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FERDINANDO CAMON: “NELLA CAMPAGNA NON C’E’ PIU’ UNA CIVILTA’ CONTADINA, MA UN’INDUSTRIA DELLA TERRA”

“Il mondo rurale vive nell’immobilità”, ammette l’autore del celebre romanzo Un altare per la madre. “Vi scorgo tuttavia molti eventi, storie, presenze, fedi, sopportazioni, comportamenti dotati di una straordinaria grandiosità che ho voluto descrivere nei miei libri”

01 maggio 2004 | Luigi Caricato

La rubrica mensile “Voce al pensiero” ospita questa volta lo scrittore Ferdinando Camon. Chi non lo conosce e opera a vario titolo nel mondo rurale dovrà assolutamente correre ai ripari e leggere i suoi libri, tutti pubblicati da Garzanti. E’ un dovere morale seguire un testimone così fedele e assiduo della civiltà agricola. L’ultima sua pubblicazione è un romanzo breve dal titolo La cavallina, la ragazza e il diavolo, un’intensa storia ambientata in una campagna che si confronta con la modernità. Di Camon hanno scritto molti tra i più autorevoli critici. Il suo esordio è stato salutato da figure di grande spicco come Pier Paolo Pasolini.
Così l’autorevole critico Bruno Quaranta, dalle pagine dell’inserto settimanale “Tuttolibri” del quotidiano "La Stampa", il 28 febbraio 2004: Ferdinando Camon – scrive - si cala ancora una volta “tra le zolle, si fa zolla, ricorda all'uomo il tesoro smarrito: il contatto con la terra, la vita come vitalità. E', la sua, una trincea campestre opposta alla demenza della modernità, un lume arcano, ma avaro di illusioni. Perché - come sapeva Montale - chi fa luce rischia il buio".



In febbraio lei ha pubblicato il romanzo breve La cavallina, la ragazza e il diavolo. Ritorna ancora il rimando alla campagna, tanto che come sottotitolo compare la definizione di “racconto campestre”. Perché questa predilezione verso il mondo rurale?
Perché sono nato in campagna, dove sono vissuto per tutta la parte fondante della mia vita. Quando ho cominciato a scrivere mi dispiaceva che tutta la cultura italiana fosse incentrata sul mondo operaio. Da Vittorini a Barile, da Volponi a Ottieni, come d’altra parte in molti romanzi della collana “I gettoni”, della Einaudi, il riferimento alla civiltà operaia era dominante. Io volevo invece attirare l’attenzione sul mio mondo, quello rurale, che mi appariva vasto, profondo e carico di storie grandissime. Ho così cominciato a scrivere romanzi come …, Mai visto sole e luna, fino a La cavallina, la ragazza e il diavolo.

ll suo esordio è stato salutato positivamente da Pier Paolo Pasolini, come pure da Jean Paul Sartre…
Quella di Pasolini è stata un’approvazione con sorpresa, per me. Il romanzo glielo inviò l’editore Garzanti a mia insaputa. Pasolini mi chiamò una mattina alle cinque. Stava recandosi a montare un film. Mi disse che aveva letto il mio manoscritto e aveva piacere di scrivere una prefazione al romanzo. Risposi che mi onorava. Quando lessi il testo, accettai senza esitazioni. Ebbi una prefazione bellissima, molto utile, ma nello stesso tempo completamente sbagliata.

E Jean Paul Sartre?
Ricevette una copia del romanzo appena stampato. Mi mandò un foglio di quaderno a quadretti in cui aveva semplicemente scritto di aver consigliato all’editore Gallimard di tradurre il libro. Tutto qui. E’ l’unico contatto che c’è stato.

Ma da cosa è dipeso il fatto che siano stati in pochi, in Italia, a descrivere e narrare il mondo rurale. Sono mancati i lettori, forse? Da cosa è dipeso?
Dal fatto che il mondo rurale è immobile. Il mondo contadino è immobile; ma non solo da noi, ovunque, in tutte le aree del mondo lo è. La società operaia era invece in una fase di cambiamento. L’Italia aspettava una rivoluzione e sarebbe stata una rivoluzione operaia, non certo contadina. Per tale motivo descrivo il conservatorismo. Tuttavia in questa immobilità vedo molti eventi, storie, presenze, fedi, sopportazioni, comportamenti dotati di una grandiosità che io appunto descrivo.

