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L'UOMO NON DOMINA IL MONDO COME SPESSO CREDE

Attentati, guerre, terremoti e maremoti, ci costringono, anche solo per un attimo, a riflettere sul senso dell’esistenza e sulle priorità che per noi si vanno definendo. Alla luce degli inquietanti fatti di cronaca, l’uomo colpito dall’angoscia di trovare il nemico anche dietro le cose più belle, deve rendersi conto della sua condizione, avanzando con umiltà

09 aprile 2005 | Ada Fichera

L’attualità degli ultimi mesi ha colpito di certo il nostro essere nella sua più profonda interiorità.
Sono varie e profonde le sensazioni che hanno trasmesso in noi le documentate immagini delle catastrofi che purtroppo si consumano in molte zone del mondo.
Attentati, guerre, terremoti e maremoti, ci “costringono”, anche solo per un attimo, a riflettere sul senso dell’esistenza e sulle priorità che per noi vanno definendosi ogni giorno; ci spingono a fermarci per meditare su quanto in effetti possiamo e su quanto, invece, ci rende inermi e si abbatte su di noi trascinandoci con sé.

Sono due i punti che definiscono, incorniciandoli, i fatti odierni, anche se, per certi versi, si commentano già da soli: da un lato, l’ennesima prova che l’uomo non domina il mondo, come spesso crede, che questo non può vivere solo di successi materiali, di risultati scientifici, di tentativi e manifestazioni di potere, ma talvolta ha “bisogno di rimettere i piedi per terra” per ritornare a quel preziosissimo senso della misura; dall’altro, il fatto che il “nemico”, ovvero la tragedia ed il dolore, si possa celare dietro le cose più belle, le più naturali, e nei momenti e nei luoghi meno scontati e che per questo divengono luoghi di maggiore distruzione.

Sensazioni a volte insolite, specialmente oggi, che spesso l’uomo è convinto di essere onnipotente, che va avanti con la caparbia di governare tutto con la scienza e con la tecnica.
L’uomo non si rende talvolta conto della sua reale condizione, ovvero la condizione di uomo, la quale implicherebbe in se stessa anche una buona dose d’umiltà.
Quel sentirsi umili si esplica con quel sentirsi semplicemente creature umane. Uomini e nient’altro!
Se, infatti, bastano pochi minuti per spazzare via migliaia di persone, se bastano pochi attimi affinché l’esistenza di innumerevoli famiglie venga stravolta, ecco allora che emerge la coscienza della disperazione.

Sembra quasi assurdo pensare che si debbano verificare immani tragedie per riportare l’uomo a fare un po’ il punto della situazione, eppure è così…
È guardando in televisione scene di desolazione, che ad esempio si comprende il valore della speranza, la stessa speranza che in questi casi sembra essere assente.
Ecco che capiamo la possibilità di essere sovrastati dalla natura, comprendiamo che, più che inossidabili, siamo foglie esposte al vento, le quali non è difficile in qualsiasi momento far volare e portare lontano dalle ferme radici.
È all’albero della nostra vita quotidiana che continuamente ci aggrappiamo, e così è lecito che sia; l’illecito sarebbe però pensare che, di questo albero, abbiamo la facoltà e le potenzialità di deciderne ogni cosa.

Così è stato di fronte alla catastrofe abbattutasi nel sud-est asiatico e così è stato ogni volta che la storia umana ha annotato sciagure capaci di decimare intere civiltà.
Difficile riuscire anche solo ad immaginare la disperazione di chi, in pochi minuti, si trova senza i propri cari, di chi vede aprirsi davanti a sé un futuro senza la propria casa e senza i propri affetti. In tali circostanze, si stenta anche a capire quale speranza si possa avanzare di fronte a cotanto dolore.

A tutto ciò si unisce un altro tipo di problema, e cioè quello che vede l’originarsi di episodi tragici anche nei luoghi più impensati, lì dove la quiete e la serenità sembrano esserne padrone.
Si pensi allo tsunami di cui abbiamo appena parlato, verificatosi in zone incantevoli, su spiagge stupende dove in moltissimi stavano godendosi una vacanza; o si pensi, ad esempio, alla piccola Greta, la bambina di sei anni ferita, il 13 marzo scorso, nel Duomo di Motta di Livenza, vicino Treviso, dallo scoppio provocato da un ordigno sistemato dal famigerato “Una bomber” nel congegno che accende le candele.

L’imprevedibilità dell’agguato e la paura del nemico che ci può sempre attendere dietro l’angolo si fanno compagne in questo trascorrere dei “tempi moderni”.
Ma la sofferenza è per l’uomo una prova, un’esperienza da cui si può anche uscire rafforzati. A proposito di questo, Salvatore Natoli, in un bellissimo testo dal titolo “Esistono ancora grandi passioni?”, composto da una serie di saggi di vari filosofi, scrive: "E’ il dolore che mette alla prova l’atleta, nello scatto ove tende tutto il suo corpo…".
Come atleti sul campo, andiamo quindi avanti oscillando tra un momento di gioia ed un turbamento, divenendo sempre più agonisti di un vivere che ora ci pone davanti degli alti ostacoli, ma ci offre contemporaneamente la speranza che, una volta superati questi, si apra davanti a noi un sentiero in splendida discesa.

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