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Le virtù delle olive da tavola, patrimonio di salute da riscoprire

Le virtù delle olive da tavola, patrimonio di salute da riscoprire

Le olive da tavola sono fonte di energia e grassi buoni, fanno parte di molte nostre ricette tradizionali, sono un grande esempio di biodiversità. Pochi sanno la differenza tra un’oliva taggiasca da una di Gaeta e si sa poco anche su come siano prodotte

20 novembre 2025 | 09:00 | C. S.

Le olive da tavola sono un patrimonio da valorizzare per gusto, benessere e sicurezza alimentare. Assom, l’associazione italiana dei produttori, lo ha sottolineato in occasione del convegno “Olive da tavola: nutrizione, salute e tradizione”, in cui si sono confrontati rappresentanti del settore e del mondo accademico.

L’incontro, moderato dal giornalista e scrittore Maurizio Pescari, ha messo in luce l’impegno del comparto a favore dell’innovazione e della ricerca, essenziali per garantire ai consumatori prodotti non soltanto buoni, ma anche salubri. Impegno che Angelo Moreschini, presidente di Assom, ha sottolineato introducendo il convegno: “I nostri prodotti sono un’eccellenza apprezzata in tutto il mondo. Questo successo si deve alla serietà di olivicoltori e trasformatori, che ogni giorno applicano metodi e procedimenti di produzione, in grado di assicurare sul mercato olive gustose e sicure. In via del tutto volontaria, abbiamo anche adottato l’indicazione dell’origine in etichetta, pur non avendo una norma che ci obblighi a farlo”. 

Assom è la prima Associazione italiana a rappresentare i produttori di olive da tavola, ed è socio aggregato di ASSITOL, l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia, aderente a Federalimentare e Confindustria. Tra i suoi obiettivi, c’è anche la migliore conoscenza di questo prodotto iconico della tradizione italiana. “Le olive rappresentano molto di più di un semplice alimento – ha ricordato Moreschini -. Sono fonte di energia e grassi buoni, fanno parte di molte nostre ricette tradizionali, sono un grande esempio di biodiversità. In Italia abbiamo un grande patrimonio varietale che il grande pubblico non conosce. Tradizione, però, non significa restare fermi, ma andare avanti. Per questo, lavoriamo ad un rapporto sempre più stretto con la scuola e l’università, con l’obiettivo di migliorare la qualità delle nostre olive, ormai diventate ambasciatrici del gusto italiano nel mondo”.

Il fatturato generato dalle aziende ASSOM ammonta a 307 milioni di euro. In media si trasformano ogni anno oltre 60mila tonnellate di olive, per il 58% di provenienza nostrana. Il resto proviene principalmente da Paesi UE ed extra UE. Il comparto vive un momento di forte crescita: oggi, il mercato internazionale veicola in media oltre 3 milioni di tonnellate, con un incremento del 218% rispetto agli inizi degli anni ’90 (Dati COI e Ismea/Masaf). Di pari passo, il consumo mondiale è cresciuto a dismisura (+ 194%) negli ultimi trent’anni. 

Ma le olive non sono soltanto il tocco ideale per l’aperitivo o nella focaccia. Negli ultimi anni, infatti, sono divenute protagoniste di numerosi studi in ambito scientifico. Lo ha confermato Maurizio Servili, docente di Scienze e tecnologie alimentari dell’Università di Perugia. “Quando si parla di olive da tavola, si citano soprattutto gli aspetti della tradizione e del consumo. Si sa ben poco, invece, sui benefici salutistici e sulle specificità delle numerose varietà italiane”. In pratica, c’è ancora un mondo da scoprire, che oggi la ricerca sta facendo emergere. “Ogni territorio ha una sua tipologia di prodotto – ha spiegato Servili -. Le olive sono molto caratterizzate, esprimono in ogni Paese la loro tipicità”. Anche se ne produciamo in media circa 75mila tonnellate, quasi tutte le varietà sono a duplice attitudine, vale a dire adatte sia per l’olio d’oliva che il consumo a tavola. “Le olive si mangiano perché piacciono – ha osservato Servili -. Tuttavia, sarebbe opportuno dare valore alle loro proprietà nutrizionali: sono ricche di fibre, di grassi polinsaturi e vitamine. Inoltre, va segnalata la forte percentuale di sostanze antiossidanti che possono essere oggetto di recupero e rigenerazione per altri usi alimentari, come nel caso dei polifenoli contenuti nella salamoia”.

