Massime e memorie 14/10/2016

Dario Fo: "impastare significa mischiarsi l'un l'altro, amarsi e congiungersi"

Lo sguardo del premio Nobel Dario Fo sul cibo è stato quello di un'artista. Nel "Mistero Buffo" una storia rurale di soprusi e prevaricazioni, che spiega il vero significato della figura del giullare


L'epica del giullare è stato il filo conduttore della vita artistica di Dario Fo che, per spiegarne il senso, non solo canzonatorio ma di denuncia sociale, riprende una storia contadina nel "Mistero Buffo" (Einaudi, 1977).

La storia da cui Fo trae spunto è antichissima, proviene dalla tradizione orientale; ma egli ritrova, come spesso accade, una versione molto simile nella Biblioteca di Ragusa, risalente al 1200. La traduce dal siciliano medievale nella sua lingua-koinè particolare e racconta pressappoco questo:
Un contadino, stanco e frustrato dalla sua condizione misera, torna a casa ogni sera con sempre meno voglia di vivere. Lavora tutto il giorno una terra che non è la sua, e dalla quale non ricaverà mai alcun frutto né soddisfazione. Un giorno, passando davanti a quella grande collina abbandonata vicino alla sua dimora, si chiede se sia effettivamente di qualcuno e, soprattutto, se sia coltivabile. La collina in questione è rocciosa (o lavica) e a nessuno mai era venuto in mente di spenderci fatica e denaro. In paese chiunque gli giura che quella terra non appartiene ad alcuno quindi il contadino, salito in cima alla collina, inizia a scavare con le proprie unghie la roccia finché, come per miracolo, non vi trova della terra. E dell’acqua. Senza pensarci due volte, prende la moglie e i figli e si trasferisce sul quel terreno. Inizia a coltivarlo da zero e, nel giro di poco tempo, già si vedono i primi frutti; diventerà una sorta di Eden meraviglioso.
Ma il signore del luogo, visti i risultati ottenuti dal contadino, non tarda a rivendicare il possesso della collina (e dei suoi frutti). Il villano, nonostante gli avvertimenti dei popolani, non ha alcuna intenzione di cedere. Purtroppo un signore è un signore e, dopo aver minacciato e incendiato e distrutto tutto ciò che il contadino aveva, arriva a violentargli la moglie, davanti al villano stesso e ai suoi figli. Non potendo opporsi né vendicarsi, poiché gravissime sarebbero state le rappresaglie, il contadino lascia fare, assicurandosi, in questo modo, una vita di vergogna e umiliazioni.
La donna, dopo l’accaduto, scappa lontano coperta dall’onta di essere considerata alla stregua di una prostituta; dopo poco, i figli del villano muoiono di malattia. E il povero cristo si ritrova solo, umiliato, in una condizione di miseria assoluta. Medita il suicidio e, mentre sta quasi per compiere il gesto, qualcuno bussa alla porta. È un giovane barbuto, un viandante sembrerebbe, il quale chiede al contadino dell’ospitalità e un po’ di cibo. Pur non avendo quasi nulla, il villano accetta volentieri e approfitta della compagnia per sfogarsi riguardo le sue sfortune. Lo sconosciuto ascolta attentamente e, alla fine, cerca di convincere l’altro a denunciare l’accaduto, i soprusi, a scendere in piazza e raccontare alla gente quello che ha subito. Il contadino si schermisce, dicendogli che non avrebbe neppure le giuste parole per narrare l’accaduto, visto che a malapena sa farsi capire da lui. E a questo punto si svela la vera identità del vagabondo, è addirittura Gesù Cristo. Tranquillizza il suo interlocutore dicendogli:

Gesù Cristo sono io, che vengo a te a darti la parola. E questa lingua bucherà e andrà a schiacciare come una lama vesciche dappertutto e a dar contro ai padroni, e schiacciarli, perché gli altri capiscano, perché gli altri apprendano, perché gli altri possano ridere (riderci sopra, sfotterli). Che non è col ridere che il padrone si fa sbracare, che si ride contro i padroni, il padrone da montagna che è diventa collina, e poi più niente. Tieni, ti do un bacio che ti farà parlare.

La “lingua” (sia in senso di favella, sia in senso figurato di “lingua tagliente”) del giullare viene, quindi, direttamente da Cristo, il quale non solo si fa protettore del popolo oppresso, ma addirittura ne è il sobillatore. Il giullare era un sovversivo, un canzonatore, una figura che metteva in crisi la distinzione tra sacro e profano tanto cara all’uomo del Medioevo. Fo opera un’astrazione mitizzante di questa figura presentandola come simbolo atemporale della lotta del popolo contro il potere.

E' in questo contesto che si inserisce anche lo strale contro Expo2015. Fo si era detto interessato a realizzare qualcosa per Expo, magari sul cibo, "ma legandolo al problema del cibo, a dove trovarlo per miliardi di persone che soffrono la fame". Quello del cibo "non è un problema che può essere delegato alle multinazionali come - ha accusato - ha fatto Expo".

Le riflessioni di Dario Fo sul cibo sono anche racchiuse nei "Dialoghi tra Dario fo eo Carlo Petrini sulla cultura del cibo", tre incontri organizzati dalla Libera Università di Alctraz in collaborazione con Slow Food Umbria. 

Nel cibo non ha mai stancato di ritrovare il sogno di un'umanità forse perduta. Sul pane Dario Fo, nelle confezioni di una edizione speciale di Bibanesi, ha scritto ''Forse è qui la ragione del perché questo cibo essenziale è ritenuto sano: dacché il pane è considerato, cotto e donato per ricordare le nostre origini, dove impastare significa mischiarsi l'un l'altro, amarsi e congiungersi, perche' dal calore riesca la nostra vita''.

 

Dario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926 – Milano, 13 ottobre 2016) è stato un drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore, pittore, scenografo e attivista italiano.
Vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1997 (già candidato nel febbraio 1975[3]), i suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi comici propri della Commedia dell'arte italiana e sono rappresentati con successo in tutto il mondo. In quanto attore, regista, scrittore, scenografo, costumista e impresario della sua stessa compagnia, Fo è stato uomo di teatro a tutto tondo. È famoso per i suoi testi teatrali di satira politica e sociale e per l'impegno politico di sinistra. Con la moglie Franca Rame fu tra gli esponenti del Soccorso Rosso Militante.

di T N