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IL DIFFICILE E DELICATO CONFINE TRA REALE E VIRTUALE. IL PERICOLO DEI VIDEOGIOCHI

Mutate le modalità di divertimento, il risultato però non cambia. Nel gioco vi è un momento di sfogo. L'aggressività viene fuori in tutta la sua brutale spontaneità. Il grosso rischio che si corre con le nuove proposte ludiche è di non riuscire più a separare concretamente l'immaginario dal tangibile

08 ottobre 2005 | Ada Fichera

Superati i tempi in cui si giocava a fare la guerra con finte spade e pistole, passati i periodi in cui ci si divertiva con i soldatini e si faceva di questi persino la collezione, oggi ci si sbizzarrisce in videogiochi di ogni tipo o si sta davanti ad una tv a godere (si fa per dire) degli incontri del tanto chiacchierato wrestling.
Come dire, nonostante sembra tutto assolutamente mutato rispetto al passato, in realtà per certi versi tutto è rimasto uguale.
Mutate le modalità di divertimento e di gioco, quest’ultimo non è che sia tanto cambiato. Se, dunque, cambiando la formula il risultato non cambia, qui è proprio il caso di dire però che (e qui sta il punto) in base all’uso il risultato può cambiare e può diventare persino pericoloso.
È vero che anche spade, pistole e soldatini erano istigativi della violenza, ma la differenza con il corrispettivo attuale, ovvero i videogiochi, stava nel fatto che, come ha dichiarato Francesco Montecchi, responsabile dell’Unità di Neuro-psichiatria infantile dell’ospedale “Bambino Gesù” di Roma, erano un momento di sfogo dell’aggressività, in fondo insita in ognuno di noi, che comunque si esauriva lì rimanendo pur sempre ben distinte realtà e finzione. E qui sta il problema, come si anticipava: separare in maniera netta l’immaginario dal reale.
Distinguere il reale dal virtuale è difficile per un bambino o per un adolescente e, lo è ancor di più, se si tratta di videogiochi, i quali sono costruiti sia tecnicamente sia graficamente sempre meglio.
È quello che in fondo affermava il professor Montecchi prima citato, sul “Corriere della Sera” del 25 settembre scorso: "L’innocuità dei videogiochi o meno, anche dei più cruenti, dipende dall’uso che se ne fa, dalla personalità di chi gioca e dal contesto familiare. I videogiochi violenti sono assai pericolosi se il ragazzino non ha attorno a sé figure forti di riferimento con cui identificarsi, se è lasciato molto solo o non ha sviluppato una capacità di discriminare la realtà dalla fantasia; in questi casi infatti la realtà virtuale può diventare l’unica, con conseguenze disastrose".
Insomma, la drammatizzazione e la simulazione virtuale o televisiva della violenza, se guidata e tenuta sotto controllo evitando gli eccessi, può essere utile per riconoscere quest’ultima e controllarla. Ad esempio, alcuni consigli per i genitori, spesso riportati in molte guide inerenti al problema e scritte da autorevoli specialisti, sono: limitare il tempo durante il quale far giocare il figlio con i videogiochi, giocare qualche volta insieme facendo diventare il divertimento un momento evolutivo e persino educativo, vigilare sulla scelta dei giochi,…
È vero anche che la figura del violento o del cattivo nell’immaginario infantile non è mai mancata, nemmeno nei tempi in cui si cresceva “a pane e fiabe”. Come dimenticare l’antagonista per eccellenza delle storie che ci raccontavano le nonne, nelle quali il cattivo acquisiva potenza e valore spesso proprio con la violenza, sia essa fisica in termini di guerra, spade e fiamme, o psicologica nelle figure della matrigna o della strega.
Nelle fiabe, però, questo tipo di personaggi non erano gli eroi che ne uscivano vincenti, anzi ad ridicolizzati e messi in cattiva luce, il cattivo diveniva nel racconto l’anti-eroe, da riportare ai bambini sempre come l’emblema di ciò che è negativo, di ciò che “non si fa”.
Il fattore di grave rilevanza dei videogiochi, del wrestling e di tutti questi divertimenti “ultima generazione” è che l’insegnamento che può uscirne fuori, qualora il bambino non sia sorvegliato e guidato, è un finale eroe indistruttibile ed invincibile che s’incarna proprio nel violento e nel malvagio.
Dunque, in alcuni casi i tanto vituperati videogiochi possono essere un utile sfogo virtuale e quindi un gioco come un altro senza particolari connotazioni negative, ma senza le giuste precauzioni e le corrette misure, possono rivelarsi del tutto nocivi.
Certo, evitandone l’abuso, si dovrà anche pensare come occupare il tempo sottratto al tecnologico “divertimento sanguinario” e qui, forse, sarebbe il caso di riaccendere la fantasia e la voglia di viaggiare attraverso la lettura di un libro per un mondo diverso costituito da personaggi e storie certo maggiormente formativi. Attualmente c’è una vasta scelta sul mercato di romanzi per i più piccoli di ogni genere e anche per i più grandi, si può variare dal classico romanzo “vecchio stampo” ai gialli, che sembrano avere un periodo particolarmente positivo ed un sostenuto seguito soprattutto tra i giovanissimi. Infine, per i bambini, non sarebbe nemmeno tanto male tornare di tanto in tanto ai magici racconti che iniziavano con il noto “C’era una volta…”, tanto belli e capaci di accendere le emozioni e perché no anche la voglia di sognare (perché togliere ai bambini la facoltà di sognare?).
Osservando i bambini e gli adolescenti di oggi, con le dovute eccezioni, si ha infatti la sensazione che abbiano spento ed annientato le emozioni soffocandole in una claustrofobica e tecnologica voglia di virtuale; si ha l’immagine di una generazione sempre più colpita da un’evidente carenza di relazioni sociali, sempre più isolata davanti ad un monitor, sempre più alienata da una dipendenza da pc, tv e quant’altro; si manifesta ad un occhio attento e critico una gioventù ossessionata dall’ultimo modello di cellulare uscito o dal videogioco all’avanguardia; si può vedere un’infanzia omologata dalla moda di un gioco o di un programma tv che porta a sua volta i bambini a discutere delle stesse cose e nello stesso identico modo; si nota, infine, un sensibile abbassamento della capacità d’immaginare, d’inventare e di confrontarsi con l’altro e, per questo, talvolta, si scorgono ragazzi incapaci di capire le conseguenze e di trovare soluzioni alternative.

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