Bio e Natura

Sostenibilità obbligatoria? Col fertimetro le aziende agricole potrebbero risparmiare

Un progetto dell'Università di Padova per uno strumento semplice ed economico che potrebbe fornire preziose indicazioni agli agricoltori sulla quantità appropriata di concimi e fertilizzanti da spargere nel terreno

06 giugno 2014 | Emiliano Racca

Quando si parla di fertilità dei suoli si scatenano fra gli addetti ai lavori e non dibattiti anche molto accesi; la fertilità in effetti è un concetto molto discusso.
Si sa che esistono diversi tipi di fertilità: la fertilità fisica, la fertilità chimica e la fertilità biologica.
La fertilità fisica riguarda per l’appunto quelle proprietà del terreno risultanti dai processi di alterazione fisica e di degradazione del materiale litologico originario, genitore dei suoli (parent material). Per fare qualche esempio basti pensare alla tessitura, alla struttura, alla ritenzione idrica ed al colore.
Quella chimica invece si riferisce in particolare al pool di elementi nutritivi ed alla capacità del suolo di renderli disponibili per la nutrizione delle piante.
Poi come detto c’è la fertilità biologica. Per essa si intende quella fertilità strettamente connessa alle attività degli organismi e dei microrganismi edafici.
Ed è proprio la sostanza organica che riveste un ruolo primario nella stima della fertilità integrale. Molti studi, pubblicazioni, libri di testo confermerebbero questo punto; studi condotti anche da biologi ed agronomi blasonati, di indubbia rinomanza, basti pensare a Claude Bourguignon in Francia o al nostro Giusto Giovannetti.

Sono noti infatti ad esempio l’azione fondamentale dei microrganismi nella demolizione delle sostanze proteiche giunte nel suolo, che vengono trasformate in composti semplici inorganici assimilabili dalle piante; il ruolo dei lombrichi che con la loro attività arieggiano il suolo, migliorano la struttura e la capacità di infiltrazione dell’acqua e soprattutto con i loro spostamenti in verticale lungo il profilo mescolano argille del subsoil con la materia organica in superficie creando i composti argillo-umici; od ancora l’azione dei macro-residui in decomposizione nel contribuire al rapido rilascio di nutrienti per le piante.

Partendo proprio da questi presupposti mi pare interessante render noto che di recente è stato messo a punto da due ricercatori dell’università di Padova, i Prof. Andrea Squartini e Giuseppe Concheri uno strumento che misura la fertilità del suolo: il Fertimetro.
Si tratta di una piccola asta appuntita, da infilare nel terreno. È formato da 3 semplici fili di cotone: uno normale, un altro imbibito di Nitrato di Ammonio, l’altro ancora di Fosfato potassico.
I Microrganismi, come detto principali attori della fertilità, prelevano tutto ciò che è organico trasformandolo in sostanze disponibili per le piante. Ed allora questi organismi andranno a “mangiarsi” il filo con quell’elemento di cui hanno maggiormente bisogno perché
evidentemente nel suolo scarseggerà. Ergo, tanto prima il filo dell’Azoto o del Fosforo salta, tanto più il terreno avrà bisogno di quell’elemento.
Questo fornisce preziose indicazioni ai nostri agricoltori sulla quantità appropriata di concimi e fertilizzanti da spargere nel terreno, senza incappare in ingenti sprechi, dannosi sia per le proprie tasche che per l’ambiente.
Il vantaggio del fertimetro, oltre a quello di natura economica, è anche nella sua facilità di utilizzo e praticità: è infatti un dispositivo un fai-da-te, non c’è bisogno di interpretazioni tecniche da parte di un Agronomo, come succede oggi nel caso delle tradizionali analisi di laboratorio. Queste ultime sono molto laboriose e costose, si va oltre i 100€, senza dimenticare le tempistiche, le spese aggiuntive del trasporto, dei campionamenti - che non sono sempre facili da effettuare perché i suoli presentano una variabilità orizzontale notevole (ciò dovuto sia a cause naturali che antropiche) - e quindi non sempre ben rappresentativi ed appropriati. Il Fertimetro invece basta comprarlo una volta, e con poche decine di euro lo si acquista (6 fertimetri/Ha) e poi si può usare sempre, si devono solo cambiare i fili.
Eppure, dalle informazioni che sono riuscito a captare, mi pare che questo strumento sia stato ancora poco divulgato, a fronte dei grandi vantaggi, quivi esposti, per le nostre aziende agricole. Non è neanche ancora in commercio, nonostante sia già passato qualche anno. Ci vorrebbero delle aziende pronte ad acquistarne il brevetto, e ad investire nella loro produzione in serie, oppure degli enti interessati a finanziarne la costruzione di prototipi per campagne di sperimentazione in suoli di loro interesse, (orientativamente 20000 euro per 100 prototipi). Staremo a vedere.

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