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Consigli e suggerimenti per la commercializzazione dell'extra vergine sui mercati emergenti

Esiste un’ampia fascia di Paesi nuovi, rappresentata principalmente dall’Europa dell’Est, dalla Russia e dall’Oriente, che sta incrementando notevolmente le importazioni ma occorre una comunicazione mirata e organizzata, anche tramite la ristorazione

26 gennaio 2008 | Duccio Morozzo della Rocca

I produttori italiani, e non solo, cercano nuovi sbocchi convinti ormai che Europa e Usa siano ormai mercati maturi, con poche prospettive di grandi exploit.
Si guarda quindi con notevole interesse a Est, Nazioni che possiamo considerare vergini quanto a consumo di oli d’oliva.

Polonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia, per non parlare di Russia, Cina e India, ma anche di alcuni Paesi estremo orientali come la Corea.

Le grandi marche da tempo si stanno impegnando su questi fronti, mentre è da poco che produttori e frantoiani rivolgono lo sguardo a Est.
Si può affermare che la corsa per la conquista dei nuovi mercati dell’extravergine è appena cominciata.

Per capire quanto sta accadendo e le prospettive per le nostre piccole e media imprese abbiamo interpellato Roberto Lovato, dirigente agro-alimentare dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (Ice).

- Qual’è attualmente lo scenario economico internazionale che ci troviamo di fronte?
Vede, la situazione è molto articolata. La base oggi consolidata del consumo di olio di oliva è rappresentata dalla vecchia Europa e dal Nord America grazie anche alla spinta ricevuta dall’emigrazione dei popoli mediterranei e dal successo della dieta mediterranea.
Mercati che continuano negli anni a dare buoni margini.
C’è però un dato interessante. Un’ampia fascia di Paesi nuovi, rappresentata principalmente dall’Europa dell’Est, dalla Russia e dall’oriente, sta incrementando notevolmente le importazioni di olio di oliva.
Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Ucraina, Romania stanno dando grandi risposte dal punto di vista commerciale grazie soprattutto all’alto valore nutrizionale che viene riconosciuto all’olio di oliva.
In Oriente, mentre il Giappone è ormai una realtà commerciale piuttosto stabile e consolidata, sono paesi come la Corea o la Cina ad essere interessanti, e sono probabilmente Taiwan e Hong Kong le principali porte d’accesso a questo mercato.
Dalla Cina arrivano significativi segnali commerciali sia per il vino che per l’olio ma sono ancora prodotti riservati ad una élite del lusso legata a fenomeni di imitazione dei modelli occidentali e alle grandi catene.

- Ultimamente si sente spesso parlare di India. Cosa sta accadendo in questo Paese?
L’India è un punto di domanda. La struttura commerciale del paese è ancora molto chiusa ed autarchica. Potenzialmente è un mercato decisamente significativo ma è di difficilissima penetrazione, ci si scontra con un settore dell’importazione fortemente oligarchico e canalizzato”.

- Senza dimenticare i problemi di abbinamento dell’olio di oliva con le realtà alimentari tradizionali.
Per questo la prima cosa da fare è la comunicazione e la formazione sul prodotto.
Introdurre variazioni nell’alimentazione tradizionale per una contaminazione gastronomica, fusion, come primo passo verso l’ingresso dell’olio di oliva sulle tavole dei nuovi paesi.
Non ci scordiamo che noi abbiamo adottato il ketchup e non è neanche così nutriente e salutare…

- Per l’olio di oliva viene spesso auspicato un exploit simile a quello del vino. Pensa che nel posizionamento internazionale del prodotto le leve giuste da adottare siano le stesse?
L’olio viene spesso paragonato al vino ma è tutt’altra cosa. Il vino ha trovato la sua forza legandosi ad eventi di prestigio e convivialità mentre credo che le leve giuste per l’olio siano legate al condimento, alle virtù salutistiche e nutrizionali che il comune consumatore non sa ancora percepire.
Per questo è fondamentale una prima fase di formazione alla quale possa seguire poi la capacità di aprezzare le differenze tra i prodotti.
Non bisogna inoltre dimenticare il ruolo della ristorazione italiana, uno strumento molto importante nella diffusione della conoscenza e dell’esperienza del prodotto. Parlo naturalmente della ristorazione di qualità. Non sempre, purtroppo, si ha un’autenticità delle peculiarità della nostra cucina.

- Quale consiglio si sente di dare ai produttori italiani?
Per affrontare i mercati internazionali esistono due necessità.
La prima è l’aggregazione dell’offerta: gli operatori vogliono l’assicurazione di fornitura continua del prodotto.
La seconda è la promozione della qualità per differenziarsi dalla produzione di massa che non dà reddito alle piccole e medie aziende.
Comunicazione e promozione mirata e organizzata, anche tramite la ristorazione perché, nonostante tutto quello che si possa dire, resta un fondamentale strumento di divulgazione.

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