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CERVELLI IN FUGA, L'ITALIA PERDE LE PROPRIE RISORSE. IL FENOMENO E' IN FORTE CRESCITA

L'emigrazione dei talenti purtroppo non si arresta. Nel nostro Paese non vi sono purtroppo le condizioni per valorizzare in modo concreto e realistico coloro che investono nella ricerca. I più bravi non vengono sostenuti, anzi in alcuni casi sono addirittura ostacolati. In molti sono costretti a "elemosinare" un posto di lavoro

12 febbraio 2005 | Ada Fichera

Una fuga in preoccupante crescita. È quella che è stata definita “la fuga dei cervelli”, ovvero l’emigrare dei talenti italiani all’estero, a causa delle difficoltà nello studio, nella ricerca e nel lavoro che vanno moltiplicandosi nel nostro paese.
Dobbiamo prendere purtroppo atto del fatto che l’Italia è un paese che molto, troppo, spesso non valorizza i suoi soggetti migliori, ma anzi li ostacola e li “sfianca” fino a condurli alla fuga verso altre nazioni, le quali, di certo più coscienti e più astute dell’Italia, sono disposti ad investire e a scommettere su di loro.

Lo scorso 7 febbraio, l’Ansa ha reso nota, tramite un comunicato, una serie di dati emersi da uno studio portato avanti da alcuni ricercatori e presentato al recente convegno della Fondazione “Rodolfo De Benedetti”. Tale studio, intitolato “Lo splendido isolamento dell’università italiana”, ha testimoniato in primo luogo che i cervelli italiani fuggono, per ovvi motivi dalla propria patria ed in secondo luogo che quelli stranieri stanno ben “alla larga” dall’Italia.

Il triste panorama culturale ed occupazionale italiano ci fa riflettere su un aspetto conseguente a quanto stiamo riportando e, cioè, la scarsa competitività che ne scaturisce da un paese che punta molto poco sulla ricerca e sui giovani che valgono.
La difficile e squallida lotta quotidiana di quanti a fatica cominciano a muovere i primi passi e che vedono sempre più chiudersi davanti a loro le porte di una svolta che li gratifichi a dovere, l’assiduità di un sistema che ripone sempre più i bastoni fra le ruote a chi vuole emergere, non chiedendo chissà quale ricompensa, ma semplicemente “elemosinando” una chance per lavorare, per ricercare e perché no, per mettersi alla prova, costituiscono il movente per chi, con “in mano” una buona dose di coraggio, fa le valigie e va incontro alla sua fortuna, che quasi sempre disponibile li aspetta altrove.

Uno studio del Centro di Ricerca e Documentazione "Luigi Einaudi” ha, per esempio, dichiarato che, benché l’Europa “produca” il più alto numero di “dottorati”, i ricercatori sono proporzionalmente di meno (5,36 per mille della popolazione attiva) rispetto a Stati Uniti (8,66) e Giappone (9,72).
Questo perché, i luoghi delle destinazioni delle giovani generazioni di ricercatori, offrono possibilità economiche, di risultato e di carriera, migliori. All’estero questi giovani trovano la più grande e importante chance: la legittimità di manifestare le qualità che possiedono e, dunque, di esprimere se stessi!

Quanti neo-laureati sono costretti ad andare fuori per conquistare quel po’ di fortuna che meritano e che il proprio paese gli ha negato? Veramente tanti.
In certi casi, ad un’indifferenza generale, di fronte al fenomeno, si uniscono una lista di disagi oltre che economici, morali e sociali, che mettendo con le spalle al muro gli interessati, vanno ad incrementare quell’alto prezzo che l’Italia sta già pagando.

Non è un caso che i migliori medici, ingegneri, studiosi che “contano” nel resto del mondo siano italiani. Sì, sono quegli italiani che vanno a dare il loro contributo rilevante allo sviluppo della scienza ed in generale della conoscenza dei paesi che li “ospitano”, che riescono a dare valore a quel sapere che hanno imparato in Italia, ma che qui non riescono, ad un certo momento della loro crescita, a coltivare, di cui sono impossibilitati a farne uso.
Situazione che ha davvero dell’assurdo e diremmo, davvero del ridicolo! Continuiamo a curare un amore per la cultura e per il sapere che supera quello di qualsiasi altro paese al mondo, e quando qualcuno emerge, lo “regaliamo” agli altri paesi!

L’Italia è stata infatti una nazione dove la conoscenza, soprattutto teorica, ha avuto sempre una qualità altissima, perché allora poi non farne uso al momento di metterla in pratica?
Il “dramma” non sembra suscitare il clamore che in effetti la questione meriterebbe… Del resto la “fuga dei cervelli” dall’Italia, quegli stessi cervelli che sembra esportare “gratuitamente”, non è neanche un fatto nuovo.

Andando un po’ indietro con la memoria, non possiamo non citare alcuni casi già nel 1938. Fu allora che Enrico Fermi e Bruno Rossi, maestro di Riccardo Giacconi, lasciarono il nostro paese per realizzarsi all’estero. Anche Giacconi, “Premio Nobel per la Fisica 2002”, fu nel 1954 “cervello in fuga” dall'Italia, prima verso gli Stati Uniti e poi verso la “Reale Accademia delle Scienze” di Stoccolma. Subito dopo la guerra mondiale, ricordiamo altri tre grandi biologi, allievi di Giuseppe Levi, che partirono da Torino, destinati a vincere, negli Usa, altrettanti premi Nobel e che oggi, a dispetto dell’accaduto, sono molto noti anche da noi: Salvatore Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini.

In questi giorni sono comunque state rese note alcune interessanti notizie a riguardo che ci auguriamo siano un primo spiraglio verso una svolta più concreta.
La prima è dell’8 febbraio scorso, resa pubblica anche dalla stessa Ansa, che informa sul fatto che, per frenare la diaspora dei talenti italiani all’estero, Milano e Torino mettono in campo una nuova realta’, “l’Alta Scuola Politecnica”. A presentare questa svolta è il sindaco di Milano, Albertini, che ha affermato: “L'Alta Scuola Politecnica sarà un centro interuniversitario aperto agli studenti di tutto il mondo. Si parla tanto di fuga di cervelli: il modo migliore per trattenerli è offrire loro un contesto internazionale di elevata qualità”.

Altra notizia recente, della quale veniamo a conoscenza sempre attraverso il Centro di Ricerca e Documentazione "Luigi Einaudi”, è quella comunicata da uno studio realizzato dalla Commissione Europea su 769 centri di ricerca pubblici, che ha rilevato come, grazie agli stretti e numerosi collegamenti con l’industria privata, il settore sia in crescita e produca business. Il bilancio complessivo dei centri di ricerca pubblici infatti supera oggi i 25 miliardi di euro all’anno, dimostrando come la spesa pubblica per la ricerca in Europa sia più alta che in Stati Uniti e Giappone (13,6%, contro, rispettivamente, il 7,5% degli Stati Uniti e il 9,9% del Giappone), nonostante i finanziamenti diretti siano calati in Europa dell’1,2%, mentre sono cresciuti negli Stati Uniti (+0,6%) e in Giappone (4,5%).
Vogliamo sperare che tutto questo segni il timido inizio di una rapida e fruttifera risalita, a beneficio dei giovani, ma soprattutto dell’Italia.

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