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E’ SACERDOTE? PASQUA E’ VICINA, SIA ALLORA INCARCERATO E CROCIFISSO

La giustizia umana ha fretta di giudicare. Oggi preferisce farlo in modo plateale, per il sottile gusto di umiliare il presunto colpevole. Non c’è più spazio per la dignità. Se il riserbo è una virtù oramai scomparsa, l’esigenza di avere visibilità e protagonismo ha preso il sopravvento. Il caso "Regina Pacis" fa discutere. Si chiede una giustizia giusta, non un gioco al massacro

19 marzo 2005 | Luigi Caricato

Guai a occuparsi di stranieri! Non sia mai. Soprattutto se avete buone intenzioni. Che Dio vi scampi e liberi, nel caso. State dunque in guardia. Quello dell’immigrazione non è tema di facile approccio. Troppe le insidie. Di carattere ideologico, in particolare. Meglio perciò starne fuori. E’ un invito. Per il vostro bene s’intende.

A mettersi nei pasticci – perché di stranieri si è occupato in veste di direttore del Centro di accoglienza Regina Pacis a San Foca, in provincia di Lecce – è stato un sacerdote. Si chiama don Cesare Lodeserto ed è un salentino della curia di Lecce. Anche Carolina Elia è salentina. Ed è il pm del tribunale di Lecce. Lui è un sacerdote di Cristo. Lei è una donna della Legge e ha deciso di spiccare il mandato di arresto. Il pm e il sacerdote: due vite, due mondi. Forse nemmeno tanto lontani, a parte la vicinanza geografica. I due si incontrano. Non perché si piacciono. Perché lei indaga su di lui. Lui viene arrestato.

Li ho conosciuti entrambi. I protagonisti di questa amara vicenda li ho conosciuti più di venti anni fa e non li ho più rivisti. Premetto che per quanto è accaduto sono particolarmente indignato. Per l’arresto, dico. E’ un atto grave, inqualificabile. Carolina Elia era compagna di studi in università. In Cattolica, a Milano. Correvano gli anni Ottanta, seconda metà. La ricordo bella, intelligente e fascinosa. Anche dolce, mi pare. Sì, dolce. Oggi magari è ancora bella e intelligente e fascinosa, ma per me è cambiato tutto. Il mio giudizio su di lei si è ribaltato. Fa male la delusione, ferisce. Oggi sarà ancora bella e intelligente e fascinosa come prima, ma non più per me. Oggi la riterrei preventivamente inguardabile. La bellezza, l’intelligenza e il fascino si nutrono anche dei punti di vista personali. Il mio è sicuramente sbilanciato. E’ un punto di vista partigiano: sono dalla parte del sacerdote. Non mi piace stringere mani che non possono essere strette, né incrociare sguardi che non possono essere incrociati. Non è un giudizio sulla persona. Elia sarà splendida, ma non splende dentro di me. E’ un rifiuto mio. Non la accetto. Non posso accettarla. Gli altri potranno pure riservarle la massima stima. Per me va benissimo, non ho nulla contro di lei. Anch’io la stimo – ha un ruolo, un incarico: è dunque capace – ma non voglio che il suo sguardo si incroci con il mio, non voglio che la sua voce venga a ronzare nelle mie orecchie, non voglio che le sue mani incontrino le mie. Sono indignato.

L’altro. L’altro l’ho visto solo per pochissimi minuti. Forse nel 1985. Non saprei dire l’anno esatto. So di certo ch’era segretario dell’arcivescovo Ruppi, l’attuale prelato tuttora alla guida della diocesi di Lecce. Nei pochi minuti dell’incontro, solo due o tre, mi ha estremamente sorpreso. Un prete giovane dentro e fuori. Non indossava l’abito talare. Forse non lo ha mai indossato. Ho visto in lui un prete attivo, operoso, energico, avveduto. Il suo sguardo esprimeva intelligenza e sprizzava voglia di cambiamento, e tanta determinazione. Lo sguardo che ho visto dopo l’arresto, lo sguardo che ho percepito di lui dopo la pubblica gogna in Tv era uno sguardo spento, basso, più che prostrato vilipeso. Qualcuno – immagino – di certo ha esultato, sta esultando, fa capriole di gioiosa soddisfazione. L’arresto, sì. “E’ cosa buona e giusta”, diranno i puri. Quelli che chiedono giustizia, quelli che la chiedono a viva voce. Urlando. Con irruenza. Nel nome della verità. Quale?

