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MAURIZIO CUCCHI: “IL MALE E’ IN TUTTO CIO’ CHE ESISTE, NON SOLTANTO NELLE INTENZIONI DEGLI UOMINI”

Il nostro illustre ospite, autore nelle stanze di “Teatro Naturale” di un diario sui temi di più stretta attualità, approda ora dalla poesia alla narrativa. Per Mondadori è in libreria il romanzo Il male è nelle cose, il cui protagonista è un giovane ossessionato dal dire sempre la verità

05 febbraio 2005 | Luigi Caricato

Maurizio Cucchi è il nostro ospite importante sin dall’esordio di “Teatro Naturale” con la sua “stanza”. Chi è nostro lettore assiduo lo conosce molto bene e apprezza con piacere i rilievi con i quali ci accompagna periodicamente. Per chi si accosta per la prima volta alla sua opera, ricordiamo che Cucchi è poeta apprezzato da critica e pubblico, a partire dal 1976, da quando ha pubblicato nella celebre collana mondadoriana dello “Specchio” il volume Il disperso, cui sono seguiti altri felicissimi lavori, fino al recente Per un secondo o un secolo del 2003.

Ora, con grande stupore generale – e sempre per la casa editrice di Segrate – è in libreria dal primo di febbraio addirittura con un romanzo. Una vera novità, spiazzante soprattutto perché inattesa.

Il titolo, Il male è nelle cose, evoca molto chiaramente lo spirito del libro. Il discorso complessivo che si ricava leggendolo è un po’ difficile”, ammette l’autore. “Si dice che nelle cose, in tutto ciò che esiste, è già presente il male; quindi non è soltanto nelle intenzioni degli umani, questi, semmai, riescono perfino a correggerlo, alle volte”.

Già, proprio così: secondo Cucchi il male non appartiene alla sola volontà degli uomini, “è presente nelle cose del mondo”.
“Il male c’è – ribadisce – ma non so chi ce l’abbia messo”, e sorride.
“Gli uomini – aggiunge – tutto sommato sono infinitamente buoni, almeno per quello che è il loro destino nell’universo”.
Il protagonista del romanzo? E’ un giovane ossessionato dalla sindrome del dire sempre la verità, ma non anticipiamo altro. E’ da leggere e da regalare il libro; questo lo possiamo dire senza esitazioni, perché Cucchi con Il male è nelle cose offre un approccio narrativo inedito, aprendo così una nuova strada nell’attuale panorama letterario.



Qual è il messaggio contenuto nel romanzo?
E’ nel tentativo di superare una visione del mondo presente in una poesia di uno dei miei autori preferiti e più importanti, Giovanni Raboni, ch’è stato anche il mio maestro peraltro. In un suo testo si diceva che nelle cose, in tutto ciò che esiste, è già presente il male; non è soltanto nelle intenzioni degli umani, dunque. Gli umani semmai riescono a correggere il male, secondo me. Il titolo, naturalmente, è solo una parte del libro; è come un’etichetta, può servire per fra capire, ma non riassume certo il tutto. Comunque, ciò che io penso, in definitiva, è che il male non appartenga solo alla volontà degli uomini, ma proprio in quanto appartiene alla volontà degli uomini è dentro le cose del mondo, quindi anche dentro gli uomini. Il male c’è, non so chi ce l’abbia messo, ma resta ancora forte in me la convinzione che tutto sommato l’umanità sia infinitamente buona, soprattutto per quello che è il suo destino nell’universo.

Questo romanzo è in libreria dal primo febbraio 2005, ma la sua stesura originaria risale a quarant’anni fa…
Sì, è stato scritto e concluso esattamente quarant’anni fa. La parte finale comprende addirittura un breve racconto che avevo scritto nel ’63 e ch’è rimasto identico ad allora. Il resto l’ho invece riportato al presente, come ambientazione storica. Faccio in particolare riferimento a un mondo ch’è quello che stiamo vivendo oggi; la vicenda è la stessa, il cuore del libro è il medesimo, le problematiche, la visione del mondo, gli aspetti esistenziali e il protagonista sono esattamente gli stessi.

Il fatto che il romanzo sia stato scritto da un poeta cambia qualcosa?
Riguardo alla scrittura è evidente che alla lingua io ci tenga moltissimo, però non ho voluto fare il romanzo del poeta, privilegiando le attenzioni alla parola piuttosto che alla narrazione. C’è una lingua estremamente funzionale e rapida i questo romanzo; e mi sembra di aver espresso uno stile e un modo di procedere molto semplice e lineare, più che plausibile. Non è assolutamente una prosa poetica, ma vi è un tipo di ritmo che si muove nel pieno rispetto della lingua e della parola che, secondo me, un romanzo deve necessariamente avere; poi, se sono riuscito, non lo so.

Rispetto alla narrativa contemporanea come ti poni?
Io sono un lettore accanito di narrativa, però – sarà forse una mia sordità – non è che mi appassioni molto la narrativa italiana. A parte i classici, leggo moltissimo le novità; ma è la narrativa americana ad attrarmi tanto, per bravura sono infatti insuperabili.

La narrativa italiana convince poco, dunque…
I libri di maggiore circolazione sinceramente non è che mi interessino molto, mi sembrano testi di maniera più di quanto non vogliano far credere. Molto spesso vedo che sono nutriti di una cultura ch’è in realtà una sottocultura eminentemente televisiva, o comunque spettacolare.

