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LA CARRIERA AD OGNI COSTO? UNA DOMANDA SORGE SPONTANEA: IN CHE MONDO DEL LAVORO VIVIAMO?

Successo e merito non si incontrano mai. Secondo una cospicua percentuale di italiani, servono a ben poco le capacità individuali. Più che le competenze possono i soldi e le giuste relazioni con chi conta. Ma chi sono i gruppi sociali considerati potenti?

08 luglio 2006 | Ada Fichera

Nell’articolato mondo del lavoro, peraltro strettamente legato all’ambito sociale entro il quale si costituiscono e si snodano le varie dinamiche quotidiane, vige attualmente una convinzione più o meno verosimile.
Secondo una cospicua percentuale di italiani, intervistati dal “Censis” a riguardo, per arrivare a posizioni di potere, nella nostra società, i requisiti necessari sono indipendenti dalle qualità individuali, in quanto regolati dalle risorse economiche di cui si dispone, dalle relazioni politiche e personali.
L’idea di fare carriera per merito, come sarebbe giusto e lecito, sembra ormai appannaggio di pochi.
Non è con “taglio” nostalgico che ci avviamo a questo breve commento, ma con delusione e vera preoccupazione.

Pensare di corredare il curriculum di studi e di esperienze tese ad accrescere i meriti personali e poi trovarsi di fronte ad una ben radicata e diffusa realtà in cui far carriera per merito sembra quasi inverosimile, non può che affliggere ed amareggiare una collettività già satura di quotidiane problematiche.
Si fa ancor più salda la convinzione che “non si va avanti per merito”, nel momento in cui prendiamo in considerazione dei teorici “posti di potere”. Qui procedere solo con le proprie competenze sembra presentarsi agli italiani come un’impresa ardua e quasi impossibile.
Soldi e relazioni “con chi conta” dunque, e (almeno pare) nulla di più.
Ma quali sono i gruppi sociali considerati “potenti”?

In testa, c’è l’élite economica-finanziaria e quella dei partiti. Influenti sono considerati anche i giornalisti, i magistrati e chi è stato eletto a livello nazionale o locale. Seguono poi i vertici burocratici, i dirigenti sindacali e i rappresentanti dei “poteri occulti”.
È allora forse forte, ma alquanto attuale una nota frase di Victor Hugo, il quale affermava: «È una cosa ben schifosa, il successo. La sua falsa somiglianza con il merito inganna gli uomini».
Dunque, in carriera, il merito non conta. O conta ben poco. Per arrivare a posizione di potere nella società non sono le qualità individuali a essere determinanti, ma il portafogli e le conoscenze.

Prevalgono quindi i requisiti personali attribuibili a caratteristiche di ceto, piuttosto che quelli vincenti in logiche tradizionali di mobilità sociale.
Viene così a cadere l’antica impalcatura del costruire sulla conoscenza e sul sacrificio e del giungere alla meta “per merito distinto” (come recitava qualche bando di concorso “pre-sessantotto”).
Ciò ha lasciato spazio a mediocrità e pigrizia, le quali si sono bene annidate sotto le vesti del vecchio mito del cosiddetto “egualitarismo”.
Segno dei tempi forse ed indice di una società che cambia; tutto sta a vedere se tali modificazioni siano anche sinonimi di migliorie…
Di certo, il progredire in ambito lavorativo per titoli e meriti, regalava ad ogni aspetto del settore una maggiore serietà, trasparenza e, soprattutto, uno stimolo alla formazione e alla crescita personale.
Era educativo dimostrare che “si scalava” “il rilievo” di ogni professione con sacrifico, cultura e competenza.
Probabilmente il meccanismo “malato” innescatosi nella società odierna non conduce e non condurrà molto lontano, tuttavia ha ed avrà, purtroppo, intaccato quanto basta il modus agendi di una collettività ormai più a caccia di soldi e personaggi illustri che di titoli e preparazione.

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