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NUOVE TENDENZE. L’AGRICOLTURA SI VESTE DI ROSA

Si sta assistendo a un fenomeno forse inatteso? La crescita dell’occupazione al femminile registra un incremento costante. Le aziende agricole gestite da donne rappresentano in Italia il 30 per cento del totale. A primeggiare è il Sud e il comparto agrituristico. Non si tratta di un ripiego, ma di una scelta consapevole

21 gennaio 2006 | Ada Fichera

Se pensate che il mondo agricolo sia esclusivamente di competenza maschile, se credete che l’agricoltura non abbia bisogno delle donne, se siete convinti che una donna non sia capace di registrare successi nel lavoro legato alla terra,…be’…allora preparatevi a cambiare idea!
Stiamo per rendervi partecipi di una crescita dell’occupazione delle donne nel settore agricolo e allo stesso tempo stiamo per smentire tante radicate convinzioni e dicerie che vedono l’uomo come unico, diffuso e indiscusso protagonista di questo importante microcosmo.

In dieci anni, nonostante un calo generalizzato di imprese del 20%, ad aver registrato una crescita, sono proprio le aziende agricole al femminile, le quali sono salite dell’1,3%.
I dati sono stati presi in esame nel corso del convegno “Donne della terra” promosso dall’Onilfa (Osservatorio nazionale per l’imprenditoria e il lavoro femminile in agricoltura) in collaborazione con l’Istat.

Nel complesso, le aziende agricole condotte da donne rappresentano in Italia il 30% del totale.
Il Mezzogiorno riguardo a questo tipo di sviluppo, detiene il primato, in particolare in Puglia (16,3%), Sicilia (14,4%) e Campania (10,5%). Le donne sono inoltre molto presenti negli allevamenti in Liguria (51%), Molise (44%), Valle d’Aosta (43%) e Basilicata (40%).

Un ambito nel quale le donne lavorano con particolare dedizione è quello degli agriturismi.
Quanto a quest’ultimi, infatti, il 33,2% di aziende è condotto da donne (42,2% al Nord; 39,3% nel Centro; 41,7% al Sud e 34,8% nelle isole).
I dati statistici dimostrano che l’occupazione al femminile in agricoltura non è vista più come la semplice perpetuazione di una tradizione o, peggio, come un ripiego occupazionale di scarso pregio.

Sono poche le donne, impiegate in agricoltura, che hanno un genitore che opera nello stesso campo o che comunque lo ha fatto (anzi sono molti di più gli uomini che si trovano in questa situazione). Questo vuol dire che quello in agricoltura non è un lavoro ereditato o un ripiego occupazionale, ma un mestiere scelto. Una scelta portata avanti per reale passione, ma anche per “riconoscimento salariale”; per spirito imprenditoriale.
Un altro motivo di tale decisione per una donna è dato dal fatto che l’azienda agricola, la cui sede coincide sovente con la residenza familiare, consente di fondere facilmente impegni familiari e professionali.

Le donne che lavorano in aziende agricole, delle quali sono spesso alla guida, dichiarano di percepire una soddisfazione rilevante da tale occupazione.
In base a quanto abbiamo appena illustrato, secondo la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), una spinta al rilancio della competitività dell’agricoltura arriverà proprio dalle “imprese rosa”.
Il diffondersi di una cultura e di un’occupazione al femminile in ambito agricolo è la dimostrazione più ampia del “segno del tempo” e della conseguente evoluzione, dell’adattamento se vogliamo, di una società e della sua storia.
Nell’ultimo quarto di secolo, dunque, il lavoro della donna in agricoltura è cambiato notevolmente; non solo come conseguenza dell’esodo e dell’incidente e dilagante cessazione dell’attività agricola da parte degli uomini, ma anche come affermazione autonoma di capacità organizzative, che ha proiettato questa attività in una dimensione imprenditoriale.

L’attenzione naturale verso la qualità degli alimenti, la sensibilità ambientale, unita alla capacità di trasmettere e conservare tradizioni locali, sembrano indirizzare naturalmente l’attività agricola al femminile, orientandola verso la multifunzionalità, offrendo alla donna particolari prospettive nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale e allo stesso tempo all’insegna di una realizzazione individuale a livello imprenditoriale.
Insomma, dopo tutto ciò, siete ancora convinti che l’agricoltura sia “lavoro da uomini”?

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