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C'E' UN TEMPO PER LA GIOIA E LA SPENSIERATEZZA E UN TEMPO PER LA PAURA E IL MUTO DOLORE

La barbarie continua e trova numerosi adepti in ogni angolo del mondo. Non c'è tregua. Si tratta di convivere con la provvisorietà, ma ci si deve ancora abituare all'idea. A partire dal tragico 11 settembre è cresciuta la minaccia del terrorismo: dobbiamo trovare un equilibrio tra la psicosi e l’incoscienza

16 luglio 2005 | Ada Fichera

11 settembre 2001, 11 marzo 2004, 7 luglio 2005. Date che la storia occidentale non potrà mai ignorare né dimenticare.
Dopo gli iniziali attentati alle Torri gemelle e a Madrid, questa volta l’amaro e tragico destino è toccato a Londra.

Ancora sangue, ancora scene di terrore e di barbarie. Città ufficialmente in pace, ma in realtà in guerra, una guerra fatta di decine di morti, di ambulanze e di chissà quali altri orrori che solo gli occhi che hanno visto possono raccontare, o di chissà quali cruente scene che, nei casi più sfortunati, sono state viste ma non potranno mai essere raccontate.
Il 7 luglio scorso è stata una delle giornate più terribili, dal dopoguerra in poi, vissute dalla capitale inglese; ma il lutto di Londra e dell’Inghilterra è il lutto di ogni occidentale, di ogni europeo, di ognuno di noi.
“L’Europa economica colpita al cuore” ha dichiarato qualche giornalista in tv, ed è vero. È solo che gli attentatori spietati hanno in realtà colpito non esclusivamente il cuore dell’economia europea, ma il cuore di tutti.
Oggi ci sentiamo un po’ feriti per la crudeltà che abbiamo guardato inermi davanti ad una televisione, increduli ma purtroppo coscienti che questi fatti continuino a ripetersi, siamo un po’ colpiti in quell’orgoglio di sentirci appartenenti alla propria nazione, fieri di essere italiani, o spagnoli o inglesi, o meglio semplicemente umani. Sì umani, e non bestie pronte ad uccidere decine di innocenti, non terroristi in agguato per colpire, nella quotidianità e nella semplicità di tutti i giorni, le persone che vanno a lavorare, a fare le loro spese, a studiare e, perché no, a godersi una meritata vacanza.
Mentre a Londra si continua a fare il conteggio dei morti e a dare loro degna sepoltura, mentre le famiglie dei caduti cercano un conforto che certo difficilmente si può trovare in simili circostanze, mentre negli ospedali del Regno Unito c’è ancora chi soffre e chi lotta per sopravvivere a causa del nemico più oscuro e più terribile del nostro tempo, un brivido percorre da nord a sud anche la nostra nazione.
Non che prima non rabbrividissimo al vedere certe scene o a pensare quanto possa accadere, ma oggi più che mai questo brivido si trasforma in evidente paura. Una paura con la quale dobbiamo convivere, rappresentata, o meglio non rappresentata proprio da quel nemico senza volto di cui prima dicevamo.
A tal punto il terrore uccide il dialogo e affievolisce la speranza di un mondo fatto di pace e fratellanza.
La tragedia si nasconde dietro ogni angolo, nei luoghi più frequentati così come dietro quelli che pur volendo non potremmo evitare.
Autobus, metropolitane, aeroporti, musei, centri commerciali, uffici e molti altri, sono luoghi a rischio, ma in realtà qual è il luogo non a rischio di terrorismo dall’11 settembre in poi? Nessuno, purtroppo nessuno.
Cerchiamo di non fare il gioco dei terroristi, cioè di condurre la vita di ogni giorno senza farci prendere dalla psicosi degli attentati, dalla paura nel fare qualcosa anziché un’altra, ma è difficile, molto difficile. Subentra la prudenza che prepotente non vuole lasciare spazio all’incoscienza, ci sorprende quell’immancabile principio di auto-conservazione tanto “caro” a Hobbes insito nell’uomo.
L’editorialista Giuseppe Anzani sul quotidiano “Avvenire” ha tratteggiato un ottimo quadro della situazione attuale: «La strage di Londra ci mette paura, ed è inutile negare l’oscura inquietudine che ci prende di fronte all’escalation terroristica nel cuore di città europee. Le città sono fatte per la vita, sono dimora di uomini in pace, sono luogo di lavoro, di incontro, di svago, di fruizione artistica, di familiarità sociale, non sono fortezze blindate dentro un campo di battaglia. Le nostre città italiane sono tra le più belle al mondo. E adesso…dopo New York, dopo Madrid, dopo Londra, a chi toccherà? La paura è un’emozione antica, legata ai meccanismi reattivi di sopravvivenza e di fuga; la storia della civiltà umana, della civiltà giuridica prima di tutto, è un lungo cammino per liberarci dalla paura, per darci protezione contro i crimini aggressivi, contro le minacce dei violenti. In parte ci siamo riusciti, in parte no. La globalizzazione del terrorismo rilancia oggi in modo diverso la sfida all’ordine giuridico, all’ordine sociale, all’ordine della convivenza umana dentro la comune città di tutti che si chiama Terra».
Una convivenza dura e molto ardua che ci rende pienamente consapevoli del fatto che siamo vulnerabili, e chi non prova un po’ di timore? È quel timore che nei casi più gravi diviene terrore per chi ci ha tolto la libertà. La strage umana non è solo quella che si è consumata a New York, a Madrid e a Londra, ma quella quotidiana che da anni ormai ci incatena ad un “rimedio” a metà strada fra la prevenzione e la repressione.
E voglio concludere proprio con le parole di Anzani, il quale afferma che, del resto, l’unica precauzione che la gente può prendere è «tenere gli occhi aperti, più aperti di prima, osservare, intuire, segnalare…Acuti contro il terrore, ma non come sceriffi».
È questo il nuovo incubo, incubo che poi nuovo non è.