Bio e Natura
Gli Ogm tra ragione e sentimento
L’emotività e la razionalità si possono manifestare congiuntamente sia in chi approva la tecnologia sia in chi la combatte. Solo alimentando il dibattito pubblico è possibile pervenire a soluzioni razionali e condivise. Alfonso Pascale ritorna sul tema e risponde a Pasquale Di Lena
26 giugno 2010 | Alfonso Pascale
Ringrazio Pasquale Di Lena che, con la sua solita e appassionata intelligenza politica (link esterno), ha commentato il mio articolo sul tema degli Ogm (link esterno). Si tratta di un argomento complesso che ha forti implicazioni con questioni nodali come lo sviluppo, la democrazia, il benessere e lâambiente. Eâ dunque naturale che susciti emotività prima ancora che pensieri razionali. Ma non câè alcun motivo per contrapporre i due aspetti: ragione e sentimento possono darsi reciproco sostegno; e in molti casi la funzione di apertura e di liberazione svolta dai nostri sentimenti può rappresentare una buona materia su cui ragionare.
Adam Smith, figura centrale dellâIlluminismo, riteneva che ragione e sentimento fossero sfere intimamente connesse. E un altro illuminista, come David Hume, arrivava a dire che âtanto la ragione quanto il sentimento concorrono in quasi tutte le determinazioni e le conclusioni moraliâ.
Ragionando di Ogm, lâemotività e la razionalità si possono manifestare congiuntamente sia in chi approva questa tecnologia sia in chi la combatte. Solo alimentando il dibattito pubblico è possibile pervenire a soluzioni razionali e condivise dei problemi che si vogliono affrontare.
Di Lena chiede ai sostenitori degli Ogm di âspiegare i risultati delle conseguenze sulla qualità del cibo e la salute umana e sullâambienteâ e di raccontare come mai, là dove sia stato fatto uso di questa tecnologia, âil territorio è diventato presto più povero, avendo perso subito le sue innate risorse e la propria identità â.
La mia opinione è che su tali questioni occorra pazientemente leggersi dati e analisi di carattere scientifico, facendo affidamento sullâimpegno degli organi di informazione nel comunicare il più oggettivamente possibile i risultati delle attività di valutazione contenuti nella letteratura scientifica. Certo, se si pretende il ârischio zeroâ, nessuno scienziato potrà mai garantire la âsicurezza totaleâ di alcunché: le certezze granitiche non fanno parte del modo di procedere della scienza. E questo vale per gli Ogm come per qualsiasi altro vegetale.
Chiedere che gli Ogm siano messi in commercio solo dopo aver verificato che siano sicuri al 100% è antiscientifico oltre che irrealistico. Ciò che più pragmaticamente si può richiedere è unâanalisi onesta e rigorosa dei rischi ambientali e sanitari oltre che economici, e un monitoraggio nel tempo. Ma unâanalisi di questo tipo, pur basata sulle migliori conoscenze disponibili, non potrà mai dare risultati assoluti e definitivi.
Molte istituzioni pubbliche, università e centri di ricerca internazionali svolgono ricerche sugli Ogm. Uno studio dellâUE durato 15 anni, con il coinvolgimento di ben 400 centri di ricerca pubblici, ha concluso che âle piante geneticamente modificate e i prodotti sviluppati e commercializzati fino ad oggi (â¦) non hanno presentato alcun rischio per la salute umana o per lâambiente. Anzi lâuso di una tecnologia più precisa e le più accurate valutazioni in fase di regolamentazione rendono probabilmente queste piante e questi prodotti ancora più sicuri di quelli convenzionaliâ.
Per quanto riguarda le conseguenze economiche dellâuso di Ogm, osservo che nel mondo le aree coltivate con queste piante sono in continuo aumento da dieci anni, con percentuali di crescita intorno al 10% allâanno. Questa è una chiara indicazione del fatto che gli Ogm convengono non soltanto alle multinazionali, ma anche agli agricoltori.
La FAO e la Banca Mondiale ritengono che già oggi alcuni Ogm abbiano portato benefici ai Paesi poveri. Queste istituzioni fanno rilevare che occorrerebbe sostenere maggiormente la ricerca ânon profitâ, finanziata con risorse pubbliche, affinché essa sviluppi nuove colture Ogm utili per risolvere i problemi specifici di quei Paesi. E qui vengo al punto cruciale della posizione di Di Lena: il ruolo egemone delle multinazionali nella ricerca sugli Ogm e il fatto che queste siano mosse dallâobiettivo del massimo profitto più che dal conseguimento del bene comune. Ma proprio questa considerazione, che tutte le persone di buon senso non possono non condividere, ci dovrebbe indurre a rafforzare la ricerca pubblica per sviluppare Ogm utili alle specificità dei singoli Paesi.
La ricerca pubblica in Italia, quando era finanziata, aveva come obiettivo proprio lo sviluppo di Ogm per migliorare e salvaguardare le produzioni tipiche. Perché non continuare in questa direzione? Si dice che ormai nellâimmaginario collettivo gli Ogm sarebbero associati al concetto di uniformità e di serialità e striderebbero con la specificità territoriale; apparterrebbero al modello agricolo americano, antitetico a quello europeo. Ma questa presunta inimicizia tra tipico e transgenico è smentita dai fatti: nelle Hawaii la ricerca pubblica ha sviluppato la papaya geneticamente modificata proprio per salvare un prodotto tipico da sicura scomparsa.
Lo storico dellâalimentazione, Massimo Montanari, nel suo ultimo volume Il riposo della polpetta, scrive che le due nozioni di âidentità â e di âradiciâ, nel linguaggio comune si trovano spesso confuse, mentre vanno decisamente distinte e diversamente localizzate.
Lâidentità sono i valori e i modelli che ci qualificano qui ed ora. Le radici sono i luoghi e gli âspuntiâ da cui la nostra identità ha tratto origine: ma non necessariamente appartengono a noi.
Le radici del nostro cibo âmade in Italyâ spesso sono asiatiche e americane, come dimostra la storia della pasta secca e del pomodoro. Lâalimentazione mediterranea è frutto di continue contaminazioni culturali. Introdurre lâingegneria genetica per migliorare e salvaguardare la biodiversità , evitando lâestinzione di prodotti tipici attaccati dalle malattie, non è un attentato allâidentità italiana, ma semplicemente un modo per innestare nuove e più fertili radici nella nostra identità alimentare, che è stata da sempre il frutto dellâosmosi tra saperi contestuali e nuovi traguardi della conoscenza scientifica.