò naturalmente anche dopo la caduta dell’impero romano, anche se il conseguente involversi dei costumi e dell’economia fecero diminuire drasticamente la produzione e la commercializzazione dell’olio.

Dopo l’anno mille, furono le spinte religiose e politiche a riavviare le attività, in virtù soprattutto delle ricche donazioni di uliveti fatte alla Chiesa dai Longobardi, Normanni, Svevi e Angioini; saranno le Repubbliche Marinare a riattivare il commercio dell’olio nel bacino del Mediterraneo.

La tradizionale millenaria coltivazione dell’ulivo ha sicuramente interessato nei secoli passati anche la Valtellina e la Valchiavenna, territori facenti parte dell’impero romano. Le nostre vallate rappresentavano infatti un’importante zona di collegamento per i commerci tra l’area mediterranea e il nord dell’Europa. L’ulivo, pianta dalle spiccate esigenze mediterranee, ha certamente trovato sulla sponda retica della valle dell’Adda ed in alcune zone della Valchiavenna, mitigate dalla vicina presenza del lago di Como, il microclima ideale per il suo sviluppo. Tuttavia la pianta ebbe sempre un ruolo secondario rispetto alle coltivazioni tradizionali che davano sostentamento alle popolazioni locali, come i cereali, i prati da foraggio, la vite e più recentemente, la patata.

A partire dalla seconda metà del millesettecento, con il susseguirsi di annate molto fredde e per un periodo piuttosto lungo, durato fino alla metà del secolo successivo, l’ulivo si estinse dai territori dell’Europa settentrionale, rimanendo una coltura legata solamente all’ambiente mediterraneo. In questo contesto, si può ipotizzare l’esistenza di fonti storiche che documentino la presenza nel passato dell’ulivo in provincia di Sondrio, anche se come visto, sottoposto ad alterne vicende. Tuttavia, visto il ruolo secondario rivestito dalla specie, non esistono attualmente ricerche storiche in merito.

In anni più recenti l’ulivo è ritornato in valle, con il ruolo principale di pianta ornamentale, oltre a quello, mai abbandonato, legato ai riti cattolici della Pasqua. Numerosi i “broli” di ville padronali in sponda retica che vedono la presenza di questa pianta, la quale non ha mai perduto la sua “sacralità” che ha attraversato indenne tutta la storia dell’uomo.

Da una decina di anni a questa parte, si assiste localmente ad un rinnovarsi dell’interesse verso questa specie. La coltivazione dell’ulivo potrebbe infatti essere una valida alternativa all’abbandono, soprattutto dei piccoli appezzamenti di terreno siti vicino alle abitazioni, difficilmente meccanizzabili sia per le piccole dimensioni, sia, spesso, per la loro difficile giacitura.

Va ricordato inoltre che, rispetto ad altre coltivazioni, nella realtà locale, la pianta dell’ulivo necessita di poche cure e quasi nessun trattamento antiparassitario; fatto, quest’ultimo, che gioca un ruolo a favore della coltivazione della specie anche a ridosso e all’interno dei piccoli centri abitati.

Le modeste esigenze della specie consentono di condurre un uliveto ben gestito, impiegando poche ore di lavoro, ottenendo una contemporanea notevole riqualificazione del territorio.

Di fatto, i recenti mutamenti climatici che hanno portato nel territorio provinciale temperature sempre più miti soprattutto nel periodo invernale, hanno incentivato il diffondersi dell’interesse verso l’olivicoltura; sempre più numerosi i soggetti che si dedicano con passione alla coltivazione dell’ulivo e alla trasformazione del prodotto.

Già da ora l’olivicoltura si presenta come un settore che non sarà sostitutivo di altre colture tradizionali, ma che rivestirà un ruolo nuovo, creandosi una propria nicchia legata sia a motivazioni di recupero territoriale, sia salutistici, culinari e tradizionali.

Per queste ragioni, già nel 1996 la Fondazione Fojanini di Sondrio ha intrapreso, recuperando dei terrazzamenti abbandonati nella zona di produzione del Sassella, una sperimentazione di confronto varietale tra diverse cultivar di ulivo.

Allo scopo, sono state messe a dimora una ottantina di piante, scegliendole tra varietà tradizionali e cultivar presenti soprattutto nella zona dei grandi laghi del nord. Le principali cultivar prese in considerazione sono state: Leccino, Pendolino, Frantoio, Radar, Favarol, Grignan, Casaliva, Maurino e Moraiola.

Oltre a queste varietà, utilizzate tipicamente per la produzione di olio, sono state inserite nel piano di lavoro anche delle tipologie a produzione di olive da mensa (Ascolana, S. Agostino).

