Bio e Natura
Chi ha deciso i confini geografici delle denominazioni d'origine? Meglio basi storiche o scientifiche?
“Finto Barolo, etichetta di protesta” è quanto ha scritto un produttore sulla propria bottiglia considerandosi ingiustamente escluso dalla zona di produzione Doc. In simili scelte è giusto affidarsi più all'agrologia o alla tradizione?
06 marzo 2014 | Emiliano Racca
Non molto tempo fa mi trovavo in compagnia di amici in una delle tante Enoteche-Wine Bar, che ultimamente sorgono davvero a iosa. In mezzo a tante bottiglie di vino e di liquori, mi cadde l’occhio su una in particolare che recitava più o meno quanto segue (se la memoria non mi inganna): “Finto Barolo, etichetta di protesta”.
Mi spiegò l’esercente che si trattava sostanzialmente di un viticoltore i cui appezzamenti di uve Nebbiolo ricadevano proprio a ridosso – ma al di fuori - dell’areale di produzione del Barolo Docg delimitato dal disciplinare ufficiale. Questo produttore riteneva dunque che il suo vino era stato ingiustamente lasciato fuori…
Iniziai allora a pormi tra me e me tutta una serie di quesiti, per eesempio: in che cosa queste eccellenze certificate si distinguono dalle altre nelle zone limitrofe? Quali studi ci sono alle spalle?
Mi venne così in mente un report che elaborai assieme ad altri colleghi sulla promozione di un prodotto del nostro agroalimentare. Non era un vino bensì un olio, ma il concetto è lo stesso, il discorso è interscambiabile… si trattava dell’olio Cartoceto Dop, unico olio extravergine marchigiano che può vantare un marchio di riconoscimento di qualità d’origine.
In quel contesto, degustammo proprio un olio Cartoceto Dop e altri due oli d’eccellenza prodotti in zone adiacenti all’areale di produzione; da qui ne nacque una “disputa” con i miei colleghi alla ricerca di quale potesse essere il dettaglio (o i dettagli) che discernessero l’olio certificato in questione dagli altri oli d’eccellenza.
Provammo a raffrontare dati tecnici territoriali sul mesoclima, il suolo, la geologia, la topografia ed altri parametri agro-meteoclimatici… ebbene, ci perdemmo in un labirinto di numeri!
Non ci risultarono particolari differenze pedoclimatiche ed ambientali fra l’areale del Cartoceto dop e gli intorni limitrofi.
Riguardo al clima ad esempio, estrapolammo dati del tutto analoghi: nelle terre del Cartoceto, si parla infatti (vedi specifiche tecniche del disciplinare di produzione) di clima sub-mediterraneo, con una temperatura media annuale di circa 14 °C, rari episodi di intense gelate nei mesi più freddi dell’anno ed una piovosità media attorno ai 900 mm/annui…all’incirca come nelle terre attigue.
Idem per la topografia: si tratta sempre di versanti con esposizione sud/sud-est, al riparo dalle correnti fredde nord-occidentali. Venendo al suolo, in tutti e 3 i casi ritroviamo dei corpi pedologici impostati su marne, peliti, calcareniti medio-fini. Il che farebbe pensare a suoli con proprietà simili, poiché in linea di massima su questo tipo di litologie si sviluppano pedotipi affini, di medio impasto, profondi, con una facile penetrazione delle radici dei vegetali (Aubert et al., 1967).
Bisogna tuttavia evidenziare che l’entità geografica del Cartoceto Dop sembrerebbe un po’ più protetta visto le quote un po’più elevate dei Monti che la circondano (Mattera, Altiero, Palmerio). Ma questo parametro da solo potrebbe già essere determinante per rendere il Cartoceto un olio “diverso” dagli altri?
In un caso o nell’altro, tutte queste riflessioni sull’olio Cartoceto e sul Barolo inducono a chiedersi quanto siano “azzeccati” dal punto di vista tecnico-agrario i perimetri delle aree delimitate dei disciplinari di produzione. Ci potrebbero essere dietro – come insinua qualcuno - dei meri interessi geopolitici, che nulla hanno a che vedere con la qualità del prodotto?
Io credo (o se non altro mi auguro) che non siano frutto di interessi oscuri – almeno nella gran parte dei casi – bensì di valutazioni oggettive; mi pare tuttavia che forse si dia troppa rilevanza alle notizie storiche. Esse possono essere indicative fino ad un certo punto; ma che un vino (o un olio), per il fatto di essere stato apprezzato nel ‘500 in una qualsivoglia corte di nobili o dove altro, possa essere riconosciuto come un prodotto che svetta sugli altri e possa fregiarsi di un marchio di qualità, francamente mi lascia perplesso.
Mi fiderei maggiormente di dati tecnici, meglio se provenienti dalle conoscenze scientifiche attuali, che sono di livello molto avanzato. Ed allora dovrebbe essere proprio la ricerca scientifica in Agricoltura a fornirci queste risposte, ne rafforzerebbe senz’altro l’immagine delle nostre primizie; ma la letteratura su questi contenuti mi pare ancora molto scarna ed il budget stanziato per la ricerca è sempre più ridotto. La nostra agricoltura è ancora troppo poco scientifica, per dirla alla Claude Bourguignon (Agronomo di fama internazionale): la strada da un’Agronomia soggetta ad una logica industriale verso un’Agrologia più scientifica e ragionata è ancora tutta in salita.
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