Emozioni di gusto
Vini filtrati e vini non filtrati, chi vince la sfida?
Il vino non è qualcosa di schematico, non è solo un’etichetta, un nome, un bouquet di sapori; il vino si degusta con i sensi, non è un fatto intellettuale. Un viaggio in Alsazia, in un'azienda biodinamica che ama innovare, sperimentare e stupire
04 marzo 2016 | Emiliano Racca
Ho avuto il piacere di partecipare ad una degustazione assai coinvolgente e originale di vini biodinamici alsaziani, prodotti da uno dei pionieri della biodinamica francese Jean-Pierre Frick. La degustazione era animata dal produttore stesso.
Ascoltare Frick non è come ascoltare un viticoltore o un sommelier che ti descrive dei vini; Frick è una sorta di “totem”, che dispensa messaggi etici spazianti dalla tutela dell'ambiente, alla solidarietà sociale, all'attenzione verso il prossimo e le opinioni altrui.
Prima di servirci i vini, Frick ci ha presentato la sua realtà viticola, in Alsazia. E’ una piccola azienda a gestione familiare (12 ha), che conduce con sua moglie e il figlio Thomas.
Fin dagli anni '70 è partito il suo impegno sociale e culturale per un'agricoltura sostenibile, attenta a non compromettere la fruibilità delle risorse naturali, per lasciarle a disposizione delle generazioni future.
Nel 1970 convertì la sua azienda al metodo biologico: "Ai tempi eravamo 3 viticoltori bio in Alsazia, oggi siamo in 300 - rivendica con un sorrisino nordico ma caldo e orgoglioso J.P. - il 16% dei viticoltori alsaziani sommando i biologici e i biodinamici".
Successivamente, vista la sua sensibilità e la sua attenzione nel conservare la vitalità del suolo, decise di convertire in toto le sue parcelle al biodinamico, ottenendo la certificazione Demeter.
Frick però non chiama mai i suoi vini “bio” o “biodinamici”: nei suoi interventi parla sempre di “vini naturali”. Il vino infatti è qualcosa di “naturale”, è semplicemente un succo di uve pressate che fermentano, non ha bisogno di “sostanze estranee”…. “Fino agli anni ’70 - rimarca il “nostro vigneron” - per fare il vino si usava solo la solforosa. Si è passati da un lavoro di cantina molto semplice ad un lavoro di cantina sofisticato…”
Ma veniamo all’assaggio dei vini. J.P. ha subito chiarito che le degustazioni vanno fatte alla cieca, poichè il vino non è qualcosa di schematico, non è solo un’etichetta, un nome, un bouquet di sapori; il vino si degusta con i sensi, non è un fatto intellettuale.
Ergo ci ha proposto delle coppie di vini con l’etichetta coperta.
La prima coppia era formata da due rossi, entrambi dalla tonalità porpora che facevano pensare a vini giovani o vendemmiati precocemente. Il panel di enofili (quasi tutti non professionisti) ha apprezzato maggiormente il secondo, giudicandolo in genere più gustoso e vitale.
Dopo il breve giro di consultazioni con gli assaggiatori, il produttore ci ha spiegato che si trattava di 2 Pinot Neri, entrambi del 2014 (annata difficile, piena di infestazioni del Drosophila Suzukii; vendemmia anticipata per evitare ulteriori danni), entrambi provenienti dalla stessa botte… con la differenza che il primo era filtrato con aggiunta di Solfiti, il secondo invece non era filtrato e senza solfiti artificiali.
A seguire un’altra coppia di calici, questa volta vini bianchi. Il primo dei due presentava un colore giallo paglierino-chiaro, limpido, con una buona struttura e un bouquet vegetale e di fieno falciato.
Il secondo giallo più intenso, ambrato e più torbido, con un bouquet di profumi e sapori indubbiamente più originale. Anche in questo caso netta la preferenza degli assaggiatori per il secondo vino.
Quando la parola è tornata a Frick, ci ha stupiti nuovamente: si trattava infatti di nuovo dello stesso vino, stessa annata, stessa botte, un Silvaner 2013. Analogamente al caso precedente il pprimo era filtrato e con solfiti, il secondo senza filtrazione né solfiti.
Terza coppia di calici. Stessa “musica”: anche in questo caso sempre lo stesso vino, stesso anno, stessa botte. Sempre la sfida filtrato vs non filtrato. Il vino in questo caso era un Riesling, 2011. Il filtrato: giallo paglierino con riflessi verdastri; il non filtrato paglierino più intenso e un po’ torbido. Quest’ultimo, secondo la maggior parte delle persone, partiva meno bene, con meno verticalità, ma poi riempiva la bocca rivelando una profondità ed una persistenza davvero sbalorditive. Meno addomesticato, ma grande personalità.
Riassumendo, direi che la sfida filtrati vs non filtrati si è risolta con una vittoria netta e cristallina dei secondi. Frick conferma che sovente la sfida si risolve con questo risultato, ma normalmente in maniera meno netta, con vantaggi risicati. In ogni caso si è trattato di una sorta di “sperimentazione” che dovrebbe incoraggiare chi desiderasse produrre un certo numero di bottiglie di vino non filtrato e “solfiti free”.
La sfida insomma era finita, ma non la degustazione. Frick nel finale, come con i fuochi d’artificio, in un crescendo di emozioni, ci ha servito ancora un ultimo vino (singolo, non in coppia). Un rosso dal colore carico, con riflessi arancio-granati. Corpo robusto, tannino smussato già affinato, stra-gradito da tutta la platea. Si trattava, ci ha riferito J.P, di un Pinot Nero del 2003, annata “storica” segnata da un caldo africano e da precipitazioni scarsissime lungo tutto il ciclo della pianta.
“Questa è stata una mia sfida - ci ha confidato Frick - volevo sfatare il mito che i vini alsaziani non sono durevoli….ho custodito 1200 bottiglie, abbiamo deciso che lo venderemo nel 2023, a 20 anni”
…Quindi chi lo volesse acquistare dovrà pazientare altri 7 anni…
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