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COCAINA & CO. IL CUPO E FITTO VELO DELL'ABITUDINE, L'OPACA E SILENZIOSA ROUTINE

La droga continua a distruggere molte vite e la depressione giovanile intanto dilaga inarrestabile. Un fenomeno preoccupante. Il parlarne oggi, alla luce di “casi famosi”, può tuttavia diventare una moda. Perché non avviare invece dei solidi interventi educativi?

22 ottobre 2005 | Ada Fichera

Ci sono problemi che esistono da tempo, serie situazioni sociali che permangono lì, nascoste sotto il cupo e fitto velo dell’abitudine e di un’opaca e silenziosa routine quotidiana.
A volte, succede però, che l’indifferenza e la tacita coscienza del problema subiscono una vera e propria scossa, se in quella “trappola” ci cadono personaggi illustri, per intenderci “quelli che contano”, quelli che riempiono facilmente le pagine dei giornali.
È stato così anche in questi giorni, quando “per incanto” la nostra società si è ricordata che esiste un vizio, spesso anche letale, chiamato “droga”.
Un bel giorno, in seguito ai due temporaneamente ravvicinati casi che hanno calamitato in modo ampio l’attenzione dei media, ci siamo svegliati e ci siamo resi conto che tutti, davvero tutti, parlano di droga, di diffusione di questa, di possibili soluzioni, di strade che conducono al vizio.
Mi riferisco al “caso Calissano” e al “caso Elkann” che tanto hanno occupato le prime pagine dei quotidiani, e non solo.
Due persone diverse: Paolo Calissano, attore famoso, Lapo Elkann, giovane e affermato manager dell’economia nazionale. Diversi per professione, per abitudini, per conoscenze, eppure accomunati da un destino che li ha visti precipitare in fondo ad un tunnel buio, in un abisso terribile capace di trascinare e distruggere giovani vite con estrema facilità.
Nell’inflazione di notizie e approfondimenti sull’argomento, non cadremo qui nella stessa tentazione che ha reso stracolmi molti degli spazi possibili. In pratica, non vogliamo parlarvi delle tecniche di commercio delle sostanze stupefacenti in Italia, sui rischi di ogni singola sostanza, ecc.
Semplicemente (si fa per dire) e in breve, tenteremo di mettere a fuoco su due aspetti inquietanti del problema: il primo è quello che vede il suo costituirsi nella ricerca delle principali cause che portano una persona nel “fiore degli anni” a fare uso di droga; il secondo è, come già accennato, la tendenza a prendere in considerazione un “malanno” (sociale si intende) quando è già diventato grave scatenando i suoi sintomi più devastanti oppure quando ad esserne colpito è qualcuno “famoso”.
Riguardo alle motivazioni, tra le più diffuse sembra esserci la depressione insieme alle cattive amicizie e alla fragilità differente da soggetto a soggetto.
Considerata la prima ipotesi, cioè quella della depressione, questa diviene ancora più inquietante se pensiamo che alcuni studi medici recenti, in ambito psichiatrico, hanno dichiarato che l’80% dei giovani di oggi sono, anche se non tutti in modo grave, depressi. Con questo, è ovvio che non vogliamo arrivare a conclusioni errate o affrettate, non vuol dire infatti l’80% dei giovani sono depressi quindi l’80% si droga o potrebbe drogarsi.
La depressione, nei casi accertati e presi in considerazione, può essere uno dei moventi che facilitano una debolezza ed una propensione maggiore al problema. E comunque vi siete chiesti perché tanta depressione in cotanto ampia parte di gioventù? Mille le spiegazioni: un possedere troppo che porta a volere sempre di più e a non essere mai soddisfatti (non per niente i maggiori giri di droga sono spesso negli ambienti altolocati), una famiglia talvolta assente, un inseguire sogni impossibili,…
Allora perchè non iniziare anche ad intervenire in modo educativo già in questi ambiti?
Riguardo al secondo aspetto della problematica di cui parliamo, è troppo facile interessarsi dell’argomento solo quando torna alla ribalta perché ha colpito “personaggi da copertina”. Certo, è meglio che non farlo proprio, ma sarebbe più onesto e più dignitoso interessarsene ed operare anche quando gli altri non ne parlano, sarebbe necessario ricordare ogni giorno che i problemi esistono, anche se stanno lì, sopiti in un angolo senza che nessuno li veda o li voglia vedere. Altrimenti, tutto ciò si può rapidamente tramutare in ipocrisia, diventa una moda, o, nei casi migliori, solo un palliativo ad una “malattia” pronta in breve tempo a riemergere e a procurare, anche in una sola dose, distruzione e morte.

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