Massime e memorie

Cani da bancata e da cancellata

In ambedue i casi, il padrone ne ignora i servigi, limitandosi al sostentamento, ad un contratto d'uso. Un prosa inedita di Nicola Dal Falco

19 dicembre 2009 | T N

Nicola Dal Falco

Ai cani da cancellata che rizzano il pelo, ringhiando attraverso il buco della siepe e ai cani da bancata nei mercati rionali, mancherà sempre il senno del poi, la vista sulle conseguenze, quella porzione di tempo che riguarda il dopo.
Custodiscono il presente, neanche l'accesso che appartiene invece ai veri Cerberi, ma la semplice integrità del bene, per sua stessa natura momentaneo. In ambedue i casi, il padrone ne ignora i servigi, limitandosi al sostentamento, ad un contratto d'uso.
Una simbiosi solo negativa: il gesto (impedire) fatto animale. Di solito, i cani da cancellata sorvegliano luoghi tristemente abitati o addirittura in abbandono, dove la vita si è ritagliata un fasto grossolano, un decoro senza idee.
Però, altrettanto spesso, godono, in quel rabbioso isolamento, di una porzione di sole e di gladioli.
Ed è strano osservarli non visti nei lunghi momenti di vuoto, di catafratta pena per ogni secondo che rimbalza in aria.

Una sorte diversa e analoga attende il cane da bancata, costretto addirittura
a difendere il nulla, l'orizzonte mare della strada.
Il duro allenamento gli ha insegnato l'immobilità: è meno nervoso e appare
oppresso da antica insonnia.
Solo se ti avvicini o superi una certa linea, invisibile, né retta né circolare, scateni la sua velenosa reazione.
Ruggito di schiavo che, nella propria eterna stanchezza, sopporta una prigionia da nomade.


Nicola Dal Falco