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LAURA BOSIO: DAL MONDO RURALE HO RICAVATO IL SENSO DELLA FATICA UNITO ALLA DETERMINAZIONE. MA ANCHE LA LIBERTA'
In attesa dell'uscita del nuovo libro, dal titolo Teresina, abbiamo incontrato una tra le più raffinate e colte scrittrici per prendere confidenza con una visione del mondo aperta alla luce
03 aprile 2004 | Luigi Caricato
Il 29 aprile uscirà per Mondadori il volume Teresina. Storie di un'anima. L'autrice è Laura Bosio, firma autorevole all'interno di una comunità letteraria che preferisce distrarsi affrontando temi più vendibili, ma non certo in grado di scavare nel profondo delle coscienze. Per chi non ha avuto l'occasione di leggerla, segnaliamo il romanzo d'esordio I dimenticati (Feltrinelli, 1993) e i volumi Annunciazione (Mondadori, 1997; riproposto nel marzo 2004 nella collana degli Oscar Mondadori "Piccola biblioteca") e Le ali ai piedi (Mondadori, 2002).
Sei nata a Vercelli, in un terra nota per la coltivazione del riso e per le solide radici contadine. Cosa è rimasto del mondo rurale nella tua formazione?
à rimasto il paesaggio, lo sfondo, le distese a specchio che invitano alla contemplazione, alla riflessione. E poi il senso della fatica unito alla determinazione, ma anche alla libertà . Le donne che negli anni Quaranta e Cinquanta venivano a mondare le risaie, dall'Emilia, dal Veneto, vivevano e lavoravano in condizioni durissime, ma godevano di una libertà che nei loro minuscoli paesi di provenienza non avrebbero mai avuto. Per loro quel lavoro pesante e mal pagato non era soltanto pena, povertà , schiena curva, rassegnazione: era anche l'avventura della vita. Le mondine abitavano sole, tra ragazze, si permettevano, nonostante la stanchezza, di ballare quasi ogni sera, avevano molti amori. Matteo Bellizzi ha raccontato il dramma, ma soprattutto la forza di quell'avventura in un bel documentario, Sorriso amaro, presentato con successo all'ultimo Festival del cinema di Venezia. à un montaggio, ricco di pathos ma non patetico, fatto di scorci di paesaggio, vecchie fotografie, frammenti del film di De Santis e interviste a ex mondine, dove rivivono la fatica, ma anche la vitalità e l'energia di quell'esperienza.
Qual è il tuo approccio con l'agricoltura?
L'ho sempre avvicinata in modo sommario, quando non distratto, e vorrei saperne di più. Per questo ho in progetto di scrivere un romanzo proprio su questi temi, e in particolare sulla coltivazione del riso. Raccogliere informazioni sul mondo agricolo si sta rivelando affascinante: interrogo coltivatori, li seguo al mercato settimanale del riso, mi interesso dei processi di trasformazione. All'Ente Risi di Mortara, presso il Centro sperimentale, esiste una biblioteca di seimila volumi interamente dedicati sul riso, dal Novecento a oggi. A maggio andrò a visitarla, a consultarla, e mi aspetto di trovare, oltre ai dettagli tecnici, che mi incuriosiscono molto, episodi, storie, figure.
E con il cibo?
Sono inguaribilmente golosa, anzi onnivora. A tavola si conversa con distensione, si prova piacere e sorpresa per i sapori e le loro infinite combinazioni. à una mescolanza di memoria e invenzione che mi dà entusiasmo. Mi diverto anche a cucinare, seguendo libri di ricette. Joseph Conrad diceva che i libri di cucina hanno un unico grande scopo: accrescere la felicità del genere umano.
C'è uno scrittore o un filosofo o un pedagogista che ritieni possa essere un punto di riferimento per chi ama la natura e vi lavora abitualmente?
Ultimamente, mi hanno coinvolto alcuni saggi di Piero Camporesi che non avevo ancora letto, come La terra e la luna. Alimentazione, folclore, società , e Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, usciti entrambi da Garzanti.
