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AFFASCINANTE ED ESSENZIALE, EPPURE A VOLTE ANCHE INFANGATO

Il mestiere del giornalista presenta le sue pesanti contraddizioni. Da una parte c’è chi dice di informare nel rispetto dei fatti e senza condizionamenti. Dall’altra c’è chi denuncia pesanti intromissioni. Molti italiani ritengono poco credibili e troppo inficiati di politica i media

23 luglio 2005 | Ada Fichera

Non si può immaginare un giornalista che svolge il suo lavoro senza passione. Non si può immaginare un giornalista che operi senza la coscienza che, quanto scrive o dice, abbia incisiva importanza e pregnanza nell’opinione pubblica. Eppure, anche se di rado, questi esistono.

I giornali ed i telegiornali sono l’immagine di un Paese, poiché quotidianamente tratteggiano attraverso le vicende belle e brutte l’immagine di una società che procede nel suo cammino d’edificazione, e a volte tristemente di distruzione, del suo domani.
Il giornalista è colui che osserva anche i fatti minori traendone un quadro chiaro e completo con le sue analitiche conclusioni; è colui che, in piena libertà, nel rispetto dei fatti e di conseguenza dei suoi lettori o ascoltatori, trasmette senza reticenza ciò che, per esigenze di lavoro, conosce prima degli altri.

Nell’impegnarsi in tutto questo, non può non chiedersi se ciò che scrive ha una sua corrispondenza gradita da parte di chi lo legge o lo ascolta. Di fondamentale rilevanza si rivela infatti il “giudizio” dei lettori che aiuta a migliorarsi, a crescere professionalmente, talvolta a tornare su quanto affermato o ad essere più espliciti qualora il messaggio sia stato recepito in modo distorto o del tutto errato.
È per questo che, analizzando i dati pubblicati dal “Censis” (Centro Studi Investimenti Sociali), riguardo al “Quarto Rapporto sulla Comunicazione” nel nostro Paese, non si può non riflettere e non rimanere attoniti di fronte a quanto affermato da un campione di giornalisti italiani intervistati, per tale ricerca, sulla delicata questione dell’autonomia e della libertà effettivamente godute dai redattori in Italia.

Il terzo capitolo del Rapporto, che ha svolto la ricerca per conto del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, mette in luce vari aspetti riguardo a giornali e giornalisti. Sono stati intervistati 300 “redattori” (quindi giovani giornalisti alla base della piramide gerarchica nelle redazioni) delle testate giornalistiche di agenzie, quotidiani, settimanali, radio e tv di livello nazionale e pluri-regionale.

Alla domanda “Le capita di non riuscire a raccontare i fatti osservati e accaduti, perché condizionato da qualcuno?”, il 50% degli intervistati ha risposto “mai”, ovvero per il restante 50% i condizionamenti professionali sono una realtà, che per il 39% accade “di rado”, per l’8% “spesso” e per il 2% “sempre”.
Quando è stato chiesto “Le è mai capitato di percepire che rispetto a un determinato evento la sua testata avesse un’idea precostituita sulle cose accadute?”, il 19% ha risposto “mai”, ossia per l’81% si tratta di una realtà, che per il 45% accade “di rado”, per il 30% “spesso” e per il 6% “sempre”.
E infine, alla domanda “Ritiene che in generale la sua testata sia costretta o indotta a fare scelte determinate da considerazioni e spinte non di tipo professionale?”, il 28% dei redattori intervistati ha risposto “mai”, mentre per il 70% questa è un’evenienza che si verifica “di rado” nel 46% dei casi, “spesso” nel 20% e “sempre” nel 4%. L’indagine ha messo in evidenza una problematica, quella della libertà e dell’autonomia giornalistica, molto complessa, di difficile trattazione e tuttavia in modo “sotterraneo” molto avvertita nella professione, pur con forti pulsioni alla rimozione dei problemi generati da una scarsa attenzione concreta ai limiti imposti dall’esterno al libero esercizio della professione.

A peggiorare tutto questo, si aggiungono non buone notizie su quanto gli italiani pensano dei media ed in particolar modo della stampa. In molti, hanno dichiarato di ritrovarla “non molto credibile e troppo inficiata di politica”.
Era il 24 dicembre 2004, quando Paolo Mieli, direttore del “Corriere della Sera”, scriveva sullo stesso quotidiano il suo editoriale dal titolo “La libertà di stampa – Il potere di criticare i poteri”. Oggi, dopo questi nuovi dati su quanto l’opinione pubblica pensa di gran parte della stampa italiana, le sue parole suonano come un monito. “La libertà di stampa non sembra godere oggi in Italia di una buona salute. (…) La libertà di stampa riveste oggi una duplice, vitale importanza. Come sempre, essa costituisce l’elemento fondamentale di una società democratica dal momento che in essa si realizzano due condizioni cruciali per la sua vitalità: da un lato l’esistenza di un pubblico informato dei fatti, dall'altro una discussione collettiva sul significato di tali fatti, sulle conseguenze politiche da trarne, sui provvedimenti da prendere in relazione ad essi. (…) La libertà di stampa è una libertà di un tipo tutto particolare. Essa esiste solo se i giornali, gli organi di informazione in generale, hanno il potere, la capacità e la volontà di opporsi al potere. La libertà di stampa è dunque un potere per contrapposizione, per contrasto: se la stampa è compiacente, infatti, essa finisce molto rapidamente per non contare più nulla, per non avere più potere. Libertà di stampa vuol dire dunque, alla fine, solo e sempre libertà di criticare i poteri. Avendo costantemente presente che è bene ad ogni critica accoppiare un’idea di costruzione, ad ogni scelta che si giudica sbagliata contrapporre una soluzione alternativa. Pronti, inoltre, a dare atto a colui che corregge i propri errori della sua buona volontà e del coraggio che spesso richiede averla. (…) Proprio per questo è necessario che la stampa abbia una costante disponibilità ad ascoltare ogni voce ed eviti di appiattirsi sullo scontro politico con troppo facili entusiasmi e troppo facili anatemi”.

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