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ELOGIO DELLA MERDA

Feci al cospetto di Berlusconi, quale gesto estremo e plateale di contestazione. Mentre qualcuno dichiara di non essere un merdaiolo di professione, si lancia l'invito a vivere esperienze più qualificanti

11 ottobre 2003 | Luigi Caricato

Letame per Berlusconi. In un mondo in cui chiunque, per essere al passo con i tempi e le nuove tendenze, si scaglia contro il Premier, si apre un insolito ma non certamente inedito fronte di contestazione: il ricorso alla merda come gesto plateale. Originalità vuole che per mettersi in luce occorra inventarsi qualcosa di nuovo. Da qui il talentuoso e geniale consigliere del Comune di Roma, l’onorevole Nunzio D’Erme.
Scelto da Veltroni quale delegato del sindaco per “la partecipazione democratica e il bilancio partecipato” (ma cosa significherà mai l’espressione “bilancio partecipato”?) si è reso giorni fa parte attiva assieme al gruppo dei “Disobbedienti” no global attraverso una operazione provocatoria e stravagante, supportata da ben 130 chili di letame e da tanta esuberanza dialettica.
“Non sono un merdaiolo di professione” ha dichiarato il consigliere di Rifondazione comunista, dicendosi peraltro convinto assertore della necessità del gesto.

I contestatori di oggi hanno però poco tempo per istruirsi sull’argomento, preferiscono piuttosto agire nell’immediatezza fornita dalle occasioni. In realtà, non sta bene che si banalizzi un tema così portante per una civiltà che per millenni si è poggiata proprio sui cardini del defecare (e tra l’altro è proprio sulle feci che si fonda uno dei riferimenti più solidi dell’uguaglianza sociale: “Alla disuguaglianza oro-alimentare corrisponde una totale e sostanziale uguaglianza ano-fecale. Qui – scrive opportunamente Stefano Cagliano in L’impronunciabile bisogno - l’uguaglianza umana è strutturale”).
I contestatori estremi e anarcoidi dovrebbero quanto meno acquisire un po’ di cultura generale, affinché si fortifichi il loro spirito ribelle. Ecco allora un breve elenco di libri utili e preziosi, che consiglio: Storie di merda, di Bakshi (Limina, Arezzo 1996); Escrementi e civiltà, di Bourke (Guaraldi, Bologna 1971); Histoire de la merde, di La Porte (Bourgois, Parigi 1978); Merda, di Franzoni (Edizioni dell’Università Popolare, Roma 1997); il già citato L’impronunciabile bisogno, di Cagliano (Cortina, Milano 2002); e in ultimo, per concludere, Il succo della vita, di Hoting (Corbaccio, Milano 1997).

In questo modo, e solo in questo modo, il gesto provocatorio ed estremo di D’Erme e compagni, potrà realmente assumere un significato e una valenza di “rottura” e di gesto plateale degno di essere considerato significativo. Nel frattempo, sarebbe invece altamente doveroso, a mio modesto parere, che i no global, prima di inoltrarsi nelle sane letture di cui abbiamo fatto elenco, si confrontassero con una realtà purtroppo poco conosciuta e sperimentata: il lavoro. Lo scrivo senza alcun intento offensivo, sia chiaro.
Un fine settimana trascorso in una stalla, dove è peraltro possibile sperimentare le fatiche degli allevatori, e anche il relazionarsi con il letame in corso d’opera, potranno certo essere un valido aiuto per interrogarsi sui valori che muovono il mondo. In questo modo si potranno fissare meglio i labili confini tra “global” e “no global”. Si scoprirà forse che il mondo non è così semplice da interpretare; ma soprattutto che il senso del rispetto verso chi esprime e pratica valori differenti dai propri può anche far conoscere, e avvalersi, di alternative senza dubbio più dignitose e condivisibili.

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