Qualcuno invece è in lotta con se stesso. Lo spero. Si sta chiedendo il perché. Lo immagino. Vorrei che fosse così. Sì, è così. Deve essere così. Non può essere diversamente. Il perché di una scelta così infausta questo qualcuno forse oggi lo squarta dal di dentro. Chi ha optato per le manette non dormirà sonni tranquilli. Forse. Lo spero. Lo spero vivamente. Si, sarà così, altrimenti c’è da avere paura. Meglio forse una malattia terminale, piuttosto che una giustizia percepita ingiusta, piuttosto che la prigione. Chissà. Chi ha vissuto con l’intenzione di fare il bene perché dovrebbe subire l’umiliazione dell’arresto? Non tutti purtroppo si calano nei panni dell’ammanettato. Non tutti, immagino. Forse pochi. Conosco una cara amica magistrato che ha un cuore grande e illuminato. Le auguro di non trovarsi mai in situazioni simili. Se si dovesse trovare in contesti difficili le suggerirei comunque la strada dell’obiezione di coscienza. Mi dice che no, non è possibile. Allora può accadere di tutto. E’ gravissimo. Io mi chiedo il perché. Fossi nei panni del pm abbandonerei la toga piuttosto. Ma non perché è stato ammanettato un sacerdote. Sarebbe lo stesso se al suo posto vi fosse stato un altro, anche un bestemmiatore recidivo. Ammanettare un pericolo pubblico è ammissibile. Anche chi insiste nel commettere reati può godere dell’efficacia salvifica delle manette, ma non chi non le merita per la vita che ha vissuto. Che senso ha marchiare una persona? Perché infierire su qualcuno facendolo addirittura nel nome della giustizia. Giustizia verso chi, poi? Verso cosa? Purtroppo capita di frequente che a beneficiare di un trattamento bonario siano i più cattivi, quelli che fanno terrore solo a guardarli. Chissà perché.

A chi giova il ricorso all’arresto? A che pro, soprattutto? Forse che il sacerdote Cesare Lodeserto può costituire un serio pericolo per la sicurezza pubblica? O è solo un modo per umiliare chi per natura ed educazione non si sottrae al giudizio della magistratura? Lodeserto dovrà subire un processo e si spera che la verità si affacci comunque nelle aule di un tribunale, magari senza camuffarsi d’altro. A dire “è innocente, è colpevole” non è forse quella signora un po’ rotondetta e un po’ vetusta che appare assisa, pacificata e radiosa su di un enorme trono? Alle volte ho la sensazione che le toghe possano scivolare silenziose e malinconiche dalle spalle di chi le indossa, quasi a testimoniare il proprio dissenso nel restare appiccicate a un corpo loro malgrado, come a dire: “io non c’entro nulla”.

Perché arrestare un sacerdote? Per la vita che Cesare Lodeserto ha scelto di condurre già viveva ontologicamente agli “arresti”, come in un carcere. Si muoveva protetto da una scorta. Ora ha soltanto cambiato uomini. A scortarlo sono le guardie penitenziarie. A volte le decisioni sono così assurde da non capire le ragioni che le muovono. Cesare Lodeserto era da tempo sotto scorta per una serie di attentati subiti. Alcuni lo denigrano, altri non lo so. Ma chi ce l’ha con lui di certo non scherza.

Un gioco al massacro. Contro la dignità della persona. I media non lo hanno giudicato, però lo hanno sbeffeggiato, ponendolo alla gogna. Soprattutto le Tv, indugiando su di lui. Mostrandolo ferito nell’anima, ripreso dopo l’interrogatorio, mentre lo riconducevano nel furgone. Umiliandolo quasi fosse un criminale. Per il gusto morboso della cronaca. A qualcuno piace lo spettacolo della sofferenza. A qualcuno piace giocare con le vite altrui.

Infine, l’elenco dei crimini. Sequestro di persona, abuso di mezzi di correzione, induzione a falsa testimonianza. Sono queste le accuse per le quali il sacerdote è finito in manette. Insieme con lui sono coinvolti anche carabinieri, medici, operatori del centro e volontari. Per reati commessi nel centro di permanenza temporanea “Regina Pacis” di San Foca. Ovvero, qui vale una opportuna precisazione. Il lettore mediamente ideologizzato legga pure: “centro di detenzione”. Il lettore estremamente ideologizzato legga piuttosto “centro-lager”. E’ una questione di punti di vista, di gusti e di appartenenze. Io che appartengo a me medesimo e non faccio distinzione tra le differenti ideologie e confessioni mi fermo qui, seppure un po’ malinconico e perplesso. Per il resto lascio che la magistratura faccia la propria parte. Comunque vada, ciascuno alla fine risponde per sé, qualsiasi abito indossi.

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