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TRA CRONACA E SPETTACOLO. LE DONNE VISTE DAI MEDIA EUROPEI

Da un lato le donne dello spettacolo: belle, spregiudicate e di successo; dall'altro, le donne della cronaca: a seconda dei casi, vittime o carnefici. Rimangono ancora quasi del tutto invisibili le donne intelligenti e in carriera

18 marzo 2006 | Ada Fichera

Bella e giovane, ma anche fragile e indifesa. È la donna della televisione italiana e, più in generale, colei che viene rappresentata dai media in Europa.
Sull’onda dell’attuale dibattito circa il disegno di legge riguardante le “quote rosa” (ovvero il provvedimento che introduce nuove norme a favore di una maggiore rappresentanza femminile nelle cariche elettive) e in un periodo nel quale si parla molto di “pari opportunità” tra donne e uomini, il profilo che i media rappresentano nota, così come molti lati della realtà, una certa varietà.

Il tema è stato approfondito, il mese scorso, da un’indagine realizzata nell’ambito del progetto europeo “Women and media in Europe”.
In Italia, la ricerca è stata poi approfondita dal Censis in collaborazione con la Fondazione Adkins Chiti; questi hanno dunque analizzato l’immagine della donna emergente dai programmi delle emittenti nazionali.
La domanda all’origine di questo è: gli stereotipi della comunicazione televisiva sulla donna sono attinenti al linguaggio richiesto dal medium generalista e popolare della Tv?

Il ritratto della donna italiana in televisione è fortemente polarizzato tra il mondo dello spettacolo e quello della violenza tipico della cronaca nera.
Se, infatti, da un lato, i temi ai quali la donna viene più spesso associata sono quelli dello spettacolo e della moda; da un altro, la figura femminile è protagonista della violenza e dell’ingiustizia.
Non è un caso, infatti, se oggi è, sempre più frequente, imbattersi per strada in giovani donne abbigliate come per un set televisivo. È questa la testimonianza che l’estetica televisiva afferma la rilevanza della cura quotidiana dell’aspetto.

In tv, la donna è talvolta emblema di spregiudicatezza, esibizionismo e furbizia. È una donna stereotipata e abile nell’ottenere vantaggi e successo.
Si cambia completamente scenario nel mondo dell’informazione: alla donna spregiudicata e “dorata” dell’intrattenimento, si sostituisce bruscamente la donna-vittima e, comunque, “la donna del dolore”. Quest’ultima compare prevalentemente in servizi di cronaca nera: di lei si parla all’interno di una vicenda drammatica nella quale è coinvolta come vittima o, in alcuni casi, “carnefice” (si pensi alla triste catena delle “madri assassine” che la cronaca ha mostrato sul piccolo schermo negli ultimi anni).
Per tali molteplici aspetti, ad essere spesso più reali di quelle dei reality sono le donne protagoniste delle fiction.

La fiction rappresenta forse il genere televisivo che meglio e più di altri sta cercando di intercettare il cambiamento sociale che ha interessato negli ultimi decenni l’universo femminile.
Tale sforzo non sta solo nello scegliere, come protagoniste delle storie, donne professioniste (commissari di polizia o donne medico) o di eccezionali qualità umane, quanto nello sforzo di evidenziare aspetti dell’essere donne-persone nel mondo professionale.
Nucleo tematico sono proprio la professionalità, l’assunzione di responsabilità sociali e collettive, il senso del dovere, la capacità di dirigere una squadra, la correttezza nei confronti dei colleghi, la disponibilità a collaborare, la capacità di unire tipiche attitudini “femminili” come l’intuito e l’inclinazione alle pubbliche relazioni con la determinazione e la prontezza nelle decisioni, qualità spesso erroneamente considerate “più maschili”.
Doti femminili che appartengono alla sfera del sociale, che emergono nella donna in carriera e che si enfatizzano nella dimensione del privato, ma che nell’informazione riguardante le donne non hanno molto spazio, risolvendosi, come dicevamo, prevalentemente in cronaca nera.

Restano ancora praticamente invisibili le donne impegnate in politica o quelle con ruoli d’autorità.
In mezzo alla polarizzazione tra donna dello spettacolo e donna della cronaca nera, notiamo il fragile filtro delle “anchorwomen”, che sembrano volerci giustamente ricordare, con la loro presenza, che nella realtà le donne studiano e portano avanti anche buone carriere. Tuttavia, numericamente parlando, le inviate, le anchorwomen e le donne politiche sono ancora un segmento di rappresentanza dell’universo femminile davvero troppo esiguo.

Un ulteriore dato definisce tale situazione: la donna, presentata nei servizi televisivi che raccontano la sua vita quotidiana, nella maggior parte dei casi, “non ha voce”, cioè di lei si parla ma non le si dà parola. Le recenti statistiche ci confermano che quando, durante un servizio d’informazione, è data la possibilità alla donna di parlare, il tempo è molto ristretto (si parla di meno di 20 secondi) ed inferiore a quello dell’uomo.
Per quanto multiforme e complesso, il quadro che si presenta non è solo il ritratto della donna del duemila, ma è il dipinto di una “parte di mondo”. Il cambiamento della società, del resto, passa anche attraverso i volti e le storie delle donne.