Dopo dieci anni i primi risultati di questa prova appaiono incoraggianti, in quanto le piante hanno manifestato un regolare sviluppo e negli ultimi anni anche una discreta produzione.

Nell’autunno 2006 la raccolta delle olive delle coltivazioni della Fondazione, unite alle produzioni di altri olivicoltori locali, ha permesso di ottenere dell’olio interamente prodotto in Valtellina.

Nella primavera 2007 sono inoltre stati realizzati presso la Fondazione Fojanini due incontri a tema, uno teorico e l’altro pratico, dedicati all’olivicoltura; questi eventi hanno dato l’opportunità di effettuare un censimento degli olivicoltori locali.

Dall’elaborazione dei dati è emerso che attualmente in Valtellina sono presenti più di 2000 piante di ulivo, la maggior parte di queste impiantate negli ultimi tre anni.

Gli uliveti in valle sono distribuiti a macchia di leopardo, con una maggior concentrazione in tre aree quali: la zona Villa-Bianzone, Tresivio-Poggiridenti, infine Ardenno-Dazio-Morbegno.

Questi primi passi verso l’avvio del settore olivicoltura hanno visto la proficua collaborazione tra la Fondazione Fojanini e la Oliper (Associazione Olivicoltori Perledo). Questo ha facilitato sia il reperimento del materiale vegetale, sia l’acquisizione delle prime nozioni di assistenza tecnica (operazioni di potatura e gestione dell’oliveto) frutto dell’esperienza pratica in campo di un piccolo gruppo di olivicoltori che si dedicano da anni a questa attività.

 

Obiettivi del progetto

L’idea del presente progetto è nata da una collaborazione tra la Fondazione Fojanini e la Facoltà di Agraria di Piacenza, nella persona del Professor Alessandro Roversi.

Obiettivo fondamentale è quello di mettere a confronto alcune cultivar di nuova generazione con elevata resistenza al freddo con cultivar tradizionali.

La sponda retica valtellinese, infatti, si presta egregiamente alla coltivazione dell’olivo, sia per quanto riguarda la quantità di luce ricevuta, che le temperature estive mediamente elevate.

Problematiche potrebbero insorgere nel periodo invernale, quando le correnti fredde continentali e la mancanza di ampi specchi d’acqua con funzione mitigatrice sul clima, come nel caso dei grandi laghi prealpini, potrebbero portare gravi danni alle coltivazioni.

Essendo l’ulivo una pianta tipicamente mediterranea, potrebbero risultare infatti fatali per la sopravvivenza della pianta già temperature dell’ordine di 10/15 °C sotto lo zero. Tuttavia è da notare che negli ultimi inverni non si sono mai verificate tali condizioni.

Interessante risulterebbe quindi individuare le cultivar di ulivo con maggior resistenza al freddo, diminuendo di conseguenza i rischi di perdita di piante, indirizzando in seguito i futuri coltivatori verso le varietà più idonee per il clima locale.

La Valtellina si presta per questa prova anche per il fatto che il settore è completamente nuovo e non ci sono legami con la tradizione.

Mentre infatti in altre realtà la scelta delle cultivar è influenzata da una tradizione locale o da una tipologia di olio già ben conosciuto, oltre ovviamente ai disciplinari di produzione nelle zone maggiormente vocate, la Valtellina non possiede produzioni significative; quindi l’olivicoltura in provincia di Sondrio si presenta un settore tutto da provare e inventare.

 

Risultati attesi

Nei primi anni di impianto ci si prefigge di valutare la riuscita agronomica delle piante; solo successivamente di valutare le rese produttive e le eventuali caratteristiche dell’olio prodotto per ognuna delle cultivar testate.

Ad ogni fine inverno, in concomitanza con le operazioni di potatura, verranno inoltre valutati i danni causati dal freddo, in modo da individuare già dai primi anni le cultivar che dimostrano un migliore adattamento al territorio.

Proprio per questo motivo sarà necessario utilizzare per la prova una località a media quota che risponda bene alle esigenze dell’ulivo nei periodi estivi, ma che presenti i caratteri tipici del clima rigido continentale durante il periodo invernale. Per questo l’area oggetto di questa sperimentazione verrà individuata nel territorio della Comunità Montana Valtellina di Tirano, ad una quota di circa 600 m slm, recuperando dei terrazzamenti ben esposti.

 

Approccio metodologico

Si prevede di mettere a dimora un centinaio di piante, per una superficie investita di circa 1000 m2.