Tornando a Il male è nelle cose, si tratta di un romanzo che sembra trascendere il legame con il tempo…
Sì, il libro è ambientato al presente, ma potrebbe essere altrettanto valide se pensato in altre epoche storiche. Il tipo di rapporto che il personaggio ha con l’esterno, e con le altre persone, non è affatto legato in senso stretto alla dimensione dell’attualità.

Come mai questo romanzo è stato ripreso solo dopo quarant’anni dalla stesura?
Perché era un dovere che io sentivo verso me stesso. Sentivo di dover concludere una cosa non perché semplicemente l’avevo messa lì, perché l’avevo fatta quando ero ragazzo, ma perché quel modo di vedere il mondo continua ad essere quello che ho io oggi. Ecco, non aveva senso lasciare incompiuto un lavoro che doveva in realtà soltanto maturare. Ho sistemato dunque qualcosa che avevo il dovere di fare, una pendenza che avevo in sospeso nei miei confronti. Non credo che farò altro del genere. Semmai una cosa che mi interesserebbe fare è un tentativo di superamento dei generi. Io credo molto in una prosa che abbia l’intensità e la compressione potente della poesia. Io credo peraltro che la poesia – intensa in senso lato e con la p maiuscola – abbia la capacità di poter assorbire, nell’intensità e nella verità della parola, sia il racconto, sia il pensiero, e sia anche gli stacchi lirici. Vorrei dunque puntare al superamento di un genere – come può essere quello del romanzo oppure della poesia lirica – per arrivare a una dimensione della poesia nella quale anche il racconto possa avere una propria dimensione lirica.

Il lettore italiano è un soggetto difficile. Sarà davvero capace di accogliere un lavoro fuori dagli schemi abituali?
Io credo che il pubblico italiano vada coltivato. Continuando a fornire ai lettori surrogati e porcherie di ogni genere, facendo per esempio passare i libri dei cantautori per letteratura, il pubblico di conseguenza prende quello che ha a disposizione. Se vado al mercato e voglio comperare le banane, ma non ci sono, mi adeguerò comprando le mele. Che cosa posso fare diversamente? Alla fine prenderò le mele, magari pure cattive, e non saprò più riconoscere in futuro il sapore delle banane.

In Italia la situazione non è dunque tra le più rosee…
Perché non abbiamo una straordinaria tradizione, se solo pensiamo a ciò ch’è stato nell’Ottocento il romanzo francese, inglese, russo e americano. Noi abbiamo ben poco, quantitativamente anzi abbiamo pochissimo. Credo che una delle migliori stagioni della narrativa italiana sia stata, nonostante tutto, quella successiva alla guerra. Ci sono stati dei bravissimi autori, però se guardo a ciò che esce adesso, e lo comparo a ciò che viene pubblicato negli Stati Uniti, o in Inghilterra, o in Germania, mi sembra vi sia una differenza di qualità sostanziale. Da noi c’è un continuo appoggiarsi sulla struttura dei gialli, o dei thriller, o dei noir, tanto che sembra l’unica struttura narrativa possibile. Io non ho mai potuto sopportare i gialli, non sono mai riuscito a leggerli; e me lo sono spiegato abbastanza facilmente: il giallo è pura letteratura, è obbedienza totale a uno schema di genere, quindi non mi interessa. E’ chiaro che se questa è l’unica struttura narrativa già data non è che si faccia poi molto cammino.




Ecco, a beneficio dei lettori, il testo che accompagna il risvolto di copertina:

"Che razza di pensieri, che razza di tentazioni mi passano per la testa?!" si domanda Pietro, il protagonista del romanzo, distraendosi mentre legge Il cappotto di Gogol. Per aggiungere subito dopo: "... sono qui a dannarmi l'anima e non è successo niente, proprio niente: tutto sta nella mia testa".
Può essere che la smania, il subbuglio interiore, la vertigine che, prima sottilmente, in maniera appena fastidiosa, e poi con un'accelerazione drammatica inarrestabile, scuotono la vita quotidiana di Pietro siano tutti nella sua testa, certo è che le conseguenze presto cominciano a manifestarsi anche all'esterno, e creano nella sua ragazza, nei suoi amici, in tutti coloro che con lui vengono a contatto, stupore, inquietudine, sgomento.
Il bisogno che in alcuni momenti afferra Pietro e lo costringe a dire ciò che pensa, accentuandone la sgradevolezza, a compiere gesti apparentemente assurdi, senza il consueto filtro dell'educazione, delle convenzioni, del grigio quieto vivere o della pura e semplice ragione, non può non avere una deriva tragica. Maurizio Cucchi racconta il passaggio da un sentimento di solidale pietà nei confronti della condizione umana più autentica e indifesa, più nobilmente inerme, alla crudeltà e al delirio dell'aggressione.
Quella di Pietro si può forse definire come una sorta di pietà crudele. Romanzo al tempo stesso filosofico e realistico, condotto con estrema lucidità teorica e con assoluta concretezza, Il male è nelle cose rappresenta una situazione nella psiche che sta sul sottilissimo confine tra follia e normalità.

Maurizio Cucchi, Il male è nelle cose, Mondadori, Milano 2005, pp. 152, euro 16,00