Le sostanze bioattive contenute nelle olive da tavola sono anche al centro del lavoro di ricerca di Nicola Francesca, docente di Microbiologia alimentare presso l’Università di Palermo. “L’oliva vive in un ecosistema analogo a quello dell’acino d’uva, naturalmente ricco di batteri lattici e, in generale, di microoroganismi, che sviluppano un’azione protecnologica e bioprotettiva nei confronti delle olive stesse”. In questo senso il metodo Castelvetrano, nato in Sicilia e poi diffuso in tutta Italia, presenta indubbi vantaggi in termini di qualità e sicurezza alimentare. “Le olive sono messe in acqua, sale e soda, e poi sottoposte a bassa temperatura: grazie ad una diminuzione rapida del pH, si creano le condizioni per un ecosistema di lieviti e batteri lattici, e una difesa tecnologica contro patogeni e alterativi, salvaguardando la naturale intensità del colore verde. In questo modo si mantiene l’ecosistema di batteri lattici che difende le olive da patogeni, mentre, in termini di qualità, il prodotto risulta più croccante”. I ricercatori dell’università di Palermo stanno lavorando anche sulla riduzione del sale e sulla comprensione delle componenti con attività bioattiva, a favore della salubrità e delle caratteristiche nutrizionali delle olive da mensa.

La ricerca si basa sulla capacità di fare network tra aziende e università. Ed è proprio sui vantaggi di fare rete, sia in Italia che in Europa, che occorre puntare per dare valore alle olive da tavola. Per Igor Calderari, responsabile scientifico di ASSITOL, “è necessario sostenere la forte crescita del settore dialogando con le istituzioni chiave in ambito internazionale, come il Consiglio Oleicolo Internazionale e la Commissione Europea. Finora, è mancata la rappresentanza che il comparto merita. Tuttavia, ASSOM e ASSITOL lavorano già da tempo per ottenere ascolto presso la Ue e il COI, anche attraverso la creazione della Federazione europea dei produttori”. L’errore da evitare, insomma, “è di andare divisi laddove altri Paesi, invece, marciano coesi. Se si vuole che le nostre proposte siano prese in considerazione – ha concluso Calderari - bisogna contare su dati scientifici e statistici affidabili, e sull’unità della filiera. Le priorità della nostra agenda a Bruxelles e a Madrid sono chiare: valorizzazione del prodotto olive da mensa, maggiore informazione e formazione, riconoscimento del metodo Castelvetrano”. 

A confortare l’esigenza di dati scientifici seri, anche Eugenio Parente, docente di Microbiologia agraria, alimentare e ambientale dell’Università degli studi della Basilicata. “Ormai sappiamo che, per produrre olive di buona qualità, è essenziale controllare lo sviluppo dei microorganismi, che ne determinano le proprietà sensoriali e i potenziali benefici per la salute. Ecco perché risulta fondamentale studiare la diversità microbica delle olive da tavola, per comprendere quali batteri e quali lieviti siano presenti per controllarne lo sviluppo”. La tematica è prioritaria in tempi di cambiamento climatico, quindi di temperature estreme che agiscono sulla produzione olivicola e sulle comunità di microorganismi. Le ricerche dell’università lucana hanno portato alla creazione di una sorta di “anagrafe” delle comunità di batteri e di lieviti nelle olive da tavola tipiche del Mediterraneo, tra cui moltissime varietà italiane, oltre che di una collezione di ben 532 ceppi, utili per lo sviluppo di colture starter e bioprotettive”.

Anche Agostino Macrì, responsabile Sicurezza alimentare dell’Unione Consumatori, ha confermato la scarsa conoscenza del prodotto-oliva e la necessità di una maggiore divulgazione tra i consumatori. “Pochi sanno la differenza tra un’oliva taggiasca da una di Gaeta – ha commentato – e si sa poco anche su come siano prodotte. Oggi, grazie ai metodi industriali e al lavoro delle aziende di settore, possiamo dirlo: le olive da tavola sono sicure, oltre che buone. Grazie all’abbondanza di probiotici, l’oliva, infatti, è un prodotto vivo, che va conservato bene, in modo da evitare contaminazioni pericolose. Da questo punto di vista, il settore può garantire a giusto titolo i suoi prodotti”. Attenzione, invece, alle olive “fatte in casa” seguendo le ricette domestiche. “Qui i rischi di botulismo sono alti. Meglio privilegiare prodotti etichettati e seguire le istruzioni fornite dai produttori circa la scadenza e la conservazione”. In futuro, sarebbe bene concentrarsi sul dato nutrizionale, “mettendo in evidenza le qualità salutistiche delle olive, ad esempio la presenza degli antiossidanti”.

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