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E IL TEMPO VA, SCORRE INARRESTABILE. TRA PASSATO E FUTURO L'EQUILIBRIO DEL PRESENTE

Questa settimana Ada Fichera ci conduce attraverso il tempo delle metamorfosi, mettendo al vaglio le trasformazioni che caratterizzano ogni società in qualsiasi epoca. L'oggi, in particolare, ci spinge a riconoscere la potenza suprema della tecnica. I ritmi sono scanditi da sms, posta elettronica e squilli di cellulari

02 aprile 2005 | Ada Fichera

"Ad ogni generazione corrisponde solo il suo tempo: non si tratta di una frase ad effetto o di una dichiarazione tra il banale ed il paradossale, bensì di una semplice e incontrovertibile considerazione, dalla quale scaturiscono una serie importante di riflessioni. Intanto è bene dire che non ci riferiamo ad un tempo generico, bensì ad un tempo storicamente definito per cui è inevitabile che ogni tempo veda la compresenza di più generazioni; inoltre, è altrettanto inevitabile che ogni singola generazione si trovi ad attraversare solo il suo tempo o, se si preferisce, la successione. L’orizzonte della temporalità resta il punto di riferimento stabile in qualsiasi valutazione delle tematiche socio-culturali. Uno dei tratti distintivi ed urgenti da considerare in un contesto di riflessione critica è proprio quello del rapporto tra storia, memoria e trasmissione culturale".

Così l’Eurispes introduce una ricerca svolta recentemente su un argomento tanto interessante quanto articolato e complesso: il trascorrere del tempo.
Il testo, intitolato “Il tempo della metamorfosi”, tende a porre l’accento proprio su tutte quelle trasformazioni che caratterizzano ogni società in qualsiasi epoca.
Nel bene e nel male, ogni tipo di evoluzione tende a forgiare la sfera socio-culturale fino a penetrare in profondità, divenendo dunque parte integrante di essa.

Oltre alle abitudini e alle tendenze sociali, si verifica la medesima situazione anche, e soprattutto, per tutto ciò che è materiale, ovvero che è oggetto di largo utilizzo.
La tecnica, ormai dilagante, è divenuta talmente essenziale da divenirci necessaria.
La dipendenza da computer, da telefonino cellulare e da qualsiasi altro mezzo tecnologico è capace di “mandare in tilt” l’intera giornata di moltissimi di noi.

Emanuele Severino, in una raccolta di saggi, a cura di Alberto Sinigaglia, sulla Saggezza del vivere, afferma che, a causa del fatto che la verità e il divino della tradizione sono oggi tramontati, l’uomo non conosce più alcun limite assoluto al suo agire e questo pensiero va a legittimare e a consacrare il libero dominio sulla totalità delle cose da parte della tecnica.

Ponendosi come scopo la crescita indefinita della propria capacità di realizzare scopi, il nostro tempo non ci spinge in altro luogo se non in quello del riconoscimento inevitabile della potenza suprema della tecnica.
Lo stesso Severino continua in proposito scrivendo " …la tecnica diventa la forma più potente dell’agire".
Sulla scia delle conquiste della scienza e dunque della tecnica, si va avanti apportando di certo al nostro quotidiano molteplici migliorie, ma senz’altro, unitamente a queste, si è fatto strada un modus vivendi i cui ritmi sono nettamente scanditi da un sms, un controllo di posta elettronica, l’attesa di una telefonata importante e lo squillo di un cellulare magari nel momento meno opportuno; abitudini che hanno anche impigrito la nostra intelligenza e la nostra voglia d’apprendere e di creare, ne sono esempio l’uso delle calcolatrici, o di internet che rende le ricerche sempre più veloci e che fa rimanere i “cari” volumi dell’enciclopedia sugli scaffali delle librerie.

