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AGRICOLTORI O INDUSTRIALI?

Il mondo si muove tra mille stranezze. All’ideologia del mulino bianco si contrappone il desiderio di giungere a una dimensione lontana dal vero. In questo modo si comprende come mai sia necessaria l’opportuna distinzione tra furbi e ingenui

29 novembre 2003 | Luigi Caricato

Agricoltori o industriali? Fermarsi un attimo per riflettere sulle scelte della gente ogni tanto fa bene per rendersi conto di come vada il mondo. Di solito quando si parla di agricoltura si contrappone sempre l’industria, anche con toni a volte duri e severi, proprio in quanto esiste, tra i due ambiti, una netta contrapposizione, giusta o sbagliata che sia, nelle caratteristiche strutturali di fondo.
Si resta in qualche modo titubanti quando il mondo dell’industria si avvicina capziosamente al mondo rurale per cercarne di assumere l’identità apparente, ma soprattutto l’aspetto evocativo della naturalità, della dimensione familiare, mutuandone di conseguenza, e talvolta in maniera goffa, l’aria di semplicità di tempi in ogni caso oramai lontani, gravidi di nostalgia per un passato che mai più ritornerà.
Nessuna sorpresa dunque se in etichetta compare un riferimento diretto ed esplicito alla ruralità. L’ideologia del mulino bianco ha ormai fatto scuola. Si pensa sempre a un mondo ideale, fatto di sorrisi, di pace interiore, di beatitudine di fronte alla maestosa e catturante bellezza della natura. Così nasce e si sviluppa, in quest’ordine di idee, la teoria del prodotto della “nonna”, o meglio ancora del “contadino”, sinonimo entrambe di genuinità e purezza. Poi invece accade che al primo segnale di fastidio, manifestato da qualche associazione consumerista, alcuni gruppi aziendali siano costretti a evitare riferimenti espliciti, e forzosamente eccessivi, a un mondo rurale rappresentato solo nell’immaginario, ma assai lontano dal reale. D’altra parte è anche giusto che non si permetta alle aziende di approfittare, a soli fini strumentali, di quella dimensione di naturalità che comunemente viene accordata al mondo contadino. In alcuni casi capita di assistere alle prese di posizione di chi giustamente non vuole che il consumatore venga gabbato da qualche furbacchione troppo avvezzo a speculare sull’effetto emotivo esercitato da pubblicità ed etichettature tendenziose. Fin qui nulla da eccepire, salvo poi scoprire che se da una parte vi è un mondo, rappresentato dall’industria, che tende a vestire strumentalmente i panni dell’azienda agricola, dall’altra si verifica addirittura il contrario, ovvero che minuscole aziende agricole, con solo pochi ettari di superficie, con bilanci piuttosto esigui e magari con personale esclusivamente familiare o avventizio, scelga in controtendenza di sposare, senza neppure riflettere sul significato del gesto, un mondo industriale forse tante volte auspicato, ma in realtà così lontano da poterlo effettivamente raggiungere. Accade quindi l’inverosimile, che il titolare di un’azienda agricola che non diventerà mai industria, alla fine ceda al mondo dei sogni decidendo di abbracciare almeno nella ragione sociale l’appellativo tanto ambìto.
Questa mia riflessione, che non definisco né amara né bonaria, mi è sorta spontanea quando mi sono imbattuto in alcuni cataloghi fieristici. Sono rimasto incredulo di fronte ad alcune – per fortuna poche – ragioni sociali di aziende agricole che si autoproclamano industrie.
Beninteso, si dia pure piena libertà d’espressione a chiunque voglia strafare, ma consentitemi tuttavia di esprimere incredulità e stupore.
Ha senso, mi chiedo, che un’azienda agricola riporti come proprio appellativo quello di Industria X (omissis) oppure di Agroindustria Y (omissis)?
Non esiste più senso della misura, purtroppo; ma soprattutto è disarmante il fatto che qualcuno non comprenda ancora come da una parte l’industria voglia sentirsi più vicina al consumatore, rendendosi finta espressione di una ruralità solo esibita; e dall’altra, invece, insistono coloro che, nonostante vivano per davvero la dimensione rurale, la rifuggano senza nemmeno riflettere sulle conseguenze.
Com’è strano il mondo, opportunamente diviso com’è tra furbi e ingenui.

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