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UNA GIOVENTU' CHIUSA NEL GUSCIO, CON POCA VIVACITA'

Si parte da una denuncia avanzata da uno studio realizzato negli Usa, ma con uno scenario che si delinea alquanto attuale anche in Italia: i giovani "figli di famiglia" sono sempre più solitari e rimangono chiusi in se stessi. Dietro questo comportamento, si celano molti problemi

03 giugno 2006 | Ada Fichera

Ventenni “chiusi nel guscio”. È una denuncia avanzata da uno studio realizzato negli Usa sui giovani dai 20 ai 23 anni.
Socializzano poco, passano troppo tempo “attaccati” al computer, mostrano poca vivacità, si chiudono in loro stessi, rimandano le decisioni e, con queste, le responsabilità.

Negli Stati Uniti, hanno creato persino una definizione indicante tale periodo che, in realtà, non è più adolescenza ma non è ancora vera e propria età adulta (almeno così dicono gli americani). Questo è “emerging adulthood”, un’espressione intraducibile che denota un adulto che non vuole appunto “uscire dal guscio”.

Il termine è stato coniato dal sociologo Jeffrey Jensen Arnett, il quale sostiene che si tratta di un fenomeno che non ha precedenti storici.
Il soggetto che sta tanto interessando i sociologi è colui che, secondo gli studiosi, non sceglie il suo lavoro, non mette su famiglia, ma rimane per costrizione o per piacere nella condizione di “figlio di famiglia”.

I giornali americani parlano addirittura di “terra desolata della post-adolescenza” e raccontano di college ormai intenti a commissionare agli architetti strutture che invitino gli studenti a uscire dalle loro camerette. Già da quelle camere dove si isolano sempre più con i loro amati oggetti elettronici e soprattutto navigando ore e ore su Internet.

Il problema è rappresentato dal fatto che, in rete, i giovani spesso non cercano informazioni, non studiano o non si orientano nel mondo del lavoro, ma lo utilizzano per la ricerca di continue distrazioni.
Il fenomeno non sembra per altro investire solo i giovani che abitano oltre-oceano, ma sembra che si stia diffondendo anche in Europa e, dunque, in Italia.

È sempre più frequente, anche nel nostro paese, incontrare giovani che si “godono la vita”, che non programmano il loro futuro o meglio che non fanno progetti su di esso.
In tedesco si chiamano “nesthocker”, ovvero occupanti abusivi del nido; in inglese, sono indicati anche con l’acronimo “kippers”, cioè ragazzi nelle tasche dei genitori, che “dilapidano” i risparmi della pensione. Tanti termini per indicare qualcuno che non sceglie la sua strada e non si sposa prima dei 30 anni.

C’è comunque un lato ottimistico della vicenda: secondo alcuni, ritardando le scelte, i giovani sono più liberi di arricchire la loro identità.
Voltando però pagina, incontriamo il lato più negativo ed oscuro, che è quello che sottolinea invece l’inevitabile ingerenza dei genitori che in tali casi è sempre più forte. A questo si unisce una mancanza di autonomia, di spirito d’indipendenza e un ritardo nel “crescere veramente” prendendosi le proprie responsabilità.

Nell’ urlare all’evento senza precedenti e nell’imputare ai giovani la poca volontà di ricoprirsi delle responsabilità rispetto ad un tempo, poco spazio viene tuttavia lasciato alle possibili e numerose motivazioni.
Certo è che l’indugiare dei giovani di tutte le nazioni sulla soglia dell’età adulta non dipende solo da loro o dalle “distrazioni” di Internet e videogiochi.

Possiamo dire che se il fenomeno in Italia è dilagante, come in America, è di certo anche per paura o meglio per mancanza di una situazione che ponga solide basi per poter prendere autonomamente la propria strada.
Una situazione economica stabile prima dei 30 anni è, ad esempio, una rarità in Italia, per non parlare dei contratti a termine che sono ormai la normalità.

Dunque, come pensare a metter su famiglia?
Si scrive poi che i giovani spesso non hanno un’idea precisa di ciò che vogliono fare “da grandi”. Beh, come dare loro torto! Anche quando scelgono, o se scegliessero, con certezza una professione, non è detto che trovino una sicura e duratura occupazione.

Potremmo continuare ad annoverare altre ragioni, ma non lo facciamo per non dilungarci e per evitare di essere ripetitivi rispetto ad argomenti da noi già trattati in passato.
Concludiamo solo dicendo: ventenni chiusi nel guscio? Sì, è vero. Ma, forse, con una prospettiva di futuro così incerta e con la situazione storico-sociale che viviamo, e che di certo si apre davanti agli occhi di tutti, è chiaro che rimanere sotto la protezione di “mamma chioccia” pare essere l’unica soluzione o semplicemente un modo per rinviare una valanga di spinosi problemi o per riflettere sulla scelta del sentiero meno impervio.

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