Le 100 piante comprenderanno cultivar tradizionali e cultivar con maggior resistenza al freddo, in modo da individuare in totale circa una ventina di varietà da mettere a dimora.

In particolare le cultivar individuate sono: Ghiacciola, Nostrana di Brisighella, Mulazzano, Piazzano, Castellano, Ramiola, Case Tramonti, Miano, Vernasca, Arcello, Momelino, Don Carlo, Limona, Piantone Marchigiano, Morcona, Nostrale di Rigali: Veggiola, Diolo, Bianchera, messe a confronto con le cultivar tradizionali quali Pendolino, Leccino e Frantoio.

Le piante verranno tramite il Prof. Roversi acquistate da vivai specializzati e possibilmente con tre o quattro anni di età al fine di avere in pochi anni la produzione di olive.

Inizialmente verrà prelevato un campione di terreno da sottoporre ad analisi di laboratorio al fine di poter effettuare le correzioni necessarie per rendere il terreno di coltivazione il più possibile vicino alle esigenze pedologiche della specie.

Le piantine verranno poste a dimora con sesti di impianto di circa 4m x 4m, sfruttando per un’adeguata illuminazione la pendenza ed il dislivello creato dai terrazzamenti.

Anche se l’ulivo è una specie molto resistente alla siccità, sarà necessario, nella scelta del luogo, tenere conto della disponibilità di acqua per intervenire in caso di necessità con irrigazioni di soccorso.

In fase operativa verrà individuata una azienda in loco avente le caratteristiche sopracitate. Tale azienda avrà il compito di gestire l’uliveto.

Sarà compito della Fondazione Fojanini, in collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Piacenza, recuperare il materiale vegetale e stabilire lo schema di impianto.

Alla Fojanini spetterà inoltre fornire assistenza tecnica, eseguire i rilievi annuali verificando la vigoria delle piante, il grado di fioritura, la percentuale di allegagione, l’epoca di invaiatura e la resa produttiva.

Quando l’impianto sarà in produzione, la Fondazione si incaricherà di effettuare la raccolta, trasformare le olive in olio e valutare i parametri chimico-fisici ed organolettici dell’olio ottenuto dalle diverse cultivar testate.

 

di Fondazione Fojanini di studi superiori

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Commenti 1

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
30 aprile 2011 ore 12:04

Sono felice che sia comparsa nel L'Arca Olearia la presentazione del progetto emerso a mia conoscenza solo qualche giorno prima del 50° anniversario dell'olio extravergine d'oliva festeggiato a Milano per iniziativa felice di Luigi Caricato e TN!
Un contributo alla tendenza all'autosufficienza dei territori per energia e alimentazione, che trova nelle valli delle Alpi retiche e delle Orobie, uscito dalla glaciazione nel 9° millennio AC, la sua predilezione all'insediamento di comunità umane che ci hanno lasciato una delle più preziose memoria dei tempi, costumi, simbolismo nell'arte rupestre.

L'amore per la vita e per la memoria da lasciare ai posteri si collega ad altri cespugli di umanità nel mondo, dall'Africa alla Cina, dall'india a tutta la catena alpina. Lo scenario è ricostruibile, umanamente tentato in grande stile in Valcamonica, ma anche in Valtellina. L'iniziativa della Fondazione di scegliere anche per un tentativo di dare anche una risorsa di energia e cibo dall'olivo nel campo sperimentale di Tirano (culla della ripresa felice di successo dell'enologia storica che Claudio Introini ha a lungo tenuto a balia) ha con questa presenza ricca di spontaneo amore per la vita umana, trovato la strada per coinvolgere non solo la popolazione del territorio, ma anche tutta la società dell'arca in un progetto positivo, umanamente e culturalmente in grado di affrontare definitivamente le difficoltà di vita naturale dell'olivo sulle coste solatie della valle.
Aggiungere un olio autoctono alle ricchezze di energia e alla ripresa di una coltura e cultura di agricoltura e pastorizia, superate le barriere di carattere socio-politico-amministrativo-resistenti un'alternativa di gioia e piacere alla già felice tradizione dell'alimentazione di quei territori, che avevano da due millenni incantato con i succhi di vite i nostri antenati romani...
Un olio vergine completa la risorsa di erbe e piante, di colture e naturali risorse di pascoli e boschi. Una stagione nuova si presenta d arricchire pizzoccheri e polente, minestre e insalate... Forse anche i vini si adatteranno non solo al Bitto o casere dei Contadini che si è sempre sposato con burri di vacche capre, ma che potrebbe anche fare da gioioso amante di morbidi tomini all'olio...

Una serata da veri e naturali amanti!
Acqua


Enzo