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FACCIAMOCI DEL MALE. ECCO COME “L’ESPRESSO” AFFONDA L’AGRICOLTURA ITALIANA

Dopo l’inchiesta sullo sfruttamento dei lavoratori in Puglia, l’Italia rischia di perdere 137 milioni di euro. Si è fatto di ogni erba un fascio, come al solito. Ora però Stephen Hughes chiede la sospensione dei sussidi ai coltivatori italiani

07 ottobre 2006 | Luigi Caricato

E’ divertente. Abbiamo un giornalismo, in Italia, ch’è fatto così. Che possiamo farci? Dobbiamo prenderne atto. Siamo i soliti. Pur di vendere qualche copia in più di giornale si sbatte il mostro in prima pagina. L’agricoltura, d’altra parte, si presta bene all’operazione.

Sia chiaro, le denunce vanno fatte – se si ha una coscienza, almeno – ma farle senza le dovute precauzioni, e senza i necessari distinguo, diventa una scelta poco illuminante e certamente poco felice.
Lo ripeto, per coloro che per ragioni ideologiche rinunciano volentieri alla riflessione: la criminalità si occupa di tutte le sfere economiche, compresa l’agricoltura, dove è più facile oltretutto depredare danari sottraendoli a coloro i quali sarebbero destinati; e di conseguenza (lo dico anche al giornalista Fabrizio Gatti) non si può fare d’ogni erba un fascio e far coincidere il mondo criminale con il mondo agricolo. Tutto ciò sembra scontato, è vero, ma da certe storie che si leggono si direbbe proprio di no. Il pregiudizio è duro a morire.
Sul tema abbiamo già scritto. Ecco il link, per chi voglia riprendere il tema:
link esterno

Chi è Stephen Hughes? Ecco dunque la nuova storiella, tratta ancora una volta dal settimanale “L’Espresso”, fertile a quanto pare di iniziative.
Si tratta di un’intervista all’inglese Stephen Hughes rilasciata (o sollecitata?) a Fabrizio Gatti.
Chi è Hughes? Ma sì! Quest’uomo è stato presidente, e oggi membro, della commissione Occupazione e affari sociali a Bruxelles.
Cosa dice costui? Sostiene la propria posizione con ferma intransigenza – buon per lui: finché l’Italia non dimostrerà di reagire allo sfruttamento dei braccianti agricoli, è bene che siano sospesi i sussidi destinati ai coltivatori italiani di pomodori; e chissà, viste le intenzioni di certa gente, non è da escludere che a partire da tale vicenda si possano coinvolgere i coltivatori tutti.
In allerta, dunque. L’idea di fondo resta la medesima: lo sfruttamento barbaro e inumano non si ferma ai soli pomodori! Si tratta di indagare.

Il caso è grave. Hughes sostiene che "la Commissione europea dovrebbe incriminare il governo italiano e inviare l'intera materia con procedura d'urgenza alla Corte europea di Giustizia".
Bene, attendiamoci qualche incriminazione allora.
“Il caso è grave” tuona l’uomo.
L’inchiesta ci costerà infatti piuttosto cara: 137 milioni di euro potrebbero essere a rischio. Tale somma coincide oltretutto con l’ammontare dei finanziamenti spettanti all’Italia relativamente alla coltivazione dei pomodori.

Storie umane. Ora, lo dico con estrema franchezza, questa storia inizia un po’ a stufare.
Non ci piace cavalcare temi così delicati, in cui sono implicate storie umane di sofferenza.
Non ci piace, soprattutto, occuparci di tali temi per fini meramente ideologici.
Il risultato di una simile campagna di denigrazione l’ho già evidenziato nel precedente articolo, all’indomani dell’inchiesta.
Anche in questo caso il rischio è di continuare a guardare all’agricoltura con i paraocchi abituali.
Cito alcuni passi tratti dalle mail inviate dai lettori del settimanale “L’Espresso”:
- “E' vergognoso, speriamo che la Comunità europea prenda davvero provvedimenti seri. Spero anche di non dover assistere poi a piagnistei davanti a Palazzo Chigi per ottenere fondi e soldi dallo Stato italiano (...)”
- “Ma perché, è solo nei pomodori? Adesso che arriva la vendemmia non schiavizzeranno nessuno? (...)”


Troppo facile denigrare. Insomma, come al solito, il pensiero di fondo è il medesimo: l’agricoltura italiana viene vista sempre con sguardo torvo.
Poveri agricoltori dunque: sono loro i veri schiavi, i veri umiliati della nostra irritante e superficiale società, intellettuali compresi.
E’ troppo facile denigrare un comparto produttivo ch’è già alla mercé di tutti, da sempre. Anche il giornalismo ne approfitta: o banalizza trattando intorno all’agricoltura, come spesso accade, o generalizza invece in modo sommario.
Allora, al diavolo l’ideologia. Sì, perché questa fa di un problema reale (lo sfruttamento dei braccianti) un problema che minaccia le basi di un comparto già fragile e ben depredato da tutti, indistintamente.

La criminalità in agricoltura resiste. Assodato che lo sfruttamento dei braccianti sia tuttora una realtà irrisolta, si apra finalmente un serio tavolo di lavoro per discutere intorno all’agricoltura – con i soggetti giusti, però – snocciolando così le irrisolte questioni di uno stato della realtà fin troppo ignorato. La presenza della criminalità è una piaga terribile. Esiste una criminalità nera, quella denunciata da Gatti, ch’è solo la più apparente; ed esiste invece una criminalità bianca, che è ben più drammatica, ch’è rappresentata da un vorticoso giro di interessi che coinvolge molti insospettabili.

Un buon proposito. Restituire l’agricoltura a chi la vive con sudore e lacrime giorno e notte, è questo l’obiettivo purtroppo irraggiungibile. Perché Gatti non lo sa, ma l’agricoltura è funestata da troppa gente che le sottrae linfa vitale. Le sue inchieste hanno solo mire ideologiche, hanno il respiro corto. Nulla da ridire sulla gravità della denuncia. ma i suoi scritti non rendono giustizia agli agricoltori, anzi nuocciono, pesantemente.
E’ giusto che lo sfruttamento umano venga perseguito, con severità e senza indulgenze, ma è bene anche che si finisca di speculare una buona volta per tutte sulla pelle degli agricoltori.

E inoltre.... Si legga, dal sito “Il Barbiere della Sera”, l’articolo “Braccia rubate all’agricoltura”: link esterno, dove tra l’altro si legge come “Ancora una volta gli extracomunitari sono trattati come carne da macello. Quella stessa carne che, come scrive l’inviato Fabrizio Gatti, loro non possono mai mangiare”.

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