Ma esiste la speranza che questo mondo rurale da immobile diventi più propositivo?
No, il mondo contadino che descrivo è morto. La civiltà contadina è morta. Nella campagna adesso non c’è più una civiltà contadina. C’è invece una civiltà industriale, un’industria della terra. Ci sono grandi consorzi, grandi allevamenti, grandi cantine sociali, grandi depositi di strumenti e macchine…
Charles Péguy, grande poeta francese, definì la morte della civiltà contadina l’avvenimento della storia più grande dopo la venuta di Gesù Cristo. Io sono abbastanza d’accordo. Questo evento grandioso - fatto di religiosità, di tante fatiche, di una morale, di molto lavoro, di ciò che complessivamente chiamiamo civiltà contadina – non c’è più; ora al suo posto c’è l’industria della terra. La civiltà contadina è morta e con essa è morto Dio, una famiglia e anche un tipo di uomo, un’idea di lavoro, di risparmio, di gerarchia, di obbedienza.
Adesso, da tutte le aree del mondo vengono qui. I contadini più poveri, i nullatenenti percorreranno la stessa trafila; e cioè, lentamente, dolorosamente ascenderanno nella scala sociale e diventeranno, tra cinquanta, cento anni, piccola borghesia; e in questo tragitto anch’essi perderanno il loro Dio, la loro civiltà, la loro famiglia, il sistema di valori secondo il quale ora si comportano.

Esiste dunque il rischio che non si possa più tornare indietro?
Ma la storia non torna mai indietro. La storia va sempre avanti. Quando c’è un problema, il primo istinto è di tornare indietro e affrontarlo, ma non si può, occorre andare comunque avanti, tenendo ben presente che la storia non risolve i problemi. Il metodo con cui la storia risolve i problemi, è di presentare un altro problema.

Lo stravolgimento del paesaggio sembra essere stato inavvertito da quella ch’era un tempo la società rurale. Come mai un tale atteggiamento di così scarsa, o addirittura nulla, sensibilizzazione? La terra sembra richiamare oggi lo sfruttamento delle risorse e non piuttosto la terra intesa come valore e bene da curare e preservare…
Il mantenimento della bellezza del paesaggio è un sogno borghese, un sogno della borghesia delle città. Abitando in un ambiente disumano - tutto case, palazzi, asfalto, auto, cemento - sogna un paesaggio intatto e inviolato, da visitare la domenica o una volta ogni tanto, per ritemprarsi. Non è però una virtù che la borghesia pratica, ma una virtù che la borghesia desidera veder praticata da altre classi sociali, in particolare da quella contadina. Anche quest’ultima classe è diventata in verità borghese. Desidera che la terra produca di più, che le stalle, i vigneti, i frutteti producano di più. E’ stata artificializzata la campagna per farla rendere di più. Ora la civiltà contadina non esiste, si è tramutata in una civiltà industriale.

Quindi il ritorno alla campagna è una scelta puramente estetica e non sostanziale?
Proprio così.

Lei ha firmato la prefazione della ristampa anastatica del Catechismo rurale a uso dei contadini, redatto sul finire dell’Ottocento dal canonico Giovanni Rizzo. Ora, chi ha preso secondo lei il posto di quel canonico, chi rappresenta oggi il mondo rurale, al di là dei tecnici?
Può sembrare strano ma io vengo da un piccolo paese del Veneto euganeo, dove ancora oggi vi è un sacerdote che partecipa ai riti contadini e fa i tridui contro la siccità, e che, purtroppo, è sempre stato un potente esorcista. Dico purtroppo perché per me è un elemento di dolore il ricorso all’esorcismo. E’ una zona in cui effettivamente il parroco - dimenticato dalle gerarchie ecclesiastiche, sepolto lì e dimenticato lì - vive la stessa vita dei contadini, immobile…

Lei è nato dunque in un piccolo paese di campagna, in provincia di Padova. Perché nelle note biografiche dei suoi libri non compare mai il nome del paese? Non lo può dire?
Certo che no.

Come mai?
Intanto, anche se lo dico non lo si trova segnato su nessuna carta; perché è una piccola frazione, l’unica piccola frazione di un piccolo comune; e poi perché questo paese non ama essere descritto, non ha amato Il quinto stato, non ha amato La vita eterna, non ha amato e Mai visti sole e luna. Il mio paese non ama essere descritto, ha sognato di fare un salto dentro la condizione borghese senza che resti però traccia della condizione contadina nella quale era vissuto per secoli; l’essersi trovato descritto da un suo figlio, nato e vissuto lì, e quindi l’essere stato descritto dall’interno, è stato per il mio paese come un pugno nello stomaco, non lo ha gradito.