Ai lettori di "Teatro Naturale" quali libri consiglieresti?
Un libro di Fulco Pratesi, Storia della natura d'Italia, pubblicato da Editori Riuniti, attraente per i percorsi e per le illustrazioni. Segue le modificazioni del paesaggio italiano a partire dall'ultima glaciazione, otto millenni prima dell'era cristiana, per poi addentrarsi nelle vicende dell'interazione tra uomo e natura fino ai nostri giorni. In poco più di ducecento pagine riesce a restituirci il fascino di una storia che ci riguarda profondamente, ma che conosciamo troppo poco.
Ora parliamo invece del tuo nuovo libro, in uscita il 29 aprile. Come mai la scelta di scrivere un testo su Teresa di Lisieux? Cosa ti ha catturato della figura di questa donna scomparsa a soli ventiquattro anni, canonizzata nel 1925 e riconosciuta "dottore della Chiesa" nel 1997?
L'idea è stata di Ferruccio Parazzoli, che mi ha commissionato il libro per la collana di Mondadori "Uomini e Religioni". Due ragioni mi hanno convinto ad accettare. Intanto, la richiesta di un libro che non fosse né un saggio né un romanzo, ma un'indagine personale, documentata e insieme libera, in questa figura di donna e di santa. E poi una fotografia dove Thérèse, che allora aveva solo diciannove anni, sembra guardarti con aria di sfida, con gli occhi di chi ha capito tutto (secondo lei). Il libro comincia da qui, da quella fotografia.
Cosa ha avuto di così speciale Teresa? Come può una santa di provincia aver attratto a sé tante anime in così pochi anni di vita?
Thérèse veniva incontro a molte esigenze dell'epoca, spesso in contraddizione tra loro. Si riconoscevano in lei i cattolici in attesa di rialzare la testa nella società e dentro le loro case; gli intellettuali turbati da inquietudini interiori dopo un secolo di ottimismo illuminista; la povera gente, che si sentiva riscattata dalla umile e fragile "petite Thérèse"; la folla degli sciovinisti, che la vedevano come la nuova Giovanna d¹Arco. I soldati di ogni esercito e fronte, scaraventati nelle trincee disumane della prima guerra mondiale, la sentivano amica, compassionevole, vicina, e le scrivevano lettere accorate. I provocatori la usavano come bersaglio contro il sentimentalismo deteriore, contro i ricatti della morale tradizionale o, come Pierre Mabille, amico del surrealista Breton, contro "un cristianesimo invecchiato e marcio supportato dalla classe borghese". In questa attività frenetica, dove si sono sovrapposte edulcorazioni, distorsioni e sottili capziosità teologiche, Thérèse ha rischiato di perdersi. Una delle domande iniziali del mio libro è proprio questa: che cosa ne è di lei dopo che l'hanno proclamata dottore della chiesa, accanto a filosofi come Agostino e Tommaso d'Aquino, a traduttori della Bibbia come Gerolamo, a mistiche come Caterina da Siena e Teresa d'Avila. Dopo che teologi illustri l'hanno ammantata, fino a soffocarla, di dottrina.
Dove si può trovare, se esiste, una risposta?
Nei suoi scritti, pubblicati postumi con il titolo di Storia di un'anima, uno dei libri più diffusi al mondo. Sono pagine straordinarie. Vivaci, bibliche, drammatiche, infuocate, potenti. Il racconto autobiografico dell'infanzia di Thérèse e dei nove anni passati nel carmelo di Lisieux, fino a pochi mesi prima di morire, per tisi, nel 1897. La priora del convento la definiva "un poco mistica, un poco comica". I suoi quaderni sono un esempio luminoso del plein air della sua santità , molto simile a quello che, negli stessi anni e nella stessa Normandia, cercavano i pittori impressionisti.
Perché hai intitolato il libro Teresina?
Per simpatia, per affetto. Forse anche per sottrarmi alla tentazione di titoli "alti", che non l'avrebbero rappresentata. E poi con lei ho scoperto che i diminutivi, a volte, possono trasformarsi in accrescitivi.
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