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“MA VAFFANCULO!” COSI’ UNA GIOVANE PRODUTTRICE AI PARENTI SERPENTI
E’ una storia vecchia, ma si ripete puntualmente ad ogni passaggio generazionale, ignorando di volta i meccanismi che ne determinano l’occasione e il pretesto. Le aziende che hanno compiuto il "grande salto" sono quelle in cui è avvenuto il passaggio di consegne con intelligenza e rispetto reciproco
29 maggio 2004 | Luigi Caricato
âNon ne posso più, basta!â Quante volte i giovani hanno manifestato il proprio rincrescimento di fronte alla stoltezza della generazione che li ha preceduti?
Ho ascoltato giorni fa le inutili lamentele di una giovane produttrice dâolio di mia conoscenza.
Mi dice esausta e inviperita: âMa sai cosa le dico? Vaffanculo!â
Ecco, finalmente liberatorio, lâintercalare forse più efficace ed espressivo, il più vibrante e musicale che si conosca: vaffanculo! Pronunciato con lâesclamativo, con toni perentori.
Ricordate? Era anche il titolo di una bella e struggente canzone di Marco Masini: vaffanculo.
Già , proprio così: vaffanculo!
Vaffanculo a chi non ci capisce o non vuole capire; vaffanculo alle vecchie carabattole umane senza un briciolo dâintelligenza; vaffanculo ai vecchi catafalchi che non hanno mai conosciuto la giovinezza dello spirito, e soprattutto quella dellâintelletto; vaffanculo a quanti approfittano dei legami parentali per concepire ricatti ignominiosi.
Câè da cambiare qualcosa? Si è acquisita una propria competenza, si avverte la necessità e il dovere di mutare corso a unâattività imprenditoriale? Ebbene, cosa accade? Succede che câè sempre qualcuno che oppone una sciocca quanto inutile resistenza.
Il giovane vuole riformulare la struttura dellâazienda di famiglia? Vorrebbe dare corso a una reimpostazione radicale, ex novo, di una unità produttiva che oggettivamente non è più al passo con i tempi, che non è più funzionale, che non è più competitiva, che non è più conveniente mantenere in essere tal quale?
Sì, capita che si senta la necessità di cambiare rotta.
Gli studi dovrebbero pur servire a qualcosa.
Non ci si laurea solo per il pezzo di carta.
Una laurea non è ancora carta igienica. Almeno.
Dare dignità alla propria intelligenza, dare libera espressione alle proprie capacità è un diritto legittimo del giovane che vuole impedire a se stesso di inabissarsi nel già ripetuto, nello stantio, nellâinconsistenza dellâimmobilismo, nella merda più merda che ha elevato il conservatorismo a principio giusto e sacrosanto.
E invece no, câè lâopposizione, ferma, incrollabile, del vecchio che non vuole perdere quanto ha saputo costruire o mantenere; câè lâopposizione del vecchio che ha paura del nuovo, che gli appare quanto mai incerto.
E allora accade che il giovane dica giustamente al vecchio: âMa sai cosa ti dico? Vaffanculo!â
Ed è un vaffanculo corale, liberatorio, però disperato, doloroso, a volte tragico.
Eâ il dramma che si consuma in un gesto di sfida o in altri casi in una sconsolante rinuncia.
A essere sconfitta è soprattutto lâintelligenza.
Quanto è stupida la generazione di coloro che non cedono terreno ai giovani.
Quanto è deplorevole lâatteggiamento retrivo che assumono.
Quanto vomitevole lâaccozzaglia di anima corrotta e senza ombra di materia raziocinante.
Vomito, pus, merda, peti, urina. Si inquinano i rapporti tra esseri dello stesso sangue. Ne è sconfitta lâintelligenza. A trionfare è la pochezza morale di quanti insistono affinché i giovani non abbiano un proprio ruolo.
La fuga dei giovani dalle campagne è colpa dei vecchi che sono rimasti immobili, fermi a un atteggiamento così rovinoso quanto improduttivo, così inattuale quanto inutile.
Ascoltando il vaffanculo del riscatto e â insieme â della sconfitta, sono diventato testimone di una storia triste.
Câè una giovane produttrice â e non è lâunica â che ha intelligenza, competenza, passione.
Câè una giovane che vorrebbe reimpostare lâazienda di cui è socia insieme ad altri parenti (parenti serpenti!), che vorrebbe puntare verso lâalta qualità , verso lâeccellenza, fino a concepire la propria azienda in funzione del mercato (che non è lo sterco del diavolo!) e delle nuove esigenze dei consumatori, questâultime poi in continua evoluzione.
Câè una giovane che anziché migliorare e rendere efficace il fatidico passaggio da azienda agricola a carattere familiare a realtà imprenditoriale, seppure ancora a conduzione familiare ma con unâampia progettualità e unâapertura alle dinamiche evolutive del mercato e della società , oggi si dichiara invece insoddisfatta e platealmente dice: vaffanculo!
Vaffanculo! Detto senza ritrosìa e senza fingimenti. Sì, vaffanculo: perché lâagricoltura può avere un senso e una ragione dâessere solo se accanto allâagricoltore subentra anche lâimprenditore.
Lâagricoltore puro può esistere, ma a una condizione: che non si lamenti; può rinunciare ai distorti meccanismi del mercato, ma senza piangere tuttavia miseria cercando inutili consolazioni. O si sta sul mercato, o si rinuncia al mondo, conducendo le campagne come nei millenni passati, con il medesimo spirito di un tempo.
Purtroppo il caso della giovane di cui ho riferito non è lâunico e neppure tanto infrequente.
Il futuro delle aziende agricole a conduzione familiare può avere dunque un seguito solo se si ha il coraggio di rompere lâassurdo meccanismo conservatore che vige nel mondo rurale. Infatti le aziende che sono state in grado di compiere il âgrande saltoâ sono quelle in cui è avvenuto il passaggio di consegne con intelligenza e rispetto reciproco.
Oggi intanto la giovane laureata ha deciso di abbandonare lâazienda di famiglia.
Ha deciso di lavorare in unâimpresa del terziario, emigrando al Nord e guadagnando uno stipendio che lâagricoltura non può certo garantire.