Chi è il suo lettore fedele? Chi l’ha seguita sinora, cosa trova nei suoi libri? Cosa si attende?
Ho scritto romanzi diversi. In generale i miei lettori hanno letto quasi tutti Un altare per la madre. I miei sono libri di problemi e i lettori “sentono” gli stessi problemi che io descrivo. Il tema di Un altare per la madre è la morte, sta tutto nel come superare la morte. Si tratta di un problema universale; e infatti, gira e rigira, dopo tante traduzioni (in Francia, Germania, Olanda, Grecia, Brasile, Russia…) il libro è arrivato perfino in Turchia, un paese islamico in via di forte integralizzazione. Sono andato a presentare il libro e il nucleo mistico del romanzo è stato ben capito.

Il suo legame con la religione e il sacro come si delinea?
In maniera molto semplice. Io sono un credente non credente, un praticante non praticante. Sono stato amico di grandi figure del Novecento; e a pensarci mi ha lasciato per esempio perplesso l’atteggiamento di Alberto Moravia in campo religioso. Per tutta la vita Moravia si è proclamato ateo. Negli ultimi dieci anni – io gli ho fatto una lunga intervista che raccolsi in un libretto – deviò dalla non credenza verso il dubbio. “Io non è che credo o non credo” mi disse; “io sono dubbioso e il dubbio mi sta bene”.
Anche Renato Guttuso piegò verso il dubbio, e poi verso la fede. Sciascia finì con il dire: “Io non so, io cerco, ma non cercherei se non sapessi che c’è”; ma questa non è la posizione di chi cerca, ma di chi ha già trovato.
Anche Pasolini secondo me era un credente che combatteva dall’altra parte. Ho l’impressione che l’umanità si divida in due parti: metà crede, metà non crede. La metà che crede, crede in tutto ma teme che non ci sia niente. La metà che non crede, non crede in niente ma teme che ci sia tutto.

Quali libri consiglierebbe a chi opera nel mondo dell’agricoltura?
Ognuno può rispondere per sé. Io per me dico che il mondo rurale abbia molto amato tra i miei testi più di tutti Un’altare per la madre; certo, ha letto anche Il quinto Stato e La vita eterna, ma senza amarli, così come non ha mai amato Mai visti sole e luna.

Una sua raccolta di versi si intitola Dal silenzio delle campagne. Ma è stato il rumore assordante della attuale civiltà tecnologica ad aver spento l’identità rurale?
Ho intitolato il libro Dal silenzio delle campagne perché nelle campagne sono avvenute cose grandiose, etiche, tragiche. Nel piccolo paese dove sono nato e vissuto, ma anche nei pochi e piccoli paesi intorno, ci sono state rappresaglie tremende, incendi, impiccagioni. Ci sono stati cinquantasei cadaveri, tra fucilati e impiccati, però le campagne non ne parlano, la città non lo sa e non lo avrebbe saputo mai. Mai, infatti, questi eventi sarebbero entrati in un frammento di riga nei testi di storia. Io ho voluto rompere questo silenzio, raccontando in versi tali tragiche vicende, dotate però di una grandezza etica straordinaria. Mi fa piacere che anche Gallimard abbia notato questo libro e l’abbia tradotto in francese. Sono soddisfatto perché la mia voce di protesta e di chiara denuncia corra oggi in italiano e in francese.



La bibiografia

L'intera opera di Ferdinando Camon è stata pubblicata dall'editore Graznti. Ecco l'elenco dei titoli. Per maggiori approfondimenti sulle opere è possibile consultare i seguenti siti:
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ROMANZI

Ciclo degli ultimi
- Il quinto stato,
- La vita eterna
- Un altare per la madre
- Mai visti sole e luna

Ciclo del terrore
- Occidente
- Storia di Sirio

Ciclo della famiglia
- La malattia chiamata uomo
- La donna dei fili

Ciclo della coppia
- Il canto delle balene
- Il Super-Baby

Ciclo dei primi
- La Terra è di tutti

POESIE
- Liberare l'animale
- Dal silenzio delle campagne

CRITICA
- Il mestiere di poeta
- Il mestiere di scrittore
- Letteratura e classi subalterne
- Avanti popolo
- Il santo assassino
- Conversazione con Primo Levi


L'ultima pubblicazione è La cavallina, la ragazza e il Diavolo, Garzanti, collana Nuova Biblioteca Garzanti, febbraio 2004, pagg. 90, euro 10,00


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