Il beneficio della tecnologia va infatti utilizzato con la testa, senza lasciare che questo schiacci il pensiero.
Nell’avanguardia di una società che tende ad elogiare e ad apprezzarne persino i tratti più esasperati, non possiamo che notare che, i ritmi di cui parlavamo, sono poco naturali e tutt’altro che adeguati ai ritmi di certo più importanti, che sono quelli di cui necessita il corpo, ovviamente più adeguato per vivere a contatto con la natura o per condurre un tipo di vita più salutare.

Strano ormai pensare, come per i nostri nonni era assolutamente normale andare avanti senza elettrodomestici, senza dipendere da un computer; irreale per noi pensare inoltre che non esisteva il cellulare capace ormai di rintracciarti ovunque ed in ogni momento. Non parliamo poi, del fatto che era impensabile comunicare a distanza di continenti in tempo reale o ad esempio scattare una foto, pensate, con un telefono!

Vivevano peggio? Forse no. Vivevano diversamente e talvolta pure meglio: meno stressati, meno ansiosi, meno intossicati da gas, radiazioni e quant’altro…
È ovvio che, in modo differente, va tratteggiandosi la quotidianità delle donne di una volta che lavavano a mano persino le coperte, ignare di quanto significasse una lavatrice, di quanto fosse comodo scaldare le pietanze in un forno a microonde. Infatti il “vivevano pure meglio” è stato sottolineato da un “talvolta”.

Ecco infatti, che osservando un’epoca da angolazioni diverse, si può vedere tanto di negativo, ma anche tanto di positivo.
Difficile dunque inquadrare un periodo storico e sociale in unica e lineare cornice, perché ognuno è talmente variegato da uscire dai confini di questa ipotetica inquadratura.
Sta in questo il bello del commento, della critica in proposito, dato che ci sarà sempre un dato o un aneddoto che andrà a rafforzare l’una teoria o l’altra ad essa opposta.

Allora dove e soprattutto come, trovare un punto conclusivo e riassuntivo di un’indagine che vede l’alternarsi di passato e futuro, di un puzzle che va componendosi di ogni tassello e che trova il suo senso e la sua rappresentazione solo nel suo essere composito?
Tutto ciò si ritrova nell’equilibrio del presente, che va completandosi nel rivivere la memoria del suo passato ponendo quindi le basi nelle sue lontane radici e nel progettare il futuro in nome di un’esistenza più agiata.
Noi stessi, del resto, viviamo spesso senza accorgercene di questo inscindibile binomio.
Si pensi, ad esempio, ai tanto noti messaggi telefonici, sono tipici del nostro tempo, ma senza volerlo ricalcano un’abitudine ed un’esigenza molto più antica di quello che si creda: la comunicazione epistolare. Già, i nostri nonni scrivevano le lettere, noi ci scriviamo delle piccole lettere che, seppure ci inviamo con un metodo più veloce, somigliano molto a quel modo di comunicare; resta di fatto, appunto, che spesso preferiamo scriverci anzichè telefonarci.

“Nulla di nuovo sotto il sole”, recitava un antico detto...
E’ giusto comunque, che in nome dell’equilibrio di cui dicevamo, sia così; altrimenti, si andrebbe incontro ad un vivere senza punti fermi e senza orientamento, senza sapere cosa vogliamo e cosa invece già abbiamo, senza capire il senso di quanto ci circonda, e quindi animati da ansie e paure prodotte da un quotidiano dove tutto ci travolge ancor prima di renderci consapevoli.
Concludendo, sono molto esplicative e chiarificatrici le parole di un articolo di qualche mese fa, di Giuseppe De Rita, sul “Corriere Della Sera”: "la sfida del futuro ha accentuato la nostra dimensione di popolo e al tempo stesso quella caratteristica molecolare, a granelli di sabbia, che ci rende tutti prigionieri delle nostre solitudini, paure, insicurezze, preoccupazioni, di cui troviamo conferma quando le ricerche esplorano le nostre individuali